La magia dell’organo antico

Quante volte ci è capitato di entrare in una chiesa e rimanere incantati dal suono di un organo?

È da sempre lo strumento ufficiale della Chiesa e si considera – a torto, o a ragione – il re degli strumenti.

Ma come si ottiene quel sapore mistico, misterioso (come scordare le Colonne Sonore negli Horror: celeberrimo “Profondo Rosso”), un po’ arcaico, tipico della sonorità dell’organo?

Mi limiterò ad alcune curiosità, ad alcuni aspetti di quello italiano antico, dato che l’universo organistico è talmente ricco e vario, da rischiare di perdersi in un oceano di variabili e particolari specifici, di periodi storici e scuole nazionali.

  • La mia prima considerazione, riguarda il cosidetto “ripieno-diviso”, cioè la capacità di ottenere il tipico “pieno” dello strumento, agendo su più registri separati che rimandano a dei rapporti armonici precisi.

Ad esempio, azionando il registro detto “Principale 8”, si otterranno suoni reali esattamente corrispondenti al tasto sollecitato: non a caso è un registro basilare nelle varie combinazioni (esempio: pigio un sol3 e suona esattamente un sol3).

Viceversa, lavorando sui “pienini” come la Quintadecima (XV = una 15° sopra la nota suonata), o la Duodecima (XII = una 12° sopra la nota suonata), o la Vigesimaseconda (XXII = una 22° sopra la nota suonata), si intuisce come ad ogni tasto pigiato, ne corrisponda un’altro di una distanza armonica precisa, differente e ben diverso dalla nota reale.
Si rifletta inoltre, sul fatto che tali registri si possano mescolare a piacere in base al tipo di suono che si vorrà ottenere, facendo funzionare varii rapporti armonici e di conseguenza, più canne in contemporanea.

È un procedimento curioso e tutto italiano, tipico dell’organo antico, capace di dare chiarezza e brillantezza, ai passi più agili (con alcuni pienini), o dare solennità e vigore agli accordi più maestosi (con tutti i pienini).

  • La seconda considerazione è legata alla prima ottava corta, detta tecnicamente “scavezza”, dove appunto mancano i cromatismi.

Per comodità ed ingegno, ecco che quella che ci appare come il principio di una tastiera normale (M, f, F#, s, S#, l, tb, t, d), suoni in realtà in modo assai diverso (D, f, R, s, M, l, tb, t, d: in maiuscolo, le note “diciamo” cambiate) e questo naturalmente per vari motivi.

Anzitutto nella musica antica, le alterazioni utilizzate erano due o tre al massimo: piuttosto frequente nei diesis, la sub-finalis (una sorta di sensibile dei sistemi gregoriani), al f#, o al d#, così come la piccarda (tipica cadenza antica, caratterizzata da triade maggiore e dunque dalla terza alterata), al s#, mentre piuttosto diffuso nei bemolli, il “si mobile”, che tradisce dal nome, una modalità (appunto…), d’approccio molto distante dai sistemi tradizionali.

Insomma, succedeva che nel basso – struttura portante dell’edificio armonico – non capitava praticamente mai di dover ricorrere ai suoni alterati, tranne che per il sib, infatti presente.

Si ricorreva ai rivolti nelle concatenazioni più acute, mentre i perni armonici erano gradi fondamentali, tanto sulla prima ottava del manuale, quanto al pedale, che riprendeva l’ossatura della tastiera e a cui si ricorreva solo nelle cadenze principali, spesso a conclusione dell’intera composizione.

Quindi, c’era una componente pratica non indifferente in una scelta di fondo, che dipendeva da una tipologia di musica direttamente derivata dai sistemi gregoriani.

Non era però l’unica causa: oggi come allora, si dovevano fare i conti con le spese e costruire un organo con la prima ottava corta, significava escludere a priori ben quattro tasti (d – d# – r – r#), con un notevolissimo risparmio di mezzi e materiali, dato che ad ogni nota, corrisponde un certo numero di registri, dunque di canne e rifiniture varie.

Capitava di dover unire “l’utile al dilettevole” e cioè di posizionare l’organo in cripte, balconate o volte, di una chiesa con pochissimo spazio a disposizione, da cui un calcolo circa ciò che ci stava e ciò a cui dover rinunciare: un bel guadagno in centimetri, se si considera che le canne più ingombranti, sono proprio quelle dal suono più grave, poste appunto al basso!

  • Un’ultima considerazione, legata all’utilizzo: questa tipologia di organo, pel dimensioni e sonorità, veniva impiegato in modo efficace con altri strumenti, in un’epoca in cui abbondano le composizioni dialoganti – l’ideale per la concertazione – che riguardano anche la sfera profana, in quanto tali organi – sempre più frequentemente – scivolavano dalle chiese, alle corti delle tenute nobiliari (.. e viceversa… ), a testimonianza di una dimensione profondamente mutata.
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