Come approcciarsi alla musica vocale del ‘500 [madrigali & mottetti]

Un aspetto che mi ha sempre incuriosito, è quello di cercare di capire da dove debba provenire una scelta interpretativa efficace.

Certamente, un conto è fare delle scelte e tradurle personalmente (mostrando coerenza e capacità, come dovrà fare ad esempio un bravo organista), viceversa, dimostrarne la validità da un punto di vista teorico, ma poi doverle tradurre attraverso gli altri (è il caso del direttore, che è colui che fa fare agli altri, ciò che non potrà mai fare da solo su se stesso).

È altrettanto innegabile, come studiare a fondo le proprie partiture, agevoli non poco i passi successivi e nella musica antica – come quella del ‘500 presa in esame – sia determinante conoscere abitudini, stili e criteri, per approcciarsi in modo corretto ad un’esecuzione che dovrà inevitabilmente portarci a delle scelte precise.

Senza entrare nelle infinite squisitezze fraseologiche, in quelle più tipicamente armoniche o sfacciatamente strumentali, direi che tutta la vocalità cinquecentesca, dovrà fare i conti con quelle che – secondo me – rappresentano le assi portanti di questa musica, che sono: la corretta interpretazione della lettuta ritmica (suo rapporto metrico col testo) e le scelte timbriche (quali voci e quali strumenti impiegare), legate all’organico più consono alla buona riuscita del brano da eseguire.

Ma andiamo per ordine, la questione è davvero sorprendentemente aperta…..

1. Ritmica/Metrica del Testo Poetico:

  • partiamo dal fatto che la stanghetta di battuta, non coincide necessariamente con l’accento metrico della parola
  • la parola è tutto nella musica vocale e mai va dimenticato che anche l’origine della letteratura strumentale, sia postuma e nata per corruzione e disfacimento di quella vocale, ben più nobile ed antica
  • “….la musica serva, non padrona delle parole…” C. Monteverdi – e punto d’orientamento di tutti gli altri aspetti musicali
  • dunque la stanghetta, sia da utilizzare solo come pratico strumento per orientare la scansione delle pulsazioni e per fare ordine nella miriade delle parti polifoniche, che è poi il vero motivo per cui vennero introdotte (universalmente utilizzate, benchè ancor oggi facoltative)
  • nulla hanno a che fare con l’accento delle parole, che seguono un loro corso, raggruppandosi ora in metri binari, ora in ternari, alle volte coincidenti con i rapporti ritmici della misura, altre volte in modo del tutto autonomo
  • le scelte di raggruppamento dei vari binari e ternari della metrica del testo, sono spesso personali, in quanto non obbediscono ad un’unica soluzione, ma a più possibilità egualmente giuste

2. Timbrica/Orchestrazione dell’Organico

  • senza scomodare il “caso limite” dei doppi cori veneziani (con la massiccia contrapposizione di voci e strumenti), si dovrà partire dalla considerazione che ogni partitura obbediva ad una pratica allora diffusissima e che cioè si doveva tenere in considerazione ciò che c’era e che non si dava grande importanza all’impiego unilaterale delle voci, o degli strumenti in se, ma al risultato finale, conseguenza dei mezzi impiegati e realmente a disposizione del direttore
  • la partitura era per così dire, un percorso aperto, dove – anche in presenza del classico 4 voci dispari, con tanto di testo da cantare per ogni voce impiegata – il direttore poteva decidere che il tenore fosse solo suonato dagli strumenti con estensione simile, il basso cantato e raddoppiato dagli strumenti gravi, con le parti femminili (soprani/contralti), magari solo dedicate al canto, senza strumentazione alcuna: ne seguiva una timbrica sempre in divenire, diversa da esecuzione ad esecuzione, con soluzioni talvolta felicissime e senza dubbio molto caratteristiche
  • è chiaro che, in considerazione di tali aspetti, la scelta delle voci, degli strumenti, il loro impiego specifico, gli eventuali raddoppi o le esclusioni di intere parti di testo, a favore della strumentazione, portava a soluzioni diversificate, con conseguenze notevoli d’impatto e di resa complessive
  • da ultimo, non si dimentichi la spazializzazione, ovvero la distribuzione che si faceva degli organici impiegati nello spazio dove si eseguiva, con la conseguenza di amplificare enormemente le sonorità, dato che le fonti del suono, risultavano ben distinte, data la differente provenienza: il risultato era una formidabile cattedrale sonora, acusticamente chiara ed efficace

Si tratta solo di piccole considerazioni, che ci aprono al mondo della musica vocale rinascimentale, forse uno dei momenti più autorevoli ed eccitanti, di tutta la storia della musica, senz’altro tutto un altro modo di obbedire alla partitura che era solo una traccia su cui ogni musicista compiva normalmente delle operazioni tutt’altro che marginali.

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