Teatro alla Scala – Inaugurazione Stagione 2022/23 BORIS GODUNOV

Non è affatto casuale che l’Inaugurazione della Stagione 2022/23 al Teatro alla Scala passi dal BORIS GODUNOV, dramma musicale popolare in un prologo e tre atti (versione 1869), dalla tragedia omonima di Aleksandr Puškin e dalla Storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin su Libretto e Musica dello stesso Modest Petrovič Musorgskij. È una Nuova produzione dello stesso Teatro alla Scala (Milano, 7 dicembre 2022) e come non collegarla ai tempi recenti, alla guerra in Ucraina, considerato che Kiev ne è la capitale e che è nota per l’architettura religiosa, i monumenti secolari ed i musei di storia, è il cuore dell’antichissima madre russa, è essa stessa Russia! L’ambientazione, la trama – più volte faticosamente adattata e riadattata sin dalla sua nascita a causa delle feroci censure Zariste – ancora oggi lascia strascichi evidenti: basti pensare alle recenti polemiche sulla diffusione della cultura russa in tutte le sue forme, da quella musicale, a quella pittorica, dall’esclusione degli atleti russi dalle competizioni sportive, al ruolo della stampa e della letteratura. È un vanto per l’Italia, per il mondo della cultura e per la democrazia intera, che sia stata fatta questa scelta, un’occasione che il “Teatro alla Scala” ha cercato e voluto, confermandosi nuovamente, fra le sedi più titolate al ruolo di riferimento culturale ed artistico internazionale. Riporto di seguito la puntuale critica di Roberto Mori, noto giornalista e corrispondente del mensile “L’Opera”, affinché ne possiate trarre spunti di confronto e di riflessione.

Difficile pensare a un’opera più cupa e pessimista di Boris Godunov. Composta sulle linee tracciate dalla “Storia dello Stato russo” di Karamzin e dall’omonimo dramma di Puškin, riplasma la vicenda in un insieme molto più drammatico e sinistro rispetto alle fonti. Benché interessato alle forme popolari, Musorgskij non idealizza le masse e non crede all’utopia romantica del popolo come portatore di particolari virtù nazionali. Allo stesso tempo, non subisce il fascino del mito imperiale, rifiutando sia i principi illuministici di un governo razionale, sia l’idea di un concreto progresso storico. La storia, per lui, è aperta alla casualità, alla possibile mancanza di un senso. Inoltre, per quanto interessato all’occulto, non è credente: i sistemi salvifici – cristiani o hegeliani che siano – gli sono estranei.
Kasper Holten e Riccardo Chailly, regista e direttore della nuova produzione con cui il Teatro alla Scala inaugura la stagione 2022/23, hanno sottolineato in diversi interventi come il protagonista e alcune situazioni del Boris abbiano punti di contatto con il Macbeth scespiriano, ma anche con l’omonima opera di Verdi con cui la Scala ha aperto la scorsa stagione, individuando quasi un filo conduttore fra le due inaugurazioni. Vero è che la dimensione di totale pessimismo storico in cui è immerso il dramma musicale di Musorgskij sembrerebbe avere maggiori analogie con un altro capolavoro verdiano, Don Carlo. In entrambe le opere, infatti, i sovrani protagonisti (interpretati da voci di basso) esercitano il potere con una spietatezza implacabile che schiaccia le aspirazioni sia dei singoli che del popolo oppresso. Ma potremmo ricordare, tra le convergenze, anche la spettacolare scena dell’incoronazione, o il grande monologo in cui il protagonista apre il suo animo e riflette sulle conseguenze nefaste che la conquista del trono e la gestione del potere hanno avuto nella sua vita privata.
Nello spettacolo di Kasper Holten, invece, Boris è un personaggio di portata scespiriana devastato dal potere che guarda più a Macbeth che a Filippo II. Lo dimostra, tra le soluzioni adottate, lo spettro del piccolo Zarevic che accompagna lo zar infanticida fin dalla sua apparizione in scena. Una presenza ossessiva che rimanda ai fantasmi di Macbeth e intende materializzare un senso di colpa talmente profondo e irrisolto da sfociare nella follia. Scelta che tuttavia si rivela alla lunga eccessiva. Quando il celebre allestimento di Andrej Tarkovskij nato per il Covent Garden di Londra venne rappresentato nel 1994 alla Fenice di Venezia, una parte della critica trovò pleaonastica la visualizzazione del fantasma di Dimitrij. Qui siamo addirittura all’invasività.
Altra presenza emblematica è quella del monaco Pimen, che scrive la cronaca degli eventi di cui è stato testimone raccontando realisticamente la brutalità del potere. Nel libretto di Musorgskij appare nel terzo quadro, Holten lo presenta invece già in apertura d’opera a simboleggiare l’importanza di testimoniare la verità storica contro ogni forma di censura e manipolazione. È talmente preminente questo aspetto da dare un’impronta decisiva anche all’impianto scenico di Es Devlin. Al centro del palco cupo e dorato si staglia una pergamena bianca su cui scorrono parole e disegni: una sorta di libro dove si scrive simbolicamente la storia e agiscono i protagonisti. La pergamena e la presenza di una grande mappa geografica sullo sfondo sono il Leit Motiv dello spettacolo. Se l’impianto scenico è nell’insieme funzionale al susseguirsi dei diversi quadri, è anche vero che l’unità di tono risulta forse eccessiva e, tolta la spettacolare scena dell’incoronazione, si sente l’esigenza di una più precisa differenziazione di ambienti e atmosfere. Formalmente, Boris Godunov non è una vicenda coesa e compatta, ma un grande affresco realistico ottenuto attraverso una serie di scene staccate (sette nella versione del 1869 qui adottata). Pertanto, considerato che il compositore stesso rinuncia programmaticamente all’unità, la scelta di puntare a una rappresentazione unitaria è di per sé una contraddizione.
I costumi (Ida Marie Ellekilde) sono di foggia ora cinquecentesca (l’epoca di Boris), ora ottocentesca (l’età di Puskin), con qualche richiamo moderno, secondo un sincretismo temporale che tende a sottolineare l’universalità e la perenne attualità dei temi trattati. Per fortuna Holten ha il buon gusto di evitare riferimenti espliciti alle vicende del nostro tempo. Lo spettacolo intreccia così realismo illustrativo e simbolismo e, con il precipitare di Boris nella follia, non mancano momenti visionari che sconfinano addirittura nell’horror: nella scena di San Basilio vengono portati in proscenio corpi di bambini massacrati, evidente richiamo alle stragi causate dai conflitti di ogni epoca. Quanto alla recitazione, la regia tende a soluzioni piuttosto tradizionali, a tratti convenzionali, soprattutto nella prima parte, a eccezione della prova attoriale strepitosa del protagonista.
Tra le tante versioni disponibili del Boris – partitura sottoposta da Musorgskij a più stesure e riorchestrata da Rimskij-Korsakov (ma anche da Šostakovič) – oggi si tende a preferire quelle con

• la scabra, originaria orchestrazione di Musorgskij

stesso. Una scelta quasi obbligata a cui si attiene anche Riccardo Chailly, che si rifà per la precisione alla prima edizione, l’Ur-Boris, portata a termine dal compositore russo nel 1869 e dunque priva del cosiddetto “atto polacco” e dei personaggi di Marina e Rangoni che figurano invece nella versione del 1871-72.
Nell’affrontare la materia sonora densa e scura con cui è scolpito questo primo Boris, Chailly tende ad attutire talune asprezze della partitura: la scena dell’incoronazione, per esempio, è forse meno grandiosa e “barbarica” rispetto a quella di altri direttori. La lettura risulta tuttavia intensa e di ampio respiro nel fraseggio, improntata a una resa espressiva sensibile, a una tensione drammatica forte ma al tempo stesso equilibrata. Chailly realizza con efficacia la coralità dell’opera, bene assecondato dall’orchestra, dall’intensità espressiva del coro preparato da Alberto Malazzi e dall’ottimo Coro di voci bianche dell’Accademia della Scala diretto da Bruno Casoni. Inoltre, valorizza con chiarezza esemplare le scene più intime e introspettive, evidenziando – grazie all’uso delle mezze tinte e di sfumature emozionali concise – la perfetta integrazione musorgskiana di parola e musica. Sotto questo profilo, l’accurato lavoro di scavo svolto dal direttore e dal protagonista sono esemplari.
Nel ruolo eponimo, Ildar Abdrazakov offre una prova eccezionale, ponendosi nel solco dei grandi bassi della tradizione slava, di cui non accoglie però il ricorso al parlato, gli eccessi realistici, gli istrionismi. Il suo Boris, riletto con gusto moderno, è intimistico, tormentato, nobile, sempre risolto nel canto. Pur non disponendo di un volume imponente, la vocalità da basso-baritono gli consente di dominare agevolmente la scabrosa tessitura acuta della scena dell’incoronazione, e di esibire un registro medio-grave comunque ben timbrato. Abdrazakov rende in modo magnifico la complessità del personaggio, piegandosi all’introspezione psicologica con fraseggio analitico e rigorosa asciuttezza espressiva. Recita benissimo, con grande immedesimazione, e giganteggia sia nel monologo che nella scena della morte, dove il canto a mezzavoce, tutto interiorizzato, conferisce a ogni parola il suo giusto peso.
Non del tutto a fuoco, invece, la figura di Pimen: Ain Anger ha certamente una voce scura e corposa e restituisce le riflessioni del monaco testimone dell’omicidio con espressione sentita e ieratica. Tuttavia l’emissione è oscillante, disomogenea, e a tratti nemmeno l’intonazione è precisa. Vocalmente corretto, invece, Dmitry Golovnin che tratteggia il ruolo di Grigorij, il falso Dimitrij, con efficacia sul fronte espressivo, in particolare nel declamato. Bene anche l’Innocente di Yaroslav Abaimov, vocalmente chiaro ma immedesimato, sottile nell’accento e toccante nel fraseggio. Ottimo Alexey Markov, che nella parte di Andrej Ščelkalov si fa valere per il bel timbro risonante e la fonazione puntuale. Insinuante nell’espressione ma opaco nella vocalità il Principe Šujskij di Norbert Ernst. Più efficace nella caratterizzazione che nel rendimento vocale anche il Varlaam di Stanislav Trofimov. Nelle parti di Ksenja e Fëdor si fanno apprezzare Anna Desinova e Lilly Jørstad. Ineccepibile la nutrice di Agnieszka Rehlis. Completano decorosamente la locandina Alexander Kravets, Misail, Maria Barakova, l’Ostessa, Oleg Budaratskiy, Guardia, Roman Astakhov, Mitjucha, Vassily Solodkyy, Boiaro di corte.
Alla fine della recita, tredici minuti di applausi. Accoglienze calorose per Anger, acclamazioni per Chailly e Holten, successo cordiale per gli altri. Ha trionfato Abdrazakov.

  •  Il punto chiave

Alla luce di quanto riportato, credo ci possano essere le premesse per una riflessione più attuale, circa l’importanza dell’Opera e dell’attività teatrale oggi, fra cultura ed arte, propaganda e politica. Certamente non credo si possa rimanere indifferenti di fronte a tanta forza comunicativa, così come penso siano sterili le polemiche gratuite: è un fatto che tutto l’immenso patrimonio culturale russo, sia a pieno titolo un bene dell’umanità! Indico di seguito alcune citazioni, che potrebbero aiutarvi non poco ad andare più in profondità al tema sollevato, che  – me ne rendo conto – è di immani proporzioni.

  • Citazioni citabili

“La scienza ci orna le esperienze della vita che fugge rapidamente”

“Gli uomini giudicheranno le tue parole, le tue azioni; le tue intenzioni le vede solo Dio”

“Da lontano ci allettano la gloria, il lusso, e l’amore scaltro delle donne. Io son vissuto a lungo e di molto ho goduto; ma solo da quando il Signore mi portò nel monastero conosco la beatitudine.”

“Dio è grande! Egli dà saggezza alla giovinezza, dona forza alla debolezza…”

“Il primo: Il padre era un furfante; i figli sono innocenti. Un altro: La mela non cade lontano dal melo.“

“Il saltimbanco non è amico del pop.“

“L’abitudine è l’anima degli stati.”

“L’amore intorbida la mia immaginazione…“

“Lo zar: Prega per me, povero Nikòlka. L’idiota: No, no! Non si può pregare per il re Erode: la Madonna non vuole.“

“O figlio caro, tu entri in quegli anni quando un volto di donna ci agita il sangue. Conserva, conserva la santa purezza dell’innocenza e la superba pudicizia; chi s’è abituato ad affogare i sensi nei viziosi godimenti ancora giovane, fattosi uomo diventa cupo e sanguinario, e la sua mente innanzi tempo s’oscura. Sii sempre il capo nella tua famiglia.“

“Siano i nostri corpi i gradini per il tuo trono di zar.“

Tutte le citazioni sono di Alexander Sergejevič Puškin, naturalmente tratte dal “Borìs Godunòv”.

Ora confrontiamo alcuni aspetti: di ieri, di oggi, di sempre…..

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81 commenti

  1. Gabbiadini Lorenzo

    La scelta di rappresentare il “Boris Gudonov” come apertura della stagione operistica del teatro alla scala è risultata quanto mai azzeccata al periodo storico che stiamo vivendo e, secondo me, coraggiosa nel suo intento.
    Questa scelta va a rimarcare l’importantissima differenza tra le azioni politiche di uno stato e la vera identità/cultura del suo popolo: la guerra in Ucraina non può, ma soprattutto non deve, cancellare tutto il patrimonio musicale e culturale russo.
    Boris Gudonov offre molti possibilità di confronto con il mondo di oggi, ad esempio la brutalità delle azioni militari condotte da Putin possono essere facilmente accostate alla crudeltà della politica dissennata del suo pari di fine ‘800 Gudonov.
    La rappresentazione di “Boris Gudonov” alla scala vuole essere non solo una manifestazione di ripudio alla guerra ucraina, ma bensì una condanna a tutte le forme di sopprusi o ingiustizie che hanno sempre accompagnato la storia della società moderna; la scena in cui vengono esposti i cadaveri dei bambini ne è la prova, una chiara e sdegnata denuncia contro le azioni politiche egoistiche, sporche ed immorali che finiscono per gravare sulle spalle degli innocenti e sulle classi più umili della società.
    Guardando l’opera ho interpretato la pazzia dello zar come la realizzazione delle conseguenze delle proprie azioni, nonché la consapevolezza della loro inutilità contro la sua imminente fine; secondo me Boris impazzisce non tanto per il dolore dell’assasinio della sua prole ma bensì per la presa di coscienza delle sofferenze inflitte al suo popolo, obbligato ad osannare il proprio carnefice, dovute al suo mero egoismo ed estremizzata ossesione.
    Trovo opportuno anche esprimere un’opinione sulla scenografia, focalizzandomi sulla scelta di usare come sfondo principale una pergamena su cui era disegnata una cartina imbrattata di parole in russo: la pergamena assieme ai costumi, che almeno in apparenza sembravano provenire da epoche diverse, rappresenta efficacemente le dimensioni colossali delle conseguenze che le scelte sbagliate di un singolo uomo possano provocare a milioni di persone, anche per molto tempo.
    Documentandomi ho trovato alcuni dati sull’interesse pubblico che l’opera a riscosso: il “Gudonov” ha raccolto circa il 10% di share televisivo per un totale di circa 2 milioni di telespettatori, dato secondo molti impressionante visto che si tratta di un’opera cantata totalmente in lingua russa e sconosciuta ai più che, nonostante questi limiti, ha raggiunto un successo solo leggermente inferiore ad opere ben più note di essa come “Macbeth” o la “Tosca”.
    Penso che il periodo storico che stiamo vivendo abbia sensibilizzato l’opinione pubblica alla condanna definitiva della violenza ed abbia aiutato quest’opera a riscuotere più successo di quello che avrebbe avuto in un altro momento sotrico.
    Tuttavia ritengo anche che la guerra in Ucraina abbia in qualche modo riacceso la curiosità del mondo occidentale verso la culturà est-europea troppo spesso trascurata, cosa che ritengo per assurdo estremamente positiva; putroppo spesso ci vuole una tragedia per apprezzare l’autenticità e la bellezza di alcune realtà.

  2. Gabbiadini Lorenzo

    Guardando l’opera sono rimasto rapito dall’espressività del protagonsta, Ildar Abdrazkov ha messo in scena una prestazione eccellente portando in scena uno dei personaggi più umani tra quelli che mi è capitato di vedere in teatro.
    Pur senza particolari virtuosismi è riuscito a trasmettere in maniera incredibile le emozioni di un personaggio ricco e pieno di sfumature: la paura, il senso di colpa oppure lo sgomento invadono lo spettatore per tutta l’opera.
    Anche Norbert Ernst nel ruolo di Sujskij, segretario di Boris, ha fornito un’eccellente interpretazione, riuscendo a creare un personaggio subdolo senza cadere nei soliti cliché da cattivo; particolarmente bravo nell’interpretare il doppiogioco a seconda delle situazioni.
    Ho trovato invece confusionarie e poco chiare le figure dei fantasmi nella storia, ho fatto molta fatica a capire il collegamento tra i figli di Boris, i loro fantasmi e quello del principino Dimitrij, onnipresenti durante l’opera ma senza un ruolo preciso li ho trovati quasi sempre di troppo alle scene rappresentate, figure di distrazione in una situazione ben focalizzata.
    Penso che il punto forte di questa esecuzione sia stata, oltre alla spettacolare interpretazione del protagonista, il coro: la scena dentro la basilica di San Basilio, con l’esposizione dei cadaveri degli innocenti, completamente interpretata dal coro; l’atmosfera di disperazione che è riuscito a creare penetra addirittura lo schermo della televisione fino a colpire lo spettatore con una violenza tragica dominata da una sonorità cupa ma potente, intesa e continua.
    Infine vorrei esprimermi sull’orchestra che in quest’opera è riuscita nel compito di “mettersi in secondo piano” per fornire il sostegno perfetto alle scene: poche parti strumentali e molto corte utilizzate più per i cambi di scena; incredibile l’orchestrazione nella scena della follia di Boris dove l’orchestra crea una massa sonora imponente e tesa, come se facesse parte essa stessa della pazzia del protagonista.
    Il direttore e regista Riccoardo Chailly ha svolto un lavoro perfetto nel trasformare un’opera di nicchia in un prodotto apprezzabile da tutti; rendere avvincente un’opera recitata in lingua straniera è un’impresa non da poco che merita un riconoscimento speciale, il lavoro svolto in qualsiasi ambito del teatro, dai costumi alla scenografia, è stato essenziale per rendere realtà un’esecuzione quasi perfetta di un’opera delicata nell’interpretazione, specialmente ai giorni nostri in cui è fin troppo facile sollevare polemiche per scelte coraggiose.

  3. Enrico Aiman Mismara

    Musorgskij viene considerato come il vero genio all’interno del gruppo dei cinque.
    La stagione 2022/23 del celebre teatro alla scala di Milano si è aperta con la rappresentazione di un’opera lirica di Modest Petrovič Musorgskij, intitolata BORIS GODUNOV, basata
    sul dramma omonimo di Aleksandr Sergeevič Puškin.
    Il forte pessimismo storico presente all’interno dell’ opera in questione contribuisce inoltre a fornire parte dell’immagine dello stato d’animo negativo di Musorgskij
    “Tutto è finito,il dolore sono io”.
    A causa del conflitto tra Russia e Ucraina (o meglio tra Putin e l’Ucraina) tutti i settori russi hanno subito delle forti ricadute, anche il settore artistico è stato fortemente confinato, escludendo soprattutto:
    . Soggetti (direttori o ballerini russi per esempio) che si astenevano dal comunicare la propria posizione in merito a questa guerra.
    . Soggetti (sempre Russi) che dimostravano apertamente il loro sostegno a Putin e alla sua causa.
    Per la prima del teatro alla Scala il maestro Riccardo Chailly ha scelto di dirigere la prima versione dell’opera Boris Godunov del 1869. Ai tempi questa prima versione fu bocciata perché considerata troppo insolita rispetto ai canoni presenti.
    La regia di questa prima versione (chiamata Ur-Boris) è stata affidata a Kasper Holten che ha voluto incentrare l’interpretazione dell’opera su temi ancora oggi fortemente affrontati, ovvero quello della coscienza contro il potere e quello della verità contro la censura.
    Direi che i temi affrontati in questo contesto calzano a pennello con la situazione Russia-Ucraina e il fatto che la stessa opera sia di origine Russa comunica il forte messaggio di non demonizzare tutto un paese e tutta una cultura solamente per le azioni di pochi potenti. Insomma la scelta di questa prima rappresentazione della Scala di Milano tende a lanciare un esempio da seguire con una serie di messaggi, alcuni più espliciti altri meno.
    .RIGUARDANTE LA PRIMA VERSIONE SCELTA PER LA RAPPRESENTAZIONE
    Ur-Boris è la prima opera di Musorgskij in grado di rompere con le convenzioni del teatro musicale dell’epoca.
    L’opera fu considerata troppo radicale per l’epoca e in quella versione fu bocciata. Questa versione divisa in sette scene, fu considerata troppo insolita: non aveva numeri chiusi, nessuna trama sentimentale, nessuna parte femminile importante e nessun tenore eroico o amoroso e per questo fu respinta.
    La prima stesura dà maggiore risalto al protagonista, ai suoi sensi di colpa e, proprio grazie al quadro di San Basilio, al suo contrasto insanabile con i sudditi.
    Celato per oltre mezzo secolo, l’Ur-Boris cominciò a essere rappresentato in Russia alla fine degli anni Novecentoventi, e a partire dal 1935 nel “mondo occidentale”. In Italia arrivò nel ’71, a Spoleto. Poiché dal 1869 al 1874 Musorgskij modificò alcune scene, in un caso molto profondamente, gli esecutori si prendono spesso anche una certa libertà di scegliere che testo eseguire, senza badare troppo all’appartenenza all’una o all’altra stesura. Quindi, alle prese con un titolo in cui molti non vincono la tentazione di tagliare o d’aggiungere,
    Pure in questo tema la Scala di Milanodimostra una professionalità unica eseguendo integralmente e fedelmente il testo d’autore, utilizzando l’edizione critica di Evgenij Levašev per Schott International.
    Gli strumentisti dell’Orchestra del Teatro alla Scala hanno dimostrato una solidità d’insieme e una presenza individuale fuori dal comune. La strumentazione di Boris Godunov non dà spazio a episodi virtuosistici, ma domanda costantemente una capacità quasi cameristica di cantare senz’apparire in primo piano.
    Gli artisti guidati da Chailly hanno dimostrato di possedere in pieno la maestria e le competenze necessarie.

    Di seguito ho deciso di inserire tutti i nomi dei cantanti che interpretano i personaggi dell’opera e delle principali figure che hanno contribuito alla prima rappresentazione della stagione della Scala.
    Boris Godunov Ildar Abdrazakov
    Fëdor Lilly Jørstad
    Ksenija Anna Denisova
    Nutrice Agnieszka Rehlis
    Vasilij Šujskij Norbert Ernst
    Ščelkalov Alexey Markov
    Pimen Ain Anger
    Grigorij Otrepev Dmitry Golovnin
    Varlaam Stanislav Trofimov
    Misail Alexander Kravets
    Ostessa Maria Barakova
    Jurodivyj Yaroslav Abaimov
    Nikitič, Capo delle guardie Oleg Budaratskiy
    Mitjucha Roman Astakhov
    Un boiardo di corte Vassily Solodkyy

    Direttore Riccardo Chailly
    Regia Kasper Holten
    Scene Es Devlin
    Costumi Ida Marie Ellekilde
    Luci Jonas Bøgh
    Video Luke Halls
    Maestro del Coro Alberto Malazzi
    Maestro del Coro di Voci bianche Bruno Casoni
    Orchestra e Coro del Teatro alla Scala
    Coro di Voci bianche dell’Accademia Teatro alla Scala

  4. Alessandra Zibetti

    Boris Godunov si fa testimone del picco dell’evoluzione del teatro nazionale russo, oltre che dell’operosità creativa di Sergejevič Puškin.
    Riccardo Chailly ha accolto la direzione del Boris Godunov nella versione originale del 1869, successivamente modificata da Korsakov con l’aggiunta di tre nuove scene.
    Questo perché la critica non aveva ben accolto la prima versione dell’opera, considerata troppo radicale per l’epoca. In essa mancava una figura femminile di spicco, una trama sentimentale ed altre caratteristiche usuali per le opere del tempo.
    C’è da dire che, come all’ora, anche ai giorni d’oggi la decisione di rappresentare quest’opera, può essere discussa e criticata, seppur per motivi diversi.
    Ma siamo realmente sicuri che le ostilità determinate dagli scontri tra grandi potenze, abbiano il diritto di limitare la divulgazione dell’arte?
    Non dovremmo essere in grado di scindere dinamiche conflittuali superiori a noi (seppur influenti sulle nostre vite), dal linguaggio universale dell’arte che accomuna tutti?

  5. Luca Toninelli

    Rappresentare il Boris Godunov alla prima della Scala di Milano significa non disprezzare la cultura russa, che nulla ha a che fare con le scelte politiche che il governo russo ha preso ultimamente. Significa invece adempiere a uno dei molteplici compiti che l’arte ha nella società, come sensibilizzare le persone verso delle tematiche sempre attuali, come la guerra tutt’ora vigente in Ucraina, e denunciare le atrocità ad esse legate.
    Anche il sovrintendente della Scala Dominique Meyer ha affermato che l’intento è quello di promuovere la cultura a 360 gradi, quindi anche quella russa, ma nulla ha a che vedere con l’appoggio alla guerra cui, anzi, l’Italia ne ha fin dall’inizio mostrato il suo ribrezzo. La standing ovation ha mostrato infatti che i partecipanti hanno assai goduto della rappresentazione dell’opera, così come molteplici figure politiche, come il capo dello Stato Sergio Mattarella, il presidente del Senato Ignazio La Russa, la presidente del Consiglio Giorgia Meloni, la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen e il ministro della Cultura Ignazio Sangiuliano.
    Inoltre, dal momento che il Boris Godunov è un’opera teatrale dove il protagonista è uno zar che si pente delle proprie azioni, e la stragrande maggioranza del mondo concorda sul fatto che lo zar che c’è recentemente al potere in Russia dovrebbe pentirsi delle azioni che sta facendo politicamente, è di fatto impossibile credere che quest’opera teatrale inneggi la guerra.
    L’arte non dev’essere censurata, altrimenti al posto di progredire regrediamo. Altrimenti finiamo come nel Medioevo dove certi libri scomodi finivano nell’Indice dei libri proibiti o, senza andare così indietro nella storia, quando i nazisti bruciavano dei libri solo perché erano scritti da ebrei o altre persone al tempo discriminate (alcune purtroppo discriminate tutt’oggi). Impedire la rappresentazione di un melodramma solo perché composto da un russo (il cui fine non era quello di inneggiare la guerra, ma mettere in musica il dramma omonimo di Puškin) vuol veramente dire essere intolleranti e non capire che né Musorgskij né la sua opera Boris Godunov centrano minimamente con il sostegno alla guerra russa contro l’Ucraina, anzi, è proprio l’opposto!

  6. L’aspetto su cui mi voglio concentrare, e che più mi ha colpito di quest’opera, è la musica che Musorgskij ha composto per il Boris Godunov. La trovo una musica estremamente moderna e innovativa, considerando il periodo in cui è stata composta, una musica talmente all’avanguardia che dai sui contemporanei veniva considerata una musica imperfetta, come nel caso di Nikolai Rimskij-Korsakov, il quale riorchestrò l’intera opera, o addirittura “volgare” nel caso di Cajkovskij. La musica di Musorgskij incarna perfettamente lo spirito russo che a parer mio è ben reso soprattutto dall’orchestrazione di Musorgskij stesso, il quale si appoggia alle tradizioni popolari e non solo, ben lontano dalla tradizione delle accademie. Basta ascoltare i primi minuti di quest’opera per cogliere subito la vena russa di questa musica, è sufficiente il primo tema eseguito dal fagotto solo e la sua successiva armonizzazione, grazie ai quali Musorgskij con estrema semplicità ci catapulta immediatamente in Russia e col carattere estremamente malinconico di questo tema ci prepara a quella che sarà la vicenda di Boris Godunov.
    È una musica estremamente moderna anche nel linguaggio e nello stile, si può dire che Musorgskij abbia raggiunto la musica dell’avvenire di Wagner anche se in un contesto e con modalità differenti rispetto al compositore tedesco, infatti è evidente l’utilizzo di Leitmotiv, armonie aperte, armonie per quadriadi, ecc.
    Un altro aspetto che mi ha colpito di questa musica è l’estrema aderenza e coerenza che questa ha con al vicenda, come se la musica non fosse un qualcosa di indipendente, ma qualcosa di estremamente collegato se non al servizio della parola e dell’azione scenica, aspetto essenziale della musica che già Monteverdi aveva capito duecento anni e mezzo prima.
    Musorgskij è stato capace di unire questi tre aspetti: la musica dell’avvenire di Wagner, gli insegnamenti di Monteverdi e lo spirito russo; dai quali ha saputo trarre un proprio linguaggio innovativo, moderno e nazionale, che non sempre è stato compreso, e che lo fa entrare di diritto nei grandi della storia della musica e della storia in generale. È quindi corretto che la sua musica venga diffusa e fatta conoscere al pubblico, a prescindere dalla sua nazionalità e dalle vicende politiche che hanno colpito la Russia in questo periodo, vicende che però devono rimanere estranee alla sfera culturale quando queste sfociano nella censura di veri e propri giganti della cultura musicale e non solo.

  7. Vincenzo Vella

    L’opera russa, il capolavoro di Modest Musorgskij, “Boris Godunov”, è stata scelta per inaugurare la stagione 2022-23 del Teatro alla Scala di Milano, lo scorso 7 dicembre. Tale scelta, per quanto mi riguarda, è segno di notevole intelligenza e maturità da parte del sovrintendente Dominique Meyer e del direttore Riccardo Chailly che sfociano ad un chiaro e netto “No a l’ostracismo contro i russi”.
    Le tragiche situazione di attualità, vedono come protagonisti due Stati sovrani: l’Ucraina e la Russia. Per quanto mi riguarda, entrambi gli stati sono succubi di una politica applicata dall’omonimo presidente della federazione russa, che va contro a tutti i possibili insegnamenti che la storia abbia mai potuto darci. È anche vero
    che queste tragiche situazioni di attualità, hanno portato altresì all’attribuzione dei capi d’accusa alla stessa federazione russa e non al diretto responsabile, nonché il governatore della nazione stessa. Difatti ultimamente, andando a generalizzare sull’accaduto, spesso si è rischiato di non valorizzare il panorama culturale e musicale e di non attribuire ad esso i giusti riconoscimenti che merita. Al riguardo, è doveroso riportare le parole esatte del sovrintendente Dominique Meyer: “Io non sono per la caccia alle streghe, non sono per la cancellazione delle opere russe, non voglio nascondermi quando leggo Puskin e mi assumo le mie responsabilità per queste scelte”. A queste parole mi sento in dovere di aggiungere anche l’opinione del direttore Riccardo chailly: “La musica russa per me parte da molto lontano -ha detto il direttore musicale- e con il sovrintendente Meyer ci avevamo pensato già tre anni fa. Ho cominciato nel 1981 proprio con un’opera russa e da allora il mio viaggio è continuato nello studio del grande repertorio della musica russa”. infine mi sembra doveroso, anche se non paragonabile ai due precedenti commenti da parte di due figure di notevole rilievo del panorama operistico, una mia propria opinione. Secondo me, sono proprio queste le Persone che attraverso la decisione di scegliere “Boris Godunov, di Musorgskij” -uno dei personaggi di notevole importanza appartenente al gruppo dei 5- che attribuiscono nel tempo stesso sia i giusti riconoscimenti al panorama culturale e musicale russo sia i capi d’accusa al vero responsabile di questa guerra, nonché il governatore Vladimir Putin.

  8. Vincenzo Vella

    Mi sembra anche doveroso riportare anche un’analisi oggettiva dell’opera lirica.
    La stessa è suddivisa in quattro atti e nove quadri – data la Seconda versione.
    L’organico, è suddiviso in: 3 flauti (anche 3 ottavini), 2 oboi, (anche 2 corni inglesi), 2 clarinetti, 2 fagotti, 4 corni, 2 trombe, 3 tromboni, tuba, timpani, grancassa, rullante, tamburello, piatti, pianoforte, arpa e archi.
    Gli uomini geniali hanno spesso avuto vite difficili, e Musorgskij non fece eccezione a questa regola. D’altronde ricordiamo l’importante citazione dell’omonimo compositore “Tutto è finito,il dolore sono io”.
    Dopo il grande esperimento sinfonico della Notte sul Monte Calvo (1867), una gigantesca esplosione piena di splendide invenzioni timbriche e armoniche, fu lui a spalancare la strada maestra dell’opera russa nella sua fase matura, iniziando a scrivere Boris Godunov l’anno successivo. Terminò la composizione nel 1869, la sottopose alla commissione del Teatro Mariinskij di San Pietroburgo che giudicava le nuove partiture e attese una risposta fino al febbraio del 1871. Finalmente venne a sapere che un manipolo di censori, sei su sette membri della commissione, aveva bocciato il suo lavoro, col pretesto che non vi aveva inserito un personaggio femminile!
    Il musicista si rimise al tavolo, e nel 1872 terminò una seconda, più ampia versione, producendo un altro capolavoro, profondamente diverso dal precedente. Stavolta la donna c’era e cantava per un atto intero (il terzo), anche se Marina Mnisek non risponde ai canoni dell’amore romantico, sempre che i giudici ne abbiano sentito davvero la mancanza. Si videro poi tre grandi scene del lavoro in alcune serate promosse da una cantante intelligente, che si fece in quattro per tutelare quel genio incompreso: il successo clamoroso portò finalmente la partitura al debutto scenico, sotto la direzione di Nápravník (probabilmente l’unico membro della commissione che aveva espresso un giudizio favorevole nel 1871).
    Ma era pensabile che un’opera così poco allineata ai canoni, e per giunta tratta dal Boris Godunov di Puskin, era fortemente connotato ideologicamente e innovativa nei confronti delle forme teatrali di tradizione.

  9. “Il primo: Il padre era un furfante; i figli sono innocenti. Un altro: La mela non cade lontano dal melo.”

    Questa citazione, tratta dall’opera “Boris Godunov” di Musorgskij rappresentata al Teatro alla Scala per l’inaugurazione della Stagione 2022/2023, ci consente di riflettere sulla situazione politica attuale e sull’impatto che la scelta di rappresentare proprio quest’opera possa avere in questo determinato periodo storico.
    Con lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina infatti numerosi artisti si sono ritrovati esclusi dagli ambienti culturali per via della loro origine russa. Questo probabilmente perché, come richiama la citazione, molti ritengono ancora che la mela non possa cadere lontano dall’albero e di conseguenza, sostenendo artisti russi, si sostiene automaticamente anche la guerra scoppiata per volere del capo di nazione Putin.
    A smentire questa credenza sono intervenuti Kasper Holten e Riccardo Chailly, regista e direttore della produzione di quest’opera al Teatro alla Scala: non solo hanno messo in scena un’opera interamente russa (sia il compositore Musorgskij che il librettista Puskin sono originari della Russia), ma hanno anche affidato l’interpretazione di alcuni ruoli principali a cantanti russi (Ildar Abdrazakov, Lilly Jorstad).
    Hanno voluto in questo modo oltrepassare la barriera di polemiche sulla diffusione di tale cultura, di certo estranea ai fatti politici avvenuti negli ultimi mesi.

  10. Con la rappresentazione dell’opera russa “Boris Godunov” di Musorgskij, il regista Holten ed il direttore artistico Chailly hanno fatto un chiaro riferimento ai fatti politici avvenuti in questi ultimi mesi.
    Ovviamente, nella rappresentazione teatrale non sono stati fatti dei riferimenti espliciti riguardanti la guerra in Ucraina, però sono stati aggiunti numerosi elementi che possono, simbolicamente, richiamare all’attualità.
    Basti pensare alla scelta dei costumi e di come essi appartengano ad epoche differenti: non viene così lasciato intuire il periodo storico in cui è si svolge la scena.
    La storia è resa così attuale ed universale e in essa si possono reinterpretare fatti avvenuti in conflitti di ogni epoca.

  11. Luigi Habib Yeddes

    È inevitabile l’andare a toccare certe tematiche di aspetto politico nel trattare questo argomento. Tengo tuttavia ad attenermi (giustamente) ad una certa imparzialità (non essendo richiesta opinione alcuna a riguardo), anche perché trovo che polemizzare intorno a questa faccenda sia qualcosa che in molti fanno senza un autentico pensiero critico, sfociando in dibattiti di una comica bidimensionalità.

    In un’epoca in cui (si spera) censura e e limitazioni da un punto di vista espressivo sono ridotte al minimo, trovo impensabile l’impedire ad una certa identità culturale di esporsi al pari delle altre.
    È questa, a parer mio, l’idea che Meyer e Chailly hanno scelto di sostenere: limitare la divulgazione dell’arte per motivi politici è un insulto a questa.
    Seppur l’arte sia da sempre, in qualche punto nella storia, stata usata come mezzo politico a fini propagandistici da regimi insensibili nei suoi confronti, questa è a parer mio da scindere totalmente dalla politica.

    La scelta fatta dal teatro alla Scala è dettata dal desiderio di ridare voce ad un popolo che soffre tanto quello Ucraino durante questo conflitto; non è solo l’organo governativo russo a risentire dei danni provocati dall’ostracismo mondiale nei suoi confronti, ma anche (soprattutto) il suo popolo, che vede puntate a sé le dita del mondo intero, come se a volere la guerra fosse la Russia intera e non solo una ristretta minoranza.

    “Gli uomini giudicheranno le tue parole, le tue azioni; le tue intenzioni le vede solo Dio.”
    Chissà, forse il sovrintendente Meyer ed il direttore Chailly avevano in mente questa frase tratta dall’opera nel sceglierla come apertura della stagione, già aspettandosi critiche ed accuse.

  12. Enrico Aiman Mismara

    Mismara 2°Intervento

    Personalmente trovo l’opera molto interessante, tuttavia nonostante ci sia molto da apprezzare anche con gli occhi (scene, costumi effetti speciali…) tendo a tralasciare la parte visiva per lasciare spazio ad un ascolto completo dei cantanti e soprattutto dell’orchestra. Sono consapevole che come metodo di approccio all’opera, il mio non permette una visione contestuale del 100%.
    Al giorno d’oggi è importantissimo promuovere l’arte e la cultura e all’interno di esse, l’opera è senza ombra di dubbio uno dei fenomeni artistici classici più imponenti, sia dal punto di vista dell’influenza che da quello dell’impiego di risorse. Infatti per organizzare anche una sola serata operistica occorre l’utilizzo di un enorme quantità di risorse e di persone.
    Come detto prima l’opera ha una grande influenza nel settore , basti pensare alle forme di censura imposte in passato per volere di potenti che vedevano questa forma d’arte come una mastodontica macchina per la propaganda e per l’indottrinamento. Fortunatamente per far valere i propri ideali, spesso i compositori ricorrevano a tecniche per sviare il vero significato della propria opera, basti pensare al Nabucco di Verdi, essa permise al compositore di partecipare ai moti rivoluzionari del tempo, facendo inoltre girare il suo nome, il tutto evitando le forme di censura.
    Il potere propagandistico dell’opera rimane sempre alto, tutta via con l’avvento di nuovi generi/forme musicali e con la modernizzazione della società, si è visto diminuire rispetto al passato.

    CITAZIONE
    “Siano i nostri corpi i gradini per il tuo trono di zar.“
    tra tutte le citazioni presenti nel blog questa è quella che più mi ha colpito. Questa frase mi ha fornito già dalla prima lettura un’immagine della situazione in questione, dove i sacrifici di molti vanno a vantaggio di una persona ( in questo caso lo Zar) intenta a perseguire la via del potere e dell’egoismo.
    La considero una frase molto cruda e diretta, chi la dice mi da la sensazione che non abbia altra scelta se non piegarsi al potere. della serie :” o la totale ubbidienza e lealtà o la morte”

  13. Luigi Habib Yeddes

    Vorrei focalizzare l’attenzione sugli spettri che per tutta la durata dell opera infestavano la scena. È stato detto che la ricorrenza di queste macabre figure, i fantasmi dei defunti figli di Boris vittime dello Zar, fosse prossima al pleonasmo e che difficilmente ne si giustificasse la ridondanza.
    Sostengo invece che queste figure, per quanto insignificanti possano essere da un punto di vista di appariscenza in certe scene (ad esempio quella dell’incoronazione) abbiano un loro giustificatissimo senso: costituiscono un punto di riferimento per lo spettatore che può talvolta risultare rapito dallo “sfarzo” o il “trionfo” che traspare dalla natura stessa di queste scene. Osservando le auree vesti dello Zar, la luminosa navata della basilica di San Basilio, in qualche modo spiccano queste tetre entità. Sono una sorta di monito allo spettatore: “non dimenticare” dicono mentre macchiano la scena con i loro abiti imbevuti di sangue.

  14. Anna Billetto

    La messa in scena di quest’opera “Boris Godunov”, capolavoro del compositore russo Modest Mussorgky e ispirato al dramma di Aleksander Puskin nella versione composta nel 1869, stata poi modificata in seguito con l’aggiunta di tre nuove scene.
    A parer mio mettere in scena quest’opera, nonostante sia un capolavoro è cupa e pessimistica, si può connettere al mondo di oggi, in particolare alla situazione politica che si sta verificando in questi mesi tra Ucraina e Russia, mettendo in risalto questi scontri politici il maniera marcata.
    Nonostante alcune proteste fatte dal popolo ucraino a Milano vorrei concluder con questa citazione “È una cosa diversa, secondo me è giusto mantenere le due dimensioni separate”, che più sottolineare il fatto che il mondo dell’arte e l’ambito politico siano due dimensioni diverse che devono essere mantenute separate.

  15. Il capolavoro russo di Petrovič Musorgskij del 1869 consiste in un dramma popolare costituito da un prologo e tre atti, ispirato all’omonima tragedia di Aleksander Puškin e all’opera storiografica Storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin.
    La scelta di inaugurare la nuova Stagione 2022/23 al Teatro alla Scala con Boris Godunov è stata senza ombra di dubbio una delle soluzioni più ardite mai ipotizzate in precedenza, soprattutto in correlazione alle censure e all’ostilità nata in questi ultimi mesi nei confronti del popolo russo.
    Boris Godunov è ricco di non pochi riferimenti alla condizione odierna dello Stato sovietico… prima di trattare l’opera in sé, dunque, è opportuno delineare alcune informazioni riguardo le circostanze attuali.
    La recente guerra russo-Ucraina, con i suoi continui attacchi verso il popolo ucraino ha finora causato un ammonto di oltre 6.700 vittime, recando dolore e distruzione non solo alla debole città di Kiev, ma anche all’animo dell’intera Europa, spaventata dall’autoritarismo del presidente Vladimir Putin, e dai costanti rincari dei prezzi causati dal blocco dei traffici internazionali con la Russia.
    L’autoritario Putin ha imposto delle condizioni sì brutali dall’aver determinato l’esclusione dei sovietici non solo dalle parentesi economiche e sociali, ma anche da quelle culturali: la Russia, nonostante la grandiosità del proprio patrimonio artistico e culturale, ha determinato con le proprie azioni un’ostilità che difficilmente potrà mai essere superata.
    E l’Italia, una delle sedi più titolate al ruolo di riferimento culturale e artistico internazionale, ha ben colto il rigetto comune nei confronti dei sovietici: partendo da questi presupposti, da un lato ha donato luce alla cultura sovietica attraverso la rappresentazione di un’opera composta da uno dei più celebri artisti russi, Musorgskij; dall’altro, ha evidenziato le contraddizioni che da sempre hanno caratterizzato lo Stato Russo (e non solo). In questo senso, il Teatro alla Scala ha considerato ogni singolo aspetto, rendendo l’Opera non solo un’importante strumento artistico e culturale, ma anche politico, di propaganda e di riflessione morale.
    A tale proposito, la riflessione del giornalista Roberto Mori diventa un notevole spunto di riflessione, che gradirei accomunare ad una citazione del celebre Puškin “L’abitudine è l’anima degli Stati”: secondo Mori, è difficile pensare ad un’opera più cupa e pessimista di Boris Godunov in quanto Musorgskij non crede all’idea di un concreto progresso storico, quanto più alla casualità (o alla ripetitività) e alla possibile mancanza di senso degli eventi.
    Dopo il regime dello zar Ivan IV il terribile, il quale aveva mantenuto una linea di governo brutale e senza margine di confronto (proprio come Filippo II nel Don Carlo di Verdi), sale al trono Boris Godunov grazie all’omicidio politico del legittimo erede al trono Dmtrij, figlio dello Zar Ivan IV.
    Nonostante Boris tentasse di governare in modo più umano e solidale, egli non riuscì a resistere al senso di colpa tanto che iniziò ad avere allucinazione riguardo il fantasma di Dmitrij. È forse il senso di colpa che lo portò a soccombere? Di certo un altro dittatore sfrontato ed agguerrito quale Benito Mussolini non provò alcun risentimento dinanzi all’omicidio politico da lui commesso (“Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, allora io sono il capo di questa associazione). Tralasciando le dittature totalitarie novecentesche, riguardo le quali sarebbe comunque entusiasmante percorrere un ragionamento, è importante cogliere il senso dell’Opera, composta da un animo tormentato ma al contempo pragmatico e illuminante (“Tutto è finito, il dolore sono io”). Boris, l’unico regnante umano, è tramontato dinanzi ai propri sensi di colpa lasciando il posto all’ennesimo governante spietato.
    Nonostante la ricerca di cambiamento, perciò, l’uomo è per natura destinato all’abitudine, sebbene quest’ultima risulti malsana e antiprogressista: ancora oggi, tornando alla questione di Kiev, lo Stato sovietico è governato da un dittatore disumano e spietato: similmente alle dittature novecentesche, il popolo debole è protratto alla ricerca di una figura mitica, protettiva, implacabile e apparentemente umana che li protegga dinanzi alla paura di una possibile crisi.
    Il Teatro alla Scala ha dunque percorso un sottile e implicito percorso morale che non solo ha avuto il compito di discostare le brutalità di un governante dalle meraviglie culturali del proprio Paese, ma ha anche messo in luce le contraddizioni che da sempre caratterizzano gli Stati, già dagli inizi seicenteschi del periodo di Boris, sino ai più attuali tempi del 2023.
    Holten e Chailly hanno infine lasciato ampio margine di riflessione, mostrando due direzioni possibili: è forse più vantaggioso governare in modo spietato al fine di mantenere il controllo sociale ignorando la voragine individuale, o cercare un confronto più diplomatico e umano rischiando tuttavia di soccombere come Boris e Macbeth dinanzi alle rigide regole morali?

  16. Trovo la “Storia dello Stato Russo” un argomento brillante, ricco e piuttosto travolgente.
    Difatti l’autore vi si dedicò dal 1804 fino alla morte, avvenuta nel 1826. È suddivisa in 12 volumi e tratta della storia della Russia dalle origini fino al 1612. I primi otto volumi uscirono nel 1818, quando in Russia era assai vivo l’interesse per la propria storia, esaltato dall’orgoglio nazionalistico dopo la lunga e vittoriosa guerra antinapoleonica, e godette perciò di grande popolarità. Successivamente uscirono altri tre volumi mentre il dodicesimo, incompiuto, fu pubblicato postumo.
    Puškin scrisse che « tutti, perfino le dame del gran mondo, hanno cominciato a leggere la storia della propria patria. È stata semplicemente una rivelazione. Diresti che Karamzin ha scoperto l’antica Russia allo stesso modo che Colombo l’America ».
    Ideologo dell’autocrazia, che esaltò anche nella sua precedente opera, Sulla Russia antica e moderna, del 1811, Karamzin « studiò quasi esclusivamente le azioni politiche dei sovrani trascurando del tutto il popolo. Il suo giudizio sui governanti è spesso sentimentalmente moralistico e le sue idee fondamentali sulle virtù dell’autocrazia falsano il suo giudizio sui singoli fatti ».
    I caratteri positivi dell’opera sono la comprensione della storia russa « come un tutto coerente e omogeneo », mentre l’atteggiamento moralistico di Karamzin comportò necessariamente la condanna della « politica egoistica e tirannica » dei sovrani.
    Lo stile della Storia è retorico ed eloquente. Compromesso tra la lingua dei letterati conservatori e le esigenze del suo rinnovamento propugnate dallo stesso Karamzin, l’opera piacque a tutti i contemporanei, che la considerarono il miglior risultato raggiunto dalla prosa russa, pur se « alcuni critici ne avvertirono gli sdilinquimenti sentimentali e la povertà espressiva ».

  17. Angela Mandalà

    La scena in cui splende maggiormente la potenza e forza ma anche debolezza dello zar è sicuramente la scena dell’incoronazione dell’opera di Boris Godunov. Il pianto del clarinetto e gli accordi dei contrabbassi disegnano l’atmosfera cupa del dramma. Il popolo disorientato necessita di una nuova figura politica che li guidi. Le campane suonano nella scena dell’incoronazione del nuovo sovrano Boris ma la musica non trasmette nulla di trionfale. Tutto appare solenne ma con toni maledetti e crudeli. Quando Il fantasma di Dmitrij gli appare davanti, lo zar infatti mostra il suo senso di colpa del suo delitto.

  18. Francesco Fojadelli

    La rappresentazione dell’opera “Boris Godunov” di Musorgskij è stata una scelta che ha portato ad un sollevamento di numerose polemiche, merito del regista Holten ed il direttore artistico Chailly, riguardo i riferimenti alle politiche attuali (il conflitto fra Russia e Ucraina) nella relativa zona geografica.
    Viene sottolineato in particolar modo l’aspetto della censura, una pratica che esiste da secoli, applicata come metodo di selezione delle informazioni da parte di una figura/regime autoritaria/o, a vantaggio proprio, ovviamente. Questo comportava, e in alcune zone del mondo ancora adesso, per le persone comuni che trasgredivano alle censure imposte, pene molto pesanti da parte delle forze autoritarie, azioni illegittime rispetto alla riconoscenza attuale del diritto di libera stampa, dunque anche al diritto di parola dei singoli.
    Questo concetto viene applicato in questo contesto, nel momento in cui una situazione geopolitica influisce sulla censura del patrimonio culturale/artistico di un paese, considerato di estrema importanza a livello umanitario. Bisogna riflettere su questo aspetto, sul fatto che le azioni socio politiche, non debbano influire in alcun modo sull’importanza del patrimonio culturale, in quanto aspetti che vanno considerati su due piani di discussione totalmente differenti. Ad esempio, nella prima metà del ‘900 numerosi studiosi, scienziati (Albert Einstein), artisti… sono stati costretti ad emigrare da un luogo nel quale non erano considerati per ragioni politiche, nonostante le loro conoscenze a livello culturale (Albert Einstein, ad esempio, in quanto ebreo, emigrò negli Stati Uniti, non potendo continuando a lavorare nella Germania antisemita degli anni 30’)
    La scelta della rappresentazione di quest’opera, dunque, un esempio italiano per il mondo intero del rispetto della democrazia e della cultura umana. E’ il rispetto del compositore Musorgskij, che non fa influire le sue ideologie e il suo punto di vista nella composizione dell’opera, non idealizza nessun gruppo politico, sociale e religioso.
    Cit. di Albert Einstein: “L’antisemitismo è sempre stato il mezzo più economico impiegato da minoranze egoistiche per ingannare il popolo.”

  19. Luca Toninelli

    Il nazionalismo è quella tendenza degli stati che non si ferma al patriottismo, ma lo supera in senso negativo perché celebra la nazione a cui si appartiene manifestando esplicitamente la presunta superiorità della stessa su gli stati stranieri. Negli stati europei, ma non solo, il nazionalismo si è sviluppato circa a fine Ottocento, quando essi hanno sviluppato, quasi in contemporanea al nazionalismo stesso, un interesse affine all’esumazione dei caratteri relativi alla cultura (specialmente quella folklorica, popolare) del proprio passato, con l’intenzione di indagare e riscoprire le proprie tradizioni per ribadire il valore della propria identità culturale e quindi di nazione. È da qui che nacque l’etnomusicologia.
    Rappresentare opere che appartengono alla propria nazione significa oggi sia mostrare di essere fieri di appartenere al proprio stato, sia proporre la propria ricchezza agli altri stati. Rappresentare opere che appartengono culturalmente ad altri stati significa invece cercare di accrescere il proprio patrimonio culturale, perché è proprio dallo scambio con il diverso che c’è un arricchimento reciproco. La scelta di riprodurre il Boris Godunov, un’opera russa, alla prima del Teatro della Scala 2022-2023 mostra da una parte la volontà di arricchirsi attraverso uno scambio culturale, e dall’altra la volontà di sostenere il popolo Ucraino nella guerra contro la Russia, perché la trama del Boris Godunov narra di uno zar a capo della Russia che si pente delle atrocità che ha commesso.

  20. Luca Toninelli

    Nonostante le intenzioni siano buone, per la delicatezza e l’attenzione che questo momento storico, carico di tensioni, richiede, proporre un’opera russa, per di più alla Prima della Scala (cioè caricata ulteriormente di significato e forza) significa scuotere un’atmosfera troppo precaria e delicata. Ciò rischia di generare fraintendimenti e di comunicare il messaggio opposto perché è troppo facilmente interpretabile dai più (praticamente quelli che non ne conoscono la trama, quindi per colpa loro, per ignoranza) in senso negativo, cioè come sostegno alla Russia, nonostante l’Italia abbia più volte ribadito la propria ostilità alla guerra. Non reputo un errore l’aver rappresentato il Boris Godunov ora, però secondo me sarebbe stato più cauto rappresentarlo in un altro momento (per esempio alla fine della guerra, e se l’Ucraina avesse vinto, come speriamo tutti farà), non ora, per i motivi elencati sopra. L’unico modo per far sì che la riproduzione dell’opera Boris Godunov fosse rappresentabile senza problemi anche in questo periodo storico sarebbe stata quella di spiegare e introdurre opportunamente l’opera stessa illustrando i motivi e il fine che ci si stava proponendo di portare avanti. In questo modo, le critiche sarebbero state troncate prima ancora di nascere. Rappresentare il Boris Godunov senza questo passaggio e lasciare liberamente ciascuno di interpretarlo a proprio piacimento è una mossa troppo azzardata, troppo facilmente criticabile. Un’ottima alternativa sarebbe stata quella di rappresentare un’opra lirica ucraina, questo sì che sarebbe stato un esplicito sostegno al popolo ucraino.

    • Non sono d’accordo che per rappresentare quest’opera si debba aspettare la fine della guerra che vede coinvolte la Russia e l’Ucraina. Se dovessimo seguire questo ragionamento significa che si dovrebbero togliere da qualsiasi programma anche le musiche di Cajkovskij, Borodin, Rimskij-Korsakov, Prokofiev, Stravinsky, ecc. Mentre in campo letterale si dovrebbe togliere qualsiasi seminario, ad esempio, su Dostoevskij. Si tratterebbe di un’enorme ed insensata censura causata dalla pazzia di un singolo uomo, a discapito di una cultura meravigliosa formatasi non senza difficoltà.
      Potrei essere d’accordo con questa osservazione se alla Scala fosse andata in scena un’opera composta in questo periodo, che parla proprio di questo conflitto ed elogia la Russia per ciò che ha fatto e sta facendo tuttora. Ma non è questo il caso, si tratta di un’opera che è stata composta 150 anni fa e che parla di uno zar vissuto nel 1500, è quindi un’opera del tutto estranea a ciò che sta accadendo oggi e ha l’unica colpa di essere stata composta da un compositore russo e quindi si presta facilmente a polemiche, a parer mio del tutto inutili.
      Trovo non corretto anche il fatto che si debbano dare delle spiegazioni che giustifichino la scelta di questa particolare opera, infatti alla Scala il 22 novembre 2022 si è tenuta una conferenza stampa con cui è stato presentato/contestualizzato e introdotto il Boris Godunov e sono state spiegate le motivazioni per cui è stata scelta quest’opera per la prima, come avviene ogni anno per la prima della Scala. Ma non trovo giusto che la Scala si debba giustificare per avere scelto un’opera russa per inaugurare la stagione 2022/2023, soprattutto perché reputo che dietro a questa scelta non ci sia nessun intento propagandistico di sostegno alla Russia per denigrare il popolo ucraino, ma il semplice intento di far conoscere al pubblico un’opera praticamente sconosciuta, che ha tutti i criteri giusti per essere considerata un capolavoro e quindi di essere degna per un evento importante come l’apertura della stagione della Scala.

  21. Angela Mandalà

    Suscita grande curiosità e interesse che il Teatro alla Scala abbia deciso di inaugurare la nuova stagione teatrale con un’opera lirica russa (7 dicembre 2022) soprattutto in tempi recenti, con eventi catastrofici come la guerra in Ucraina. Il grande manoscritto, al centro, su cui Pimen ha scritto le sue cronache, dà l’idea dello scorrere della Storia che inesorabilmente si ripete. Un elemento caratterizzate, e musicalmente parlando, di quest’opera è il popolo e il coro. Musorgskij fa riferimento alla musica ortodossa e alle melodie della tradizione.

    Molti assoli presenti, infatti, sono monologhi o canzoni. La musica solenne, crudele, maledetta dell’opera esalta l’uomo e la sua natura interiore; appassiona e scalda il cuore. L’orchestra è delineata da fraseggi morbidi e ricchi di colore. L’interesse sia dell’intellettuale romantico Puskin sia del compositore Modest Musorgskij per la propria cultura popolare, contadina e antica, li accomuna a quello del Teatro alla Scala il quale ha scelto un’opera caratterizzante della storia dello Stato zarista, proponendo il suo carattere artistico, musicale, confermandosi pertanto fra le sedi più titolate al ruolo di riferimento culturale e artistico internazionale.

  22. Il teatro La Scala di Milano mette sempre in scena le migliori opere del repertorio mondiale: a dir poco emozionante è quella di quest’anno, un’opera che parla di conflitto e miseria, un’opera che racconta dell’ascesa di un uomo solo al potere e che sembra evocare scenari che quotidianamente e drammaticamente abbiamo a che fare.
    Boris Godunov inaugura la stagione del teatro alla Scala in tempo di guerra e crisi economica, un’opera che parla di potere e di cosa si è disposti a fare per ottenerlo.
    L’opera è ambientata all’interno di una nazione, la storia della Russia, continuamente lacerata dalla violenza e dalla sofferenza. Una storia che parla di controllo ma, allo stesso tempo, la storia dell’uomo al potere, Boris stesso, il quale inizia ad soffrire di allucinazioni segnate del bambino che ha dovuto uccidere per salire al trono.
    Noi seguiamo quindi la sua follia mentre egli vive i fantasmi del passato apparire nella sua mente.
    “Alla luce di quanto riportato, credo ci possano essere le premesse per una riflessione più attuale, circa l’importanza dell’Opera e dell’attività teatrale oggi, fra cultura ed arte, propaganda e politica.”
    Un inno alla cultura russa come preziosa richiesta per la pace, un opera toccante che ha commosso migliaia di cuori al pensiero della guerra in Ucraina e alle sofferenze del suo popolo.
    Scelta più che azzeccata quella di mettere in scena un’opera così vicina a noi in un periodo storico come quello che stiamo vivendo da più di un anno a questa parte. Ho apprezzato venisse dunque inscenata la ricerca della verità e in questo caso la storia di Boris della Russia, storia che non potremo cancellare ma dalla quale si deve imparare.

  23. Poco tempo fa ho avuto l’occasione di imbattermi nella lettura di un autore russo, Aleksandr Puškin, la cui vita si è conclusa tragicamente: morirà a soli trentott’anni dopo aver accettato la partecipazione ad un duello per ragioni d’onore. L’autore, nonostante la brevità della sua vita, ha composto numerosi capolavori tra cui una tragedia dal carattere preromantico composta cinquant’anni prima dall’uscita di Boris Godunov, su cui imposterà il testo.
    La sua figura è così importante che lascerà indelebilmente la sua impronta nella musica operistica, e che verrà proposta il giorno della prima della Scala.
    La drammaticità dell’opera si manifesta attraverso l’azione del personaggio, simbolo delle forze oscure insite nella forza del potere e che rappresenta pienamente il periodo storico che stiamo vivendo.
    D’altro canto vi è la rappresentazione del popolo, vittima e succube del fascino che genera il potere.
    L’idea era quella di alternare Macbeth e Boris per far capire quanto la distruzione sia immediata per chi possiede il potere mal gestito, che può portare al delitto e alla distruzione, e nel caso di Boris alla follia e alla morte.
    Mi auguro che la visione e l’ascolto dell’opera, possa sensibilizzare e stimolare l’animo culturale e musicale dei fruitori.
    Tutta la grande musica, in tutte le sue forme, costituisce sicuramente una delle grandi strade per passare dalla contingenza all’infinito, dallo spazio all’eterno, dalla realtà umana creaturale e quotidiana per elevarsi all’infinito del mistero.

  24. Davide Capelletti

    compositore, nato in una famiglia di proprietari terrieri – decise di dedicarsi alla musica abbandonando la carriera militare – aveva subìto le conseguenze economiche dell’abolizione della servitù della gleba, riducendosi a una vita incerta e precaria, minata dall’alcol e dall’epilessia. Boris Godunov è la sua prima opera e irrompe sulle convenzioni del teatro musicale del tempo con effetti dirompenti. Il libretto, di pugno del compositore, attinge alla tragedia di Puškin, e alla Storia dello Stato russo di Alexander Karamzin, per disegnare un dramma shakespeariano sullo sfondo del cosiddetto “periodo dei torbidi” (1598-1614), gli anni di anarchia compresi tra la morte di Ivan il Terribile e l’avvento dei Romanov.
    Per farlo Musorgskij immagina un linguaggio musicale visionario e anticipatore, spezza le forme chiuse dell’opera tradizionale in favore di un’adesione assoluta alla morfologia della lingua russa.
    Dopo poco più di un anno di lavoro, dall’ottobre 1868 al dicembre 1869, Musorgskij presenta alla commissione dei Teatri imperiali di San Pietroburgo un’opera divisa in sette scene senza numeri chiusi, senza intrecci sentimentali, non ha alcuna parte femminile di rilievo e non prevede un tenore eroico o amoroso.
    Ur-Boris o Boris originario: denso, cupo, profondo, troppo inconsueto per la commissione. Fu respinto con sei voti e solo uno favorevole.
    Il compositore allora – tra il 1871 e il 1872, in un periodo in cui divide la stanza con Rimskij-Korsakov – operò una radicale revisione (la cosiddetta “versione originale”) che prevede l’aggiunta di tre nuove scene. Due costituiscono lo spettacolare “atto polacco” in cui, non solo una serie di canzoni popolaresche interviene a smorzare la cupezza generale, ma la voce tenorile di Grigorij (il “falso Dimitri”) trova spazio ed espansione eroica accanto a Marina, il personaggio femminile assente nella prima versione.
    La terza scena, inoltre, rielabora temi della “scena dell’innocente”, sposta il finale dai toni dimessi della morte di Boris alla grandiosa rivolta nella foresta di Kromy. Non solo la continuità è spezzata in favore di una “drammaturgia a quadri” e si sposta tra luoghi e tempi diversi, ma tutta la musica viene riscritta attenuando il realismo per un più accentuato slancio lirico.
    Tale revisione fu sufficiente a far rappresentare l’opera, che andò in scena al Mariinskij l’8 febbraio 1874, ma non a decretarne il successo. La critica, e i colleghi, accusarono l’autore di cattivo gusto e ignoranza musicale: di fatto un autentico linciaggio. La sopravvivenza del titolo sulle scene si deve, in buona parte, alla revisione completata da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1896, che reinventa l’opera ricoprendola di un’orchestrazione lussureggiante di immensa seduzione, ma in netto contrasto con le tinte scabre e severe volute da Musorgskij.
    Nel 1928, il musicologo russo Pavel Lamm, pubblica una revisione critica comprendente le due versioni originali in partitura, rispettose della volontà dell’autore e dei suoi accuratissimi manoscritti.
    La prima esecuzione assoluta dell’Ur-Boris ha luogo il 16 febbraio 1928 a Leningrado. Una nuova versione è poi approntata da Šostakovič tra il 1939 e il 1940 e va in scena a Mosca nel 1959.
    La definitiva riscossa esecutiva dell’Ur-Boris dovrà attendere la versione del Kirov diretta da Valery Gergiev nel 1992.
    Vicenda cupa e attuale dove riecheggia l’argomento del Macbeth verdiano con cui il Teatro alla Scala ha inaugurato la passata Stagione. Siamo nel 1598: morto lo zar Fëdor, guardie e sacerdoti esortano il popolo a pregare perché il boiaro Boris Godunov accetti di ascendere al trono. L’incoronazione ha luogo nella piazza delle cattedrali del Cremlino con un’imponente cerimonia turbata, però, da alcuni disordini. In una cella del monastero di Čudov l’anziano monaco Pimen sta per terminare la sua cronaca delle vicende della Russia ove riporterà la verità sull’assassinio dello zarevič Dimitri, legittimo erede al trono, perpetrato su ordine di Boris. Pimen narra il delitto al novizio Grigorij che, avendo la stessa età dello zarevič, decide di farsi passare per lui e guidare una rivolta contro Boris per impossessarsi del trono. Grigorij ripara in Polonia evitando l’arresto attraversando la frontiera con la Lituania. Le ultime scene narrano fatti accaduti nel 1604: i figli di Boris, Xenia e Fëdor sono cresciuti, lo zar governa un paese ormai stremato dalla carestia in cui il malcontento serpeggia tra il popolo e si moltiplicano le voci sul regicidio commesso. Alle frontiere premono le forze ribelli guidate da Grigorij. Perseguitato dal fantasma dello zarevič, Boris Godunov perde il senno e muore dopo un’ultima esortazione al figlio Fëdor.
    DAVIDE CAPELLETTI

    Lo spettacolo, firmato da Kasper Holten e dal suo gruppo creativo, propone una lettura dell’opera incentrata sui temi della coscienza opposta al potere e della verità opposta alla censura. Alla radice della riflessione registica c’è l’origine del libretto, il dramma di Puškin, composto nel 1825 e pubblicato nel 1831.
    Affrontando l’epopea del “periodo dei torbidi” Puškin si ispirava apertamente ai grandi drammi storici shakespeariani, non solo nella grandiosità dell’affresco, ma anche nella profondità dei personaggi e, proprio al teatro del Bardo, si rifanno alcune soluzioni adottate, tipo la rappresentazione del senso di colpa attraverso la materializzazione sulla scena di fantasmi reali o immaginati. Lo spettro dello zarevič è un elemento ricorrente, segno visibile della colpa e della follia del suo assassino.
    Altro elemento posto in primo piano è la figura di Pimen – in scena sin dall’inizio intento a scrivere la sua cronaca – testimonianza veritiera e quindi politicamente pericolosa dei fatti che Boris, e i suoi scribi, tentano di occultare. Pertanto, al centro dell’allestimento, questo richiamo alla verità, alla necessità di testimoniarla, lo spettatore verrà trasportato all’interno della cronaca di Pimen, e quindi della Storia, in cui passato, presente e futuro si intersecano e si influenzano. Una Storia circolare in cui la violenza torna come una costante.
    La vicenda, articolata in sette scene, è divisa in due parti ben distinte sottolineate dall’inserimento di un intervallo: nelle prime quattro scene assisteremo alla cerimonia pubblica dell’incoronazione come mezzo propagandistico per trascinare il popolo, alla sovversiva testimonianza di verità di Pimen osservando Boris dall’esterno. Nelle restanti tre scene – quasi sette anni dopo – assisteremo a come Boris cerchi di convivere con la colpa percependone la paura ed, entrando nella sua mente, il percorso verso la follia.
    Anche qui i piani temporali si intersecano: Fëdor e Ksenija, avranno lo stesso destino dello zarevič, ma anche di tante vittime della violenza cieca del potere assoluto. Con la morte di Boris si chiude un circolo fatto di inchiostro e di sangue. L’allestimento si avvale delle scenografie della britannica Es Devlin mentre i costumi, della danese Ida Marie Ellekilde, attraversano la storia spaziando con spirito creativo e non filologico dai tempi di Boris Godunov a quelli di Puškin, di Musorgskij fino ad alludere al presente.
    Grande attesa anche per gli interpreti delle parti principali con – oltre al protagonista – Ain Anger (Pimen), Stanislav Trofimov (Varlaam), Dmitry Golovnin (Grigorij), Norbert Ernst (Šujskij), Lilly Jørstad (Fëdor).
    Il Coro del Teatro alla Scala sarà preparato e diretto dal Maestro Alberto Malazzi.L’opera ha un significato profondo, soprattutto per quanto riguarda la storia di uno degli stati più imponenti del continente, in secondo luogo è importante per l’attualità della rappresentazione.
    La scelta della scala di Milano a parer mio è azzeccata in particolare per il periodo che stiamo vivendo in questo momento, la Russia dagli ultimi mesi è in guerra per conquistare l’Ucraina, questo riflette un po’ il contenuto dell’opera molto complessa e elaborata, che però scava nella storia della politica russa

  25. La Stagione 2022/2023 al Teatro alla Scala è stata inaugurata da Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij, un dramma musicale popolare in un prologo a tre atti. Il Maestro Riccardo Chailly sceglie di riprendere la prima versione del 1869, ispirata a sua volta alla omonima tragedia di Aleksandr Pushkin e alla Storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin. L’opera di Pushkin richiama anche la letteratura shakespeariana, allontanandosi completamente dagli schemi letterari tipici del Settecento.
    La scelta di quest’opera per inaugurare questa nuova Stagione al Teatro alla Scala risulta essere di grande audacia, se vogliamo pensare alle origini di questa e alla attuale situazione politica della Russia, in guerra contro l’Ucraina e dellla città di Kiev, da sempre sede delle maggiori rappresentazioni della cultura russa, in tutte le sue forme: dalla religione, all’arte, alla musica.
    È una scelta ardita e probabilmente uno dei motivi per cui quest’opera è riuscita a riscuotere tanto successo.
    “Il primo: Il padre era un furfante; i figli sono innocenti. Un altro: La mela non cade lontano dal melo.”
    Da questa citazione, tratta dall’opera in esame, è palese come si sia deciso di denuncianciare apertemente la situazione attuale tra Putin e Ucraina, la quale provoca inevitabilmente un certo sdegno da parte della popolazione occidentale nei confronti di tutta la Russia, addossando la colpa di questa ingiustizia politica anche a un popolo che è innanzitutto senza colpa, e nella maggior parte dei casi anche inconsapevole delle vere motivazioni di questo conflitto, a causa delle censure attuate in tutto il territorio russo (vedremo come la censura sia un tema che emerge all’interno dell’opera).
    La guerra in atto ha fatto in modo di emarginare anche tutti coloro che, nella realtà dei fatti, non sono colpevoli di niente.
    Anche tenendo conto del contesto storico, la scelta di rappresentare quest’opera definisce l’importanza di dover differire le azioni politiche dalla cultura di un determinato paese, in questo caso la Russia. Nonostante l’attuale conflitto, infatti, è innegabile (e sarebbe ignorante negare) la bellezza, il fascino della cultura russa e la invidiabile bravura degli artisti russi.
    Entrando nel merito della trama dell’opera, essa viene diretta da Riccardo Chailly e rappresentata nella sua versione Ur-Boris (“Boris originario”) del 1869, dal regista Kasper Holden.
    Questa prima versione è suddivisa in 7 scene ed è incentrata sui sentimenti e le emozioni contrastanti provate dallo zar Boris nel corso degli atti e della vicenda. Essa venne al tempo rifiutata dal Comitato di Lettura dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo e non fu presentata al pubblico a causa della nuova musicalità e per la scelta di aver affidato alla voce del protagonista un basso al posto di un tenore, oltre alla mancanza di una presenza femminile di particolare emergenza all’interno della trama. Venne considerata carente dal punto di vista della melodia.

  26. I contenuti affrontati riguardano in particolare modo la consapevolezza e la coscienza contro il potere e la censura attuata per nascondere al popolo la verità, come anticipato in precedenza. Proprio per questo motivo l’opera risulta essere di grande attualità.
    L’opera rappresenta in parte anche la personalità di Musorgskij, il pessimismo che si può facilmente percepire nell’opera fa da specchio all’animo scuro del compositore, appartenente al Gruppo dei Cinque. Lo si può intendere da una famosa citazione “Tutto è finito, il dolore sono io”, del musicista stesso.
    Analizzando l’opera e il personaggio protagonista, è palese come la sua follia di quest’ultimo sia dovuta alla coscienza, come anticipato prima, del potere che egli è riuscito a ottenere solo eliminando la concorrenza attraverso un omicidio. Questa chiave di lettura è consigliata anche dalla citazione “Siano i nostri corpi I gradini per il tuo trono di zar”.
    Un elemento che mi ha colpito particolarmente è la scelta di mantenere sul retro della scena l’immagine della pergamena sulla quale è raffigurata una cartina e delle parole in russo. Questo elemento, insieme ai costumi appartenenti a epoche differenti (scelta utile a far sì che il significato dell’opera possa essere universale – e di conseguenza possa anche essere collegata facilmente alla situazione attuale tra Russia e Ucraina -, e non legato a eventi precisi), raffigura in maniera molto chiara la possenza che le conseguenze delle azioni di un uomo possano provocare a un’intera popolazione.
    Per quanto cerne l’orchestrazione, nonostante sia ripresa l’originale di Musorgskij, il materiale sonoro risulta essere meno burbera, scontrosa, restando tuttavia altrettanto drammatica.
    Prendendo in esame l’orchestra stessa, alla visione l’ho notata non particolarmente invasiva, sosteneva adeguatamente le scene senza eccedere nelle sonorità (se non quando era necessario e richiesto), sfruttata soprattutto nei cambi di scena.
    Il Coro, preparato da Alberto Malazzi, e il Coro di voci bianche dell’Accademia della Scala, diretto da Bruno Casoni, mi ha trasmesso molteplici emozioni soprattutto alla visione della scena all’interno della basilica di San Basilio, nell’esposizione dei cadaveri degli innocenti. La sonorità creatasi risulta essere cupa, scura, disperata, come del resto l’orchestrazione e l’atmosfera per tutta la durata dell’opera.
    Un ulteriore merito mi sento di offrirlo soprattutto al protagonista, Ildar Abdrazkov, il quale è riuscito egregiamente nell’intento di interpretare un personaggio come lo zar in tutte le sue sfumature psicologiche più profonde, nascoste, senza tuttavia eccedere di virtuosismi superflui.

  27. Onestamente trovo geniale in questo periodo storico inaugurare la nuova stagione teatrale di un teatro immenso, che non porta un nome qualunque, ma è il Teatro alla Scala di Milano con un opera lirica russa in tutto e per tutto.
    Si tende a dire che l’arte, dunque per forza parliamo anche di musica, deve avere una funzione educativa.
    Per questo molti considerano la produzione musicale recente come qualcosa che non può costituire un’arte, perché non è essa ad educare il pubblico, ma il pubblico che educa lei.
    Questo perché secondo molti si ha raggiunto un livello tale di mercificazione della musica, che non si può definire essa come un vera e propria arte, al massimo potrebbe essere considerata un piacevole intrattenimento.
    Ed è qui che trovo la scelta promossa dal regista Kasper Holten e dal direttore artistico Riccardo Chailly, geniale.
    Essi hanno preso un posizione netta su come loro considerano la musica e in modo chiaro esprimono un’insegnamento o meglio un messaggio che vogliono comunicare.
    A mio modesto parere trovo in questa scelta una chiara posizione controcorrente rispetto all’abitudine che ormai l’intero mondo ha preso nell’operare una forte avversità per tutto ciò che concerne la dimensione russa.
    Dopo l’avvento della dichiarazione di guerra Russia – Ucraina, giustamente qualsiasi esponente di qualsiasi ambito, artistico, politico ecc… hanno espresso disprezzo nei confronti della nazione russa.
    Eppure nessuno ha avuto il coraggio di difendere l’arte.
    Giustamente era necessario, soprattutto all’inizio, dimostrare empatia e solidarietà nei confronti della popolazione ucraina, vittima della politica russa al di sotto dell’egemonia della figura di Putin.
    Tuttavia si è verificata un’eccessiva accondiscendenza nei confronti della popolazione ucraina, come la vittoria dell’Ucraina all’edizione dell’Eurovision 2022 e un’ingiusto rinnegamento di tutto ciò che apparentemente avrebbe potuto portare in luce un marchio di fabbrica russo.
    Finalmente un ente che nel mondo della musica, ma non solo nel mondo dello spettacolo in generale, ha preso un posizione netta.
    Scegliendo il dramma musicale “Boris Godunov” tratto dalla tragedia omonima di Aleksandr Puškin su libretto e musica di Modest Petrovič Musorgskij, finalmente qualcuno ha compreso che l’arte non è politica.
    Finalmente qualcuno di rilevante e certamente incredibilmente esposto a diffamanti critiche, ha divulgato come musica e politica rappresentino due realtà del tutto scisse.
    Sarebbe ingiusto e ingenuo togliere dall’offerta musicale di un teatro, musica di origine russa a causa della guerra.
    Perché costruire una città in Quatar edificata unicamente con uno scopo sportivo che è costata non solamente miliardi, ma è costata la vita a 6.500 persone dovrebbe essere legittimo, mentre rappresentare un’opera russa è oltraggioso?
    Sarebbe oltraggioso perché Musorgskij all’incirca duecento anni fa ha avuto l’ardire di nascere in Russia?
    Che invece magari è considerato come qualcosa di ingiurioso perché ci piace vedere quello che ci fa comodo?
    Denigrare la musica russa, ma non solo la musica, l’arte russa in generale, perché semplicemente russa non può essere altro che una posizione ignorante.
    Detto ciò trovo giusto dimostrare solidarietà nei confronti dell’Ucraina, tuttavia non comprendo come una rappresentazione di un dramma musicale di Musorgskij possa risultare insensibile o rappresentare un’ abbattimento dei diritti umani.
    Dunque per queste ragioni, la scelta di Holten e Chailly di oltrepassare lo stigma intorno alla musica russa che sembrava intoccabile è geniale ed educativo.

  28. “La scienza ci orna le esperienze della vita che fugge rapidamente”
    Trovo molto interessante e importante analizzare questa citazione, che affermando che la scienza è un incredibile strumento di insegnamento, non fa altro che comprovare che il mio precedente intervento è basato su verità oggettive e non semplicemente in base al mio gusto personale.
    Se cerchiamo la definizione di scienza troviamo:
    scienza: Insieme delle discipline fondate essenzialmente sull’osservazione, l’esperienza, che hanno per oggetto la natura e gli esseri viventi, e che si avvalgono di linguaggi formalizzati.
    Quindi data questa definizione penso che potremmo definire la storia della musica una vera e propria scienza, che osservando e attraverso l’esperienza si avvale di un linguaggio formalizzante allo scopo di studiare, non la natura e gli esseri viventi come la scienza, ma la musica.
    Detto ciò è inevitabile affermare che un figura del calibro di Modest Petrovič Musorgskij è una pagina fondamentale della storia della musica.
    E usando lo stesso ragionamento per la letteratura possiamo dire la medesima cosa su Aleksandr Puškin.
    Dunque con quale diritto dovrebbero essere estraniati dal panorama artistico e culturale?
    Holten e Chailly sicuramente a questa domanda rispondono che non esiste ragione per la quale essi dovrebbero essere discriminati dai teatri.
    Non solo soggettivamente possiamo affermare ingiusto escludere un’opera così bella, ma anche oggettivamente parlando, possiamo asserire che “Boris Godunov” insieme a tutta la produzione artistica di Musorgskij rappresentano un patrimonio culturale avente un valore troppo alto per essere escluso dai teatri, perché russo.

  29. Salomèe Olama

    Inizio col dire che sicuramente mettere in scena in un periodo come questo un’opera russa come questa alla Scala può dividere e creare problemi e polemiche.
    Stiamo parlando dell’opera “Boris Godunov” andata in scena il 7 dicembre per la prima volta.
    Si sa che fin dall’inizio della guerra, la posizione del teatro è stata molto chiara infatti hanno dichiarato: “abbiamo condannato l’aggressione e invocato una soluzione di pace.
    E con una serie di gesti concreti ci siamo schierati a fianco dell’Ucraina”.
    Proprio durante i giorni di rappresentazione dell’opera, una ventina di persone della comunità ucraina milanese ha iniziato a protestare in piazza della Scala a Milano contro l’opera russa di Musorgskij, questo dopo le polemiche scaturite dalla richiesta del console ucraino a Milano di cancellare lo spettacolo.
    Quella sera molti gruppi di ucraini si sono radunati davanti a Palazzo Marino, con bandiere, tra cui una con il volto di Putin al centro di una svastica, e diversi cartelli.
    Alcuni recitavano frasi come “No ai musicisti russi che appoggiano la guerra”, oppure “Un minuto di silenzio in memoria del direttore della filarmonica di Kherson Yuriy Kerpatenko ucciso dall’esercito russo”.
    I manifestanti chiedono alla Scala di non favorire la propaganda di Putin con un messaggio anche per il basso russo Ildar Abdrazakov, definito “un solista del regime”.
    Mi chiedo se davvero per un conflitto tra Russia e Ucraina, sia necessario togliere la possibilità di fare musica ai musicisti russi, che fanno solo il lavoro guidati dalla passione del loro mestiere e non perché sono necessariamente contro l’Ucraina perché russi, o mi chiedo se sia davvero necessario protestare per far sì che venga tolta a noi la possibilità di poter viverci una rappresentazione del genere.
    Non si tratta solo del messaggio, al di là di questo, con “Boris Godunov” si assiste a una vera e propria rappresentazione artistica, degna di tutto rispetto e che soddisfa qualsiasi tipo di aspettativa.
    Io penso che sia proprio perché c’è chi già sta combattendo e resistendo alla guerra con le armi, che bisognerebbe apprezzare un’arte così grande come la musica in grado di donare pace,
    perché fare la guerra anche contro di lei?
    Perché non si riesce mai a lasciare da parte la politica?

    • Mariateresa Costantini

      “La scienza ci orna le esperienze della vita che fugge rapidamente”
      Il tempo reale, è il tempo che percepiamo e viviamo quotidianamente. È il tempo che impieghiamo per fare cose come lavorare, mangiare, dormire e passare del tempo con le persone che amiamo. Il tempo reale può essere influenzato da molti fattori, come le nostre emozioni e le attività che svolgiamo. Ad esempio, il tempo può volare quando stiamo facendo qualcosa che ci piace, mentre può sembrare trascinarsi quando siamo annoiati o stressati.
      Essi sono due concetti diversi, ma entrambi hanno un ruolo importante nella nostra vita. Il tempo scientifico ci fornisce una misura precisa del trascorrere del tempo, mentre il tempo reale ci permette di vivere e godere della vita.
      Il tempo scientifico e il tempo reale del piacere possono essere visti come due aspetti differenti del tempo. Il tempo scientifico è un concetto puramente oggettivo, che viene misurato con strumenti precisi come gli orologi atomici. Esso è utilizzato in campi come la fisica, l’astronomia e la meteorologia per descrivere eventi e processi che avvengono nell’universo.
      Il tempo reale del piacere, invece, è un concetto soggettivo e dipende dall’individuo. Ciascuno di noi ha la propria percezione del tempo e il modo in cui lo vive e lo utilizza può variare notevolmente. Ad esempio, il tempo può volare quando siamo impegnati in attività che ci piacciono o che ci coinvolgono emotivamente, mentre può trascinarsi quando siamo annoiati o stressati. Inoltre, il tempo può essere percepito in modo diverso a seconda dell’età o della fase della vita in cui ci troviamo.
      In sintesi, il tempo scientifico rappresenta una misura oggettiva del trascorrere del tempo, mentre il tempo reale del piacere è la percezione soggettiva che ognuno di noi ha del tempo e del modo in cui lo vive.
      Il tempo può essere considerato come un elemento fondamentale dell’opera, poiché può influire sulla trama, sulla struttura e sulla rappresentazione dell’opera stessa.
      In un’opera, il tempo può essere utilizzato per creare un senso di suspense, di attesa o di fretta, a seconda delle esigenze della trama.
      Inoltre, il tempo può essere utilizzato per creare un contrasto tra il mondo reale e quello immaginario dell’opera. Ad esempio, può essere utilizzato per rappresentare il passare del tempo all’interno dell’opera, mentre il tempo reale trascorre più velocemente.
      Inoltre, il tempo può essere utilizzato per creare un senso di coerenza e di continuità nell’opera, poiché permette di collocare gli eventi narrati in una sequenza logica e di farli evolvere in modo coerente.

  30. Salomèe Olama

    Mi sembra giusto parlare anche dell’opera approfondendola.
    Alla fine di questo “Boris Godunov” ci si accorge di aver ascoltato un’armonia inaspettata e una varietà ritmica introvabile altrove.
    La prima stesura dell’opera fu bocciata dal Comitato di Lettura dei Teatri Imperiali di san Pietroburgo perché mancava un personaggio femminile di rilievo e, in particolare, perché giudicata carente dal punto di vista melodico.
    Quindi sulla partitura intervenne lo stesso Musorgskij e, in un secondo momento, Rimskij-Korsakov.

    Come ho detto nell’altro commento, in questo periodo si è discusso molto intorno a quest’opera e ai suoi intenti morali e politici.
    Certo, condanna la tirannide, il sopruso, l’assassinio ma come tutti i capolavori della lirica che nascono da testi permeati di forte intensità, è bene tener presenti alcune cose.
    Innanzitutto: il libretto è del compositore:
    lo ha ricavato dalla tragedia omonima di Puskin e dalla “Storia dello Stato russo” di Nikolaj M. Karamzin, opera mai terminata, che narrava tra l’altro dettagliatamente le sanguinose vicende degli ultimi anni del XVI secolo e i primi del XVII.
    In particolare, il testo di Puskin è un’opera che il padre della letteratura russa desiderava rendere shakespeariana, allontanando scene e personaggi dagli schemi e dalle razionalità settecentesche.
    Da qui le libertà che si è concesso, la trasformazione e la resa drammatica dei personaggi.

    In una prefazione all’opera, rimasta in abbozzo, Puskin confessa di aver scritto la “pièce” “in una totale solitudine, lontano dal mondo che mi stava diventando sempre più indifferente”.
    Quel che cercava erano risposte interiori agli orrori della storia, spiegazioni aiutate dall’anima.

  31. Francesco Fojadelli

    Sempre riconnettendomi al tema dell’attualità, volevo fare un’osservazione riguardo alla rappresentazione, sia scenografica che teatrale, per quanto esse si riconnettessero ai temi di attualità che ho trattato nel commento precedente.
    Ritengo che Holten si sia sicuramente impegnato ad evitare riferimenti espliciti alle vicende di attualità, tuttavia lasciando qualche strascico, che ne lasciasse intuire la similitudine con la scenografia messa in piedi. Non si nota invece questo aspetto dal punto di vista della recitazione teatrale, le azioni di scena e l’atteggiamento degli attori sul palco non hanno contribuito ad influire su questo aspetto.
    Apprezzo moltissimo, invece, il lavoro di interpretazione dell’orchestrazione operato da Chailly, attinente alle volontà scenografiche, volte a placare alcuni elementi musicali piuttosto aggressivi delle partiture composte da Musorgskij. Vengono valorizzati i sentimenti, l’intimità delle scene più salienti dell’opera.

  32. 2° intervento:
    Boris Godunov è una tragedia romantica popolare costituita da scale prevalentemente modali e diversi leitmotiv.
    La grande opera di Musorgskij del 1869 (1° edizione) rappresenta l’affermazione della Russia all’interno dei vari nazionalismi otto-novecenteschi: emergono così gli assi portanti del nazionalismo russo, quali:
    – la presenta di una musica popolare della tradizione a tratti istintiva e primitiva.
    – l’utilizzo di scale modali e popolari che caratterizzano l’emergere di ambientazioni nuove e differenti
    Per quanto riguarda le scelte strettamente musicali-scenografiche idealizzate per l’inaugurazione del Teatro alla Scala 2022/23, molteplici sono stati gli aspetti interessanti (e per certi punti di vista anche innovativi) che hanno valorizzato l’opera nazionalista di Musorgskij. Tra questi:
    – la presenza del piccolo Zarevic che accompagna lo zar fin dalla sua prima apparizione in scena, come a voler sottolineare un senso di colpa prossimo alla follia e alle allucinazioni
    – l’inserimento della presenza di Pimen sin dall’apertura dell’opera, nonostante nel libretto originale di Musorgskij egli appare solo nel terzo quadro, come a voler testimoniare la veridicità storica oltre ogni censura
    – l’utilizzo di costumi provenienti da epoche diverse, come a sottolineare la perenne attualità dei temi
    – l’adozione della versione originaria dell’opera, tralasciando le aggiunte e le rivisitazioni di Rimskij-Korsakov e di Šostakovič
    – Il risalto delle scene più intime e introspettive (grazie anche alla monotonia scenografica)
    La fusione tra parole e musica attraverso la musica dell’avvenire di Wagner e gli insegnamenti di Monteverdi
    Nel complesso, l’opera è stata ripercorsa in modo tradizionale e al contempo innovativo: molteplici sono state le piccole rivisitazioni che tuttavia hanno cambiato (e valorizzato) nel profondo il significato dell’opera. Tra queste, la disillusione nei confronti delle masse e nella loro capacità di creare particolari virtù nazionali. (“Siano i nostri corpi i gradini per il tuo trono di zar”). Inoltre, per quanto interessato all’occulto, Musorgskij non è credente: i sistemi salvifici gli sono estranei (e ciò emerge con sottile evidenza durante l’opera). Probabilmente ciò deriva dalla disillusione riguardo la vita (costituita da vizi e inganni – egli stesso aveva il forte vizio del bere), convenuta già in età infantile, e che caratterizzò il resto della vita nonché le tematiche della produzione musicale del tormentato Musorgskij – “O figlio caro, tu entri in quegli anni quando un volto di donna ci agita il sangue. Conserva, conserva la santa purezza dell’innocenza e la superba pudicizia; chi s’è abituato ad affogare i sensi nei viziosi godimenti ancora giovane, fattosi uomo diventa cupo e sanguinario, e la sua mente innanzi tempo s’oscura. Sii sempre il capo nella tua famiglia“.

  33. Andrea Fatighenti

    PRIMO COMMENTO

    Il Boris Godunov di Musorgskij è un dramma musicale popolare realizzato tra il 1868 e il 1869. Quest’opera fu scelta per l’inaugurazione della stagione 2022/2023 al Teatro alla Scala di Milano (Milano, 7 dicembre 2022). La versione che è stata scelta dal direttore Riccardo Chailly è l’originale del 1869, quella che all’epoca fu respinta dal teatro Imperiale di di San Pietroburgo per i tratti innovativi e realistici della drammaturgia. E’ costituita da due atti (sette scene): la prima parte esprime il punto di vista esterno (cerimonia pubblica dell’incoronazione come mezzo di propaganda per trascinare il popolo) e la seconda parte esprime il punto di vista interno ( percorso della vita privata di Boris).
    Ma perché proprio il Boris Godunov? Quali significati ci vogliono trasmettere con questa rappresentazione? Che ricadute ha sulla società?
    Il Boris Godunov è considerato il pilastro della scuola russa ottocentesca, il quale influenzerà la musica europea del Novecento. Puškin basò il suo dramma sul personaggio storico di Boris Godunov, con delle ispirazioni dall’Amleto di Shakespeare.
    Nell’opera lirica, ambientata tra il 1598 e il 1605, Boris Godunov diventa Zar di tutte le Russie, dopo l’uccisione dell’erede legittimo al trono, lo Zarevic Dmitrij Ivanovič. Nonostante i suoi sforzi, per mantenere il regno intatto, la Russia precipita nel caos e nella povertà. Il protagonista dell’opera esercita il proprio potere in modo implacabile, opprimendo le aspirazioni dei singoli e del popolo oppresso.
    La trama del Boris Godunov e la musica fortemente nazionale di Musorgskij ci fa sicuramente riflettere su quanto sta accadendo ai giorni d’oggi. Il compositore ci vuole raccontare l’ingiustizia e la brutalità del potere che manipola il popolo e la ricerca della verità che si contrappone alla censura.
    Nonostante la preoccupazione nella diffusione della cultura Russa, il Teatro alla Scala ha deciso di rappresentare comunque il Boris Godunov. Questa decisione è stata sicuramente molto toccante, perché ha permesso a moltissime persone di riflettere su quanto sta accadendo in Ucraina e non solo. Prima della rappresentazione, il console Ucraino Kartysh aveva chiesto di cancellare la rappresentazione “per non dare voce alla propaganda di Putin”. La proposta fu respinta. Questo ci fa riflettere sul fatto che anche la musica può essere uno strumento politico per far fronte alle ingiustizie che viviamo in prima persona o semplicemente le osserviamo da lontano.
    Nonostante la paura nella diffusione della cultura russa, perché quest’opera è stata comunque rappresentata? Speso per far fronte alle ingiustizie e all’oppressione, l’unico modo per fronteggiarle è far comprendere a tutta l’umanità la gravità di quanto sta accadendo. Questo è possibile attraverso qualsiasi strumento culturale che è in grado di parlarne e denunciare. La musica è in grado di dare un quadro della realtà che permette alle persone di riflettere sulla gravità di quello che sta accadendo. La musica è uno strumento di denuncia sociale per l’intera umanità.

  34. La nuova stagione 2022/2023 al Teatro alla Scala si presenta con una novità: il Teatro apre le danze con Boris Godunov, dramma musicale popolare realizzato in seguito all’unione della tragedia di Aleksandr Puškin, della Storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin e del libretto e Musica di Modest Petrovič Musorgskij.
    Il clima della guerra in Ucraina ha spronato la cultura a non dimenticare la grande eredità dei compositori come lo stesso Musorsgskij e, allo stesso tempo, sostenere i nostri cari amici ucraini.
    A noi musicisti resta solo la musica, il linguaggio universale, e qual è il modo migliore se non utilizzarla per mostrare il nostro sostegno?
    Non a caso anche la stessa tragedia è molto cupa e pessimista, come ci suggerisce il giornalista Roberto Mori, ma penso sia adatta perché riprende proprio questo clima di tensione che stiamo vivendo e ci da la possibilità di riflettere.
    La musica, fortunatamente, non ha la possibilità di nuocere fisicamente come un’arma, per esempio.
    Ha, però, un forte impatto psicologico sulle persone: ‘Boris Godunov’ non deve mettere in noi un sentimento di paura o ansia ( nonostante, come già detto prima, possa suggerirci ciò) ma, al contrario, aiutarci a riflettere sul fatto che c’è ancora speranza e che c’è sempre un’altra soluzione; basta impegnarsi un po’ per cercarla.
    Confidiamo in questa nuova Stagione affinché possa continuare a riempirci di spunti di riflessione.

  35. La cosa più importante che secondo me bisogna ricordare quando si assiste a un qualunque tipo di evento culturale è quello che la cultura non è unicamente legata alla nazione da cui essa proviene.
    Infatti qualunque tipo di forma d’arte non deve venire censurato o criticato in quanto appartenente a un contesto geografico e storico particolare.
    Quindi la scelta di rappresentare un’opera russa alla prima della scala secondo me non dovrebbe destare troppe polemiche, in quanto se si decidesse di boicottare qualunque tipo di espressione culturale proveniente da un paese che in questo momento sta affrontando un conflitto otterremmo soltanto un impoverimento culturale.
    Inoltre il regista Riccardo Chailly aveva già partecipato, come assistente, alla rappresentazione dell’opera “Boris Godunov” di Claudio Abbado, che era stata rappresentata nella stagione 1979-1980 del teatro alla scala.
    L’opera tratta di temi sempre attuali, come il tema della testimonianza, che vene posto come unico rimedio ai delitti della storia, e che all’interno dell’opera viene rappresentato attraverso le cronache scritte dal monaco Pimen che vengono sempre mostrate in scena,
    Quindi mi domando perché dobbiamo sacrificare la cultura quando essa non fa che arricchirci e permetterci di riflettere in modo sempre più profondo e significativo, facendo sviluppare in noi lo spiritico critico, fondamentale per una riflessione profonda?

  36. Andrea Fatighenti

    SECONDO COMMENTO

    Dopo aver dato le mie opinioni personali sulla rappresentazione del Boris Godunov di Musorgskij, vorrei soffermarmi sulla musica che il composito ha utilizzato per realizzare la sua opera.
    Musorgskij (1839-1881) è un compositore russo che fa parte del gruppo del “il piccolo mucchietto possente” (gruppo dei 5). Tutti i componenti del gruppo dei 5 avevo una forte attenzione verso il proprio patrimonio musicale, cercando di mantenerlo autentico. Il Boris Godunov è un’opera basata sulle scale modali, ricca di Leitmotiv (elemento che ricorre nelle musiche di Wagner). Ascoltando l’opera emerge lo stile russo del compositore, con riferimenti e richiami alla musica popolare( profonda conoscenza della cultura della propria nazione). Questo ancoraggio alla musica popolare è un elemento tipico dei nazionalismi: attraverso la musica popolare (musica primitiva) si appoggiavano alle tradizioni e si allontanavano dal sistema accademico (scale modali, pentatoniche ecc…). Ad esempio nel Boris Godunov, Musorgskij appoggiandosi alla musica popolare russa si allontanava e rifiutava le influenze delle scuole operistiche italiane e tedesche. Questo ancoraggio alla musica popolare portò all’allontanamento dal sistema tonale tradizionale e soprattutto portò la musica ad una fase di rinnovamento (es. i conservatori modificarono i loro programmi tradizionali per conservare il patrimonio nazionale). L’opera è costituita da un’alternanza di recitativi, ballate e filastrocche popolari.
    La versione originale dell’orchestrazione di Musorgskij è costituita da un suono molto cupo e poco curato, con l’apertura e chiusura affidata al fagotto, viceversa la versione di Rimskij-Korsakov del 1908 ha un suono più raffinato e squillante.
    Ascoltando fin dall’inizio l’opera si percepisce lo spirito russo dell’opera grazie alla melodia inziale del fagotto e all’ingresso dell’orchestra che armonizza la melodia espositiva. Il linguaggio è estremamente innovativo e soprattutto è un linguaggio nazionale, che racconta lo spirito nazionale (musica nazionale – nazionalismi).

  37. PRIMO COMMENTO (Izzo Arianna)
    Il “Boris Godunov” è un’opera che narra la storia della Russia, cantata perlopiù in russo.
    Di fronte al contesto storico attuale, questa non si chiama propaganda?
    Assolutamente no!
    “La cultura russa non si cancella, è europea”, ha sottolineato il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, all’inaugurazione della nuova stagione 2022/2023 della Scala. “La grande cultura russa è parte integrante della cultura europea. È un elemento che non si può cancellare. Mentre, la responsabilità della guerra va attribuita al governo di quel Paese, non certo al popolo russo o alla sua cultura”, ha concluso. Parole importanti, cariche di significato, una lezione a chi cerca una polemica ad ogni costo.
    Il teatro e l’arte hanno un valore unico e fondamentale nella società, poiché creano quel distacco che, al tempo stesso, unisce e rafforza il legame fra le persone. Non deve essere, dunque, un mezzo di scontri politici.
    Numerose persone hanno criticato o, addirittura, ostacolato la messa in scena del Boris Godunov a causa delle ipotetiche controversie ideologiche, sulla base di ciò che, con la cultura, assolutamente non c’entra nulla! Quelle sono probabilmente le stesse persone che non sono in grado di convincersi che la cultura del passato e la follia delle scelte politiche di oggi non hanno nulla in comune. Inoltre, il Boris Godunov è un progetto che da almeno tre anni ricorre nei pensieri del Maestro Riccardo Chailly, direttore artistico, e di Dominique Meyer, sovrintendente del Teatro alla Scala. Sono certa che i due sapevano di andare incontro a tutte queste controversie, ma devo dire che li stimo poiché, nonostante ciò, hanno dimostrato un gran coraggio. In un momento storico peculiare, la riproposta di Boris Godunov mi sembra sia stato un atto di coraggio e di grande valenza socio-culturale. La cultura dovrebbe unire, non dividere i popoli e le nazioni.

  38. SECONDO COMMENTO (Izzo Arianna)
    Il Teatro alla Scala, in occasione della Prima di Boris Godunov, ha ricevuto la donazione dei costumi di Boris della storica produzione del 1956. Tali costumi sono stati donati dal figlio di Nicola Rossi-Lemeni, un grande basso che aveva interpretato lo zar-regicida in quella stagione.
    Nel 1956 era Nicola Benois lo storico e direttore degli Allestimenti Scenici del Teatro alla Scala. Il gioiello di quell’allestimento così straordinario fu il costume regale, realizzato dalla sartoria della Scala, su disegno dello stesso Benois. E’ proprio quel costume, assieme ad altri, ad aver fatto ritorno in questi giorni al Teatro alla Scala. Considerando i numerosi anni passati dall’epoca, la conservazione è sorprendente: pare essere del tutto nuovo! Esso è tagliato in una pesante e sontuosa stoffa con fili metallici nell’armatura, interamente trapuntato con perle e gemme di vetro.
    Se si mira eccessivamente alla “modernità”, si rischia di perdere sia il carattere del mondo ortodosso, che il significato dei simboli (cari alla drammaturgia). Nell’opera recente la costumista è Ida Marie Ellekilde che, in modo eccellente, è riuscita a conciliare le due strade: ne risulta, di conseguenza, una sintesi snella e pulita della tradizione russa, per mezzo di scelte stilistiche pienamente azzeccate. Attenta è stata, inoltre, la scelta dei colori, puri e schietti: ori, rossi, gialli e blu.

    I due Boris, il vecchio e il nuovo, sono specchio di due epoche storiche differenti. Da un lato gli anni ’50, dell’espansione economica, della nuova Milano ricostruita: epoca di ricami veri, rifiniture da sartoria di alta moda. Dall’altro, il presente: è lo stesso costume a chiedere di respirare un’aria nuova, per meglio dialogare con il pubblico, appropriandosi anche delle logiche della moda attuale.

  39. Francesco Ceruti

    “Siano i nostri corpi i gradini per il tuo trono di zar.”

    Con questa citazione possiamo iniziare a parlare dell’opera d’inaugurazione della Stagione 2022/2023 al Teatro alla Scala: BORIS GODUNOV. Quest’opera è un dramma musicale popolare che unisce la tragedia omonima di Aleksandr Puskin con la storia dello Stato russo di Nikolaj Karamzin. Non si poteva scegliere un’opera più centrata ed attuale di questa. Non solo è una produzione moderna, ma è soprattutto legata alla guerra fra Russia e Ucraina che ha scosso il mondo negli ultimi mesi. Con quest’opera credo che l’intento principale sia appunto quello di denunciare queste bestialità che avvengono in Est-Europa oggigiorno mediante la Musica. Vuole inoltre affermare che i corpi ucraini non sono gradini che accompagnano lo zar (in questo caso Putin come Presidente) al suo trono (l’Ucraina), ma che il trono dovrebbe essere la libertà, l’uguaglianza e l’armonia con gli altri. La denuncia più evidente di quest’opera è, appunto, l’uso spietato del potere da parte del sovrano verso il suo popolo che ricorda molto quello del regnante protagonista del capolavoro verdiano Don Carlo. Queste caratteristiche sottolineano l’ingiustizia di potere che avviene però in tutto il mondo e non solo per mano russa. Unendo così temi di attualità e passati, il Boris Godunov è il riassunto di una storia che si sta scrivendo ancora oggi ed è quindi nostro compito scriverla senza guerre e senza ingiustizie che da sempre hanno fatto parte dell’essere umano.

  40. Francesco Ceruti

    SECONDO COMMENTO (FRANCESCO CERUTI)

    Entrando più nello specifico in quest’opera possiamo dire che Boris Godunov è un’opera lirica di Modest Petrovič Musorgskij, su libretto proprio, ed è la sola opera lirica completata da Musorgskij considerata il suo capolavoro, oltre ad essere un pezzo fondamentale della scuola russa ottocentesca, influenzerà molto anche la musica europea del secolo successivo. La musica ha forti influenze della tradizione russa e rifiuta volontariamente l’influenza delle scuole operistiche tedesca e italiana. Puškin basò il suo dramma sul personaggio storico di Boris Godunov, traendo larghe ispirazioni dall’Amleto di William Shakespeare. L’idea di comporre un’opera lirica basata sul dramma Boris Godunov di Puškin, però, fu dello storico Vladimir Nikolskij. A Musorgskij piacque così tanto quell’idea che lasciò da parte tutte le altre partiture (che non vennero mai più concluse) per dedicarsi completamente a quella.
    Successivamente rilasciò la prima versione del Godunov (1869) che non aveva quel velo drammatico presente nella versione rappresentata alla Scala; questo perché venne aggiunto successivamente nella Seconda versione originale del 1872.
    Le prime rappresentazioni di quest’opera vantarono di un enorme successo e, come ben sappiamo, con il successo arriva anche la parola della critica che non fu affatto sostenitrice di Musorgskij. Per esempio, Čajkovskij scrisse a riguardo:”Io mando al diavolo con tutto il cuore la musica del Boris Godunov di Musorgskij. Essa è la più volgare e la più bassa parodia della musica”. In molti scrissero così e secondo me lo fecero in parte per via della gelosia verso un artista che all’epoca ragionava fuori dagli schemi portando una forte ondata di innovazione e questo frenare l’avanguardismo ha sempre caratterizzato il nostro modo di essere ed è per questo che accade tutt’ora alle nuove correnti musicali (e artistiche in generale) da parte delle autorità conservatrici.

  41. Vorrei analizzare le due versioni dell’opera “Boris Godunov”.

    L’opera lirica “Boris Godunov” venne composta nel 1869, e successivamente venne poi modifica nel 1872.
    La prima versione, quella che è stata rappresentata alla prima della scala, si concentra unicamente sulla vicenda di Boris Godunor, e quando Musorgskij la presentò alla direzione dei teatri imperiali venne respinta.
    Questo rifiuto si deve alla musica, che presentava elementi di novità, alla mancanza di un ruolo femminile e per la stranezza di affidare il ruolo del protagonista a un basso.
    Per questo Musorgskij decise di modificare l’opera, partendo dalla durata delle scene e aggiungendone tre alle sette originali.
    Anche la scrittura musicale venne modificata, in quanto divenne più drammatica ma mantenne comunque viva la figura umana di Boris.
    In questa versione Musorgskij ritrae il popolo sempre come servitore dei potenti, in quanto al compositore premeva portare alla luce L’esclusione del popolo dalle decisioni importanti.
    Venne anche aggiunto un personaggio femminile in quanto la commissione dei teatri imperiali ne richiedeva uno.

  42. morgana mietitore

    Primo commento
    La prima alla scala é stato il Boris Godunov di Mussorgsky, diretto da Riccardo Chailly, in cui si racconta la storia dello zar, dall’ascesa al trono, fino alla sua morte.
    La storia è ambientata a cavallo tra il ‘500 e il ‘600, Boris è un potente boiardo che, dopo Ivan il Terribile, considerato mentalmente disturbato e pertanto non in grado di governare, e dopo essersi macchiato del sangue di Dmitrij Ivanovič,figlio di sette anni di Ivan, ascende al trono Russo.
    Nonostante il tentativo di mantenere una condotta più umana rispetto a quella del suo predecessore, la Russia sprofonda nel terrore e nella miseria.
    Nel frattempo il giovane Grigorij,fugge dal monastero di Čudov, e si spaccia per Dimitrij.
    Boris, tormentato da allucinazioni e ormai in preda alla follia, muore designando il proprio figlio come successore, mentre le truppe polacche avanzano verso la capitale.
    Questa è la storia vera di uno zar russo che regnò dal 1598 fino alla morte nel 1605.
    Godunov salì al trono, eletto da un parlamento feudale, tra la fine della prima dinastia russa, quella dei Rjurikidi, e l’affermazione dei Romanov.
    Sebbene la maggior parte delle sue azioni come zar fossero razionali e vantaggiose per la Russia, il suo governo finì in un disastro
    Godunov spinse per la costruzione di città fortezza ai confini russi, che contribuirono a proteggere il Sud della Russia dai saccheggi e dalle invasioni delle tribù nomadi, condusse una politica estera di successo, riuscì a riconquistare le terre che aveva ceduto alla Svezia nella prima guerra del nord e stabilì rapporti buoni con l’Inghilterra.
    Quando scrive quest’opera Il quasi trentenne Musorgkij era entrato in contatto da circa un decennio con il “gruppo dei cinque”,che, insieme ad altri artisti ed intellettuali avevano scelto di creare una cultura autenticamente nazionale.
    il Boris di Musorgskij, in realtá, esiste in due versioni, la prima delle quali fu rifiutata dalla commissione dei Teatri Imperiali, che non ne apprezzava la struttura anticonvenzionale. 
    le ragioni principali che determinarono il rifiuto del lavoro furono la mancanza di un ruolo femminile da protagonista e la musica innovativa.
    La seconda versione invece venne accettata ma fu il frutto di una grande ristrutturazione della precedente.
    Il teatro alla scala di Milano, ha fatto un grandissimo lavoro con la rappresentazione del Boris Godunov, le persone che hanno lavorato a quest’opera sono riuscite ad esprimere il pessimismo e la cupezza dell’opera nel modo migliore.
    È una scelta che ha sollevato curiosità e polemiche, ma che a parer mio é stata proprio quello che serviva all’arte e alle persone in questo periodo.
    La guerra in Ucraina é un avvenimento tragico, una guerra che gli italiani non vogliono sostenere e a cui non stiamo dando appoggio

  43. morgana mietitore

    Rispondendo ad una domanda trovata leggendo i commenti, no, assolutamente le grandi potenze non hanno il diritto di limitare l’arte, ma sappiamo che nei conflitti i paesi cercano di attuare una politica protezionista, proteggendo il piú possibile la loro arte, questo non giustifica la scelta di non divulgarla o peggio censurarla.
    Bisogna anche ricordarsi che il fine guerra ha offerto molto nuovi stimoli, che portarono alla nascita di nuove correnti artistiche come l’impressionismo e il dadaismo.
    Personalmente sono d’accordo con il pensiero di dover tenere separate la dimensione politica e quella artistica di un paese, ogni popolo ha qualcosa da poter offrire e la scelta di rappresentare il Boris Godunov di Musorgskij la trovo ideale e al col tempo azzardata, perfetta per poter sensibilizzare le persone, soprattutto con il periodo storico che stiamo vivendo.
    Le proteste per la rappresentazione del Boris Godunov ci sono state ma Dominique Meyer che dal 2020 è sovrintendente e direttore artistico del teatro alla scala di Milano , ha risposto così sottolineando che nessuno poteva immaginare che al momento di mandare in scena il Boris Godunov ci sarebbe stata la guerra.
    Il console di Kiev ha anche chiesto di cambiare opera, fatto ormai impossibile, e anche sbagliato.
    “A Mosca esplodono di gioia, perché questa prima significa che siete in ginocchio davanti alla Russia” queste sono le parole di alcuni ucraini.
    E ad un ‘ora dalla rappresentazione, una cinquantina di ucraini protestano. dicendo che il Boris Godunov non è solo arte, che per i russi significa molto di più.
    Secondo alcune persone, mandare in scena quest’opera é stato un appoggio a Putin e alla sua guerra; ma come Meyer ha sottolineato nel suo discorso, la Scala è stata da subito a fianco degli ucraini e l’ha dimostrato in diverse occasioni, per esempio sospendendo il maestro Gergiev, o devolvendo ai profughi gli incassi dei concerti.
    L’arte però non deve e non può essere censurata, e come ha riferito il sovrintendente “non si può smettere di leggere Dostoevskij perché c’è la guerra”

  44. Personalmente, al di là dell’indiscutibilmente magistrale orchestrazione del maestro Chailly, ritengo opportuno riflettere sull’audacia della scelta di rappresentare “Boris Godunov” in occasione dell’apertura della stagione operistica 2022-2023 al Teatro alla scala di Milano lo scorso dicembre, considerato il teso clima politico attuale. L’invasione russa in Ucraina che ha dato il via ad una spietata guerra nel febbraio 2022 ha avuto, tra i diversi effetti collaterali, anche la costruzione di una censura intollerabile e grottesca attorno al patrimonio culturale russo, che specialmente ha colpito il settore artistico, a partire dal “caso Nori”, lo scrittore a cui è stato impedito di tenere un corso sulla grandezza di Dostoevskij nell’università di Milano Bicocca, per poi colpire il padiglione della Russia nell’esposizione alla Biennale di Venezia, fino alla cancellazione della mostra fotografica “Sentieri di ghiaccio”, organizzata in occasione del Festival Fotografia Europea a Reggio Emilia che avrebbe visto proprio la Russia come paese ospite dell’esposizione. “A nome della comunità professionale, è importante per noi affermare che l’ulteriore escalation della guerra comporterà conseguenze irreparabili per i lavoratori delle arti e della cultura. Questo eliminerà le nostre ultime opportunità di lavorare, parlare, creare progetti, diffondere e sviluppare la cultura” scrivono migliaia di lavoratori russi in una lettera. Rumorose polemiche hanno anche colpito la Fondazione Teatro alla Scala che ha ricevuto una richiesta diretta del console ucraino perché dall’intera programmazione della nuova stagione operistica venissero esclusi i capolavori russi, evitando di assecondare eventuali elementi propagandistici. Non si può effettivamente negare che vi siano degli ipotetici parallelismi tra la trama dell’opera di Musorgskij, datata 1869, che attinge a contenuti storicamente nazionali, e le vicende attuali: il capolavoro musicale, tratto dall’omonimo dramma di Alexandr Sergeevic Puskin, racconta di un popolo in movimento e in fermento, disconnesso dalla figura dello zar, in un clima violento colmo di intrighi, assassinii e rivolte. Trovo tuttavia decisamente inopportuna e fuori luogo la richiesta di sostituzione dell’opera “Boris Godunov”, scelta come apertura della stagione operistica 2022-2023, in quanto si tratta di una vera e propria censura applicata al patrimonio artistico: perché, in tempi tesi, non deve esser concesso di possibile allietare la mente e il cuore con l’ascolto di un inestimabile capolavoro musicale, dimenticandone l’origine e il significato storico? Il Teatro alla Scala di Milano ha deciso, per una sera, di lasciar da parte i rancori e la tristezza generata dalle funeste notizie quotidiane che ci raccontano di ospedali bombardati, bambini uccisi e popoli spinti allo stremo, e di celebrare l’immensità della musica, un linguaggio implicito emotivo lontano dal linguaggio della politica di odio purtroppo ancora radicata nella storia contemporanea.

    • Lo scorso 7 dicembre, la stagione 2022-2033 del Teatro alla Scala di Milano è stata inaugurata da un capolavoro musicale russo, ossia il “Boris Godunov”, musicato nel 1868 da Aleksandr Musorgskij nella sua prima versione, a partire dal libretto di Puskin. La scelta di rappresentare il “Boris Godunov” ha aperto una serie di polemiche e dibattiti, tuttavia risulta essere la promessa di una stagione musicale avvincente: prorompente è la ventata di modernità e avanguardia portata sul palco del teatro milanese. Opera innovativa innanzitutto per il soggetto delle masse umane a cui Musorgskij volge uno sguardo attento e su cui punta la lente d’ingrandimento. Sicuramente una scelta richiosa quella del Boris, un’opera estremamente cupa e pessimistica che racconta una fetta di storia russa turbata dalle violente rivolte popolari volte alla denuncia della tirannia, che si accosta in maniera implicita all’attuale clima di tensione politica europeo. Boris è inoltre una scelta interessante e musicalmente complessa perché infarcita di recitativi, ampi monologhi, ballate, canzoni del repertorio folkloristico russo. L’orchestrazione, che il maestro Riccardo Chailly ha saputo magistralmente guidare, è grezza, cupa ed approssimativa e il suono sembra essere mutuato direttamente dalle inflessioni del parlato della lingua russa, il che contribuisce a generare un particolare realismo psicologico, accompagnato da svariati Leitmotiv, che caratterizza l’analisi interiore dei personaggi. Trovo infine remarcabile la realizzazione dei costumi di Marie Ellekilde, ispirata da un libro di fiabe russe con le illustrazioni di Ivan Bilibin, il grande pittore e scenografo dei primi del Novecento. Un approccio piuttosto romantico quello della costumista, genere vecchia Russia, che è penetrata nello spirito dell’opera provando a evidenziare dettagli che permettono di entrare a fondo nella mentalità e nei modi di essere di un popolo: il coro della prima scena è vestito di rosso, chiaro riferimento al colore simbolo dell’Armata Rossa, con i nastri neri che richiamano il folklore e la tradizione russa.

  45. Giuseppe Ditomaso

    Per quanto riguarda la prima parte, io penso che la musica è sempre stata da tempo una delle principali forme di espressione di uno Stato e di quello che si sta vivendo. Ricercare l’adattamento di un opera russa che riporta i temi dell’epoca degli zar direi che è azzeccato per la situazione in cui i poveri ucraini e russi ne sono vittime. La rappresentazione è la proposta di quest’ultima scelta può solo che far bene e sollecitare i cuori di tutti, pur l’opera stessa tratti temi al quanto cupi e macabri lasciano un clima e un sapore del tutto realistico. Mussorsgky essendo il maggior esponente russo in quanto l’opera penso sia perfetto il suo ruolo per riproporre in po’ di sana e buona musica in un clima di tensione e strazio in cui si trovano queste persone. Una lotta contro i pregiudizi, una lotta non fra persone ma fra economie. La musica è solo la colonna sonora di essa.

  46. Giuseppe Ditomaso

    Mi sembra fondamentale adesso dopo essermi informato di parlare del contesto storico e di chi fosse Boris Gudonov:
    Salì sul trono, eletto da un parlamento feudale, tra la fine della prima dinastia russa, quella dei Rjurikidi, e l’affermazione dei Romanov. Governò meglio di altri, ma la fortuna non fu dalla sua parte. E tra le carestie causate dall’eruzione di un vulcano in Perù, e le invasioni straniere, lasciò un Paese nel caos
    Sembra quasi che una qualche maledizione abbia colpito l’eredità storica di Borìs Godunóv (1552-1605). Sebbene la maggior parte delle sue azioni come zar fossero razionali e vantaggiose per la Russia, il suo governo finì in un disastro e la sua vita ebbe un epilogo tragico. E anche dopo la sua morte, la sfortuna lo ha seguito. Quando, nel 1945, fu aperta la cripta con i resti dello zar Boris e dei suoi parenti, si scoprì che la tomba era stata profanata e saccheggiata, e le ossa e i teschi erano mescolati e sbriciolati, tanto che gli antropologi non poterono ricostruire nemmeno un’immagine approssimativa di Godunov.

  47. Il capolavoro di Musorgskij esiste in due versioni del suo autore: la versione originale del 1869, in sette scene, non venne accettata per essere rappresentata, e venne eseguita per la prima volta quasi cinquant’anni dopo la morte del compositore, il 16 febbraio 1928 al Teatro Mariinskij di Leningrado. La seconda versione del 1871, in un prologo e quattro atti, profondamente revisionata dall’autore, venne messa in scena per la prima volta l’8 febbraio[4] 1874 con successo al Teatro Mariinskij di San Pietroburgo diretta da Eduard Nápravník con Osip Petrov. Questa seconda versione include elementi nuovi che non si ritrovano nel dramma di Puškin e dà una rappresentazione in qualche modo differente dello zar Boris Godunov. Soltanto nel 1997 verranno rappresentate le due versioni originali nel Teatro Mariinskij, con diversi cantanti a sostenere il ruolo di Boris.
    Alla morte di Fëdor Dostoevskij, avvenuta nel 1881, Musorgskij compose di getto una marcia funebre basata su temi musicali ripresi dall’opera stessa. Dopo la morte del compositore, il suo capolavoro operistico fu eseguito diverse volte; l’opera fu revisionata da Nikolaj Rimskij-Korsakov nel 1896, ed eseguita per la prima volta a Mosca nel 1898 ed al Royal Opera House il 3 dicembre 1919 per la Beecham Opera Company; fu poi nuovamente rivista nel 1908: questa versione, considerata più raffinata e convenzionalmente più efficace è stata anche quella più eseguita per diversi decenni ed è ancora rappresentata ai nostri giorni in Russia. In Occidente, tuttavia, le due orchestrazioni originali di Musorgskij vennero scoperte ed apprezzate da critica e pubblico soltanto in tempi recenti, con le loro tonalità musicali più approssimative e scure, più aderenti ai connotati della storia raccontata. Le due versioni dell’opera sono state orchestrate anche da Dmitrij Dmitrievič Šostakovič tra il 1939 e il 1940, ed in questa veste vennero messe in scena per la prima volta nel 1959 a Leningrado. Inoltre, l’opera è stata rappresentata in diverse lingue – inglese, francese, tedesco, italiano e altre – oltre all’originale russo.

  48. Rolando Simone

    Secondo la mia modesta opinione, la scelta di rappresentare il “Boris Gudonov” per la nuova apertura della stagione operistica 2022/23 al teatro alla scala è assai rischiosa ma azzeccata dato il periodo storico in cui ci ritroviamo. Come tutti, siamo a conoscenza del conflitto tra Russia e Ucraina che continua a creare disagio da ormai quasi un anno. Perciò la scelta può essere criticata dalla maggior parte della popolazione. Inviterei però essi a riflettere pensando alla cultura musicale di un popolo e non all’ideale politico che esso abbia. Questo conflitto in Ucraina non deve permettere di cancellare il grandioso patrimonio musicale russo che da due secoli affascina gran parte dell’Europa. La rappresentazione di quest’opera vuole essere soprattutto un motivo di riflessione sulle ingiustizie e oscenità della guerra e dell’egoismo dettato dalla politica. Vuole far riflettere su tutti quei civili innocenti che perdono la vita per colpa delle ingiustizie e dell’imoralità della politica. Proprio in questa occasione di può citare l’atto in cui nell’opera si espone la moltitudine di cadaveri dei bambini. La parte più debole che qualcuno possa colpire. Dei poveri bambini/ragazzi ingiustamente uccisi dal terrore e dalle armi usate dalle politiche egoiste. Palesemente lo Zar (Boris) impazzisce soprattutto per i danni e le ingiustizie inflitte al suo popolo da lui stesso. Una carneficina dettata da se stesso. Ovviamente di mezzo che anche la sofferenza per la perdita della moglie. Io trovo che sia giusto sensibilizzare la nostra società sulla violenza che il mondo ogni giorno subisce e l’opera de il “Gudonov” ne è la perfetta modalità per farlo. Sicuramente l’opera avrà successo ma solo quando la società aprirà gli occhi e si renderà conto della realtà che è attorno a noi.

  49. Rolando Simone

    La musica composta per il “Boris Gudonov” dal grande Musorgskij, nonostante sia stata scritta ormai un secolo e mezzo fa, la trovo grandiosamente “nuova”. Ha un’aria moderna, di innovazione…forse per questo in passato è stata molto criticata e descritta come musica volgare al tempo. L’utilizzo dell’orchestra da parte di Musorgskij è estremamente “pesante” in modo positivo. Ritrae perfettamente la popolazione russa e la loro grandezza, tanto da sentirsi teletrasportati sul luogo stesso. Vengono in mente i paesaggi tipici, le strutture, e la storia popolare russa. A prescindere dal periodo storico in cui ci troviamo, la musica russa, in questo di Musorgskij, non deve essere macchiata dalle azioni politiche russe dell’ultimo anno poiché la politica e la guerra con le sue vicende conflittuali sono cose che devono estraniarsi dall’arte, dalla cultura e dalla storia di un popolo.
    Altrimenti si continueranno a fare gli stessi errori del passato.

  50. Emanuele Venturini

    Penso che la scelta di rappresentare l’opera Boris Godunov, musicata dal compositore russo Musorgskij e tratta dall’omonima tragedia di Aleksandr Puskin, come inaugurazione della stagione 22/23 del Teatro alla Scala sia una scelta sì coraggiosa ma molto significativa e importante data l’attuale guerra tra Russia e Ucraina. Si tratta di una forte presa di posizione di uno tra i teatri più famosi e più importanti al mondo, una scelta che sicuramente farà discutere ma che porta un nobile messaggio.
    La cultura in generale e il patrimonio culturale di ciascun paese sono dei beni preziosi da conservare, da proteggere, una ricchezza che non si compra, non si vende e non si deve dimenticare. Da sempre la cultura russa ha riservato grandi nomi, per esempio Lev Tolstoj o Dostoevskij nella letteratura così come Stravinsky, Scriabin, Korsakov, Ciaikovsky, Shostakovic, Prokofiev e lo stesso Musorsgky nella musica, ma anche grandi meraviglie, e tutto questo a parer mio non può essere dimenticato a causa di decisioni politiche o dittature. Si tratta di scindere il popolo russo e il suo immenso bagaglio culturale costruito nei secoli dalle controversie politiche, causate dai pochi che stanno al potere. Inoltre l’opera non presenta alcuna incitazione alla guerra o alla nazione russa, ma anzi vuole rappresentare una denuncia contro la lunga tradizione di assolutismo degli zar e contro gli orrori che la guerra ha seminato in tutto il mondo.

  51. Emanuele Venturini

    A mio parere questa versione del Boris orchestrata da Chailly ha qualcosa in più rispetto alle altre interpretazioni, e la differenza sta nella scelta di cosa valorizzare a pieno. Il modo fantastico in cui Chailly conferisce importanza ai momenti più introspettivi, di riflessione più intima che caratterizzano il graduale cambiamento del personaggio protagonista dell’opera rispetta la grande affinità che Musorgskij vedeva tra parole e musica. Al posto di esaltare la grandezza, lo sfarzo e l’imponenza di un momento come quello dell’incoronazione decide di dare un’impronta sensibile, emozionale, tormentata. Il connubio tra questa scelta stilistica e la bravura dell’interprete Ildar Abdrazakov modernizza l’opera e la rende decisamente più interessante.

  52. “Gli uomini giudicheranno le tue parole, le tue azioni; le tue intenzioni le vede solo Dio”
    Questa citazione descrive perfettamente come si è svolta la prima della Scala di quest’anno.
    La prima della scala sicuramente da anni è uno dei momenti in cui l’opera in Italia raggiunge il suo massimo picco d’interesse, ma non per l’evento operistico in sé ma principalmente per il valore sociale che ha la prima della scala in sé. Attualmente non credo che tutte le celebrità presenti alla rappresentazione operistica siano andate lì al fine di godersi l’opera, ma credo siano andati lì solo per farsi notare.
    Questo evento, nonostante la preparazione dei musicisti, del regista, costumisti e tutti gli altri ambiti che preparano questo evento, è sempre centro di polemiche spesso sterili già a partire dalla loro intenzione. La prima di esse è appunto la polemica scaturita dalla scelta dell’opera, definita subito da dei contestatori presenti fin dalla mattina dell’evento come propaganda russa, smentite subito dai direttori della Scala, in quanto nonostante la guerra in Ucraina non deve minimamente intaccare il grande patrimonio culturale in ambito musicale russo. Forse ancora più grave il fatto riguardante l’imbrattamento della facciata della Scala da parte di attivisti di Ultima Generazione, che protestano contro il cambiamento climatico lanciando vernice su tutta la facciata.
    Questo dimostra come la prima della Scala abbia perso i valori che fornisce la musica e l’opera in generale in favore di messaggi politici e di polemiche su qualsiasi scelta possibile.
    La musica in sé comunque ha sempre portato messaggi politici anche lei, ma in questo caso leggendo il libretto e le scelte di regia annesse ad esso in questa occasione non mi sembra abbia avuto particolari riferimenti politici. L’unico strappo più che finalizzato a fornire un messaggio vicino al mondo politico è stato un messaggio di denuncia nei confronti delle guerre nel momento delle immagini della guerra stessa, quindi comunque un messaggio universale e non imputabile totalmente al mondo politico. Quindi tentare di trovare politica in una questione che nasce per un motivo non politico non ha logica. Nonostante le parole e le azioni possano essere giudicate, le proteste con intenzioni politiche non dovrebbero solcare la solennità dell’evento della prima della Scala.

  53. Alessandra Zibetti

    “Siano i nostri corpi i gradini per il tuo trono di zar.“

    “Boris Godunov” testimonia le dinamiche tragiche di un popolo le cui convinzioni si fondano su inganni.
    Tralasciando i collegamenti che si potrebbero fare con situazioni odierne, il messaggio è quello di una condanna universale verso ogni tipo di violenza.
    L’erede legittimo al trono viene assassinato da Godunov che diventa così zar, che fonda un regno guidato in modo spregiudicato e quasi tirannico.
    Ritengo fondamentale la figura di Pimen, un monaco che ha un forte impatto nell’opera, testimonia l’importanza che le parole e la capacità di non sottostare ai regimi imposti hanno. Egli compone infatti un testo narrante le tragedie russe.
    I misfatti si abbattono sugli innocenti: ci sono state varie scene dell’opera portate sul palco in modo cruento e molto forte. Situazioni dal forte impatto che, purtroppo, non è difficile riuscire a collegare ad eventi passati, presenti e purtroppo futuri.

  54. Musorgskij ha scelto il libretto su consiglio di un suo amico e letterato russo Nikolskij, che con la Sestakova, gli fornì una copia del dramma di Puskin. Ne rimase estasiato e ne scrisse la orchestrazione in poco più di un anno, sempre appoggiato da figure autorevoli e di alto rango.
    Al momento dell’inizio della scrittura tra l’altro aveva smesso di accompagnare da poco al pianoforte delle arie di Verdi, e nel periodo aveva già provato a scrivere dei brevi pezzi per un’ipotetica opera da proseguire.
    Ne fece due versioni. La prima risulta molto più incentrata sulla persona di Boris, con meno visione drammatica e con movimenti musicali e poetici ispirati alla tradizione russa. Venne rifiutata dalla censura dell’epoca e costrinsero Musorgskij a rimodificarla.
    La seconda versione vengono aggiunti due personaggi e altre scene che non vedono come protagonista unico Boris, e viene dato spazio anche al popolo in altre scene quali l’incoronazione.
    La versione adottata a questa rappresentazione è attutita leggermente per darle meno barbaricità, ma comunque viene rimaneggiata poco e con grande maestria da Kasper Holten.
    L’orchestrazione ricalca la scabra originale della prima versione, come scelto da Chailly. Quello che mi stupisce di questa orchestrazione è l’originalità compositiva da parte di Musorgskij. Questa peculiarità tra l’altro gli impedirà di esibirla in pubblico insieme ad altre variabili che non piacquero alla critica russa dell’epoca quali l’assenza di un ruolo femminile e il protagonista affidato ad una parte vocale da basso. Anche dei suoi amici non compresero questo salto innovativo eseguito da Musorgskij, e venne criticato anche all’interno del gruppo dei cinque.
    Queste critiche vengono successivamente accolte dal compositore russo, con l’aggiunta di Marina Mniszech e del gesuita Rangoni, oltre a varie modifiche delle scene dell’opera. Tuttavia rimase fedele alla sua orchestrazione e anche eseguendo modifiche rimane sulle tracce di un ammodernamento che anche in questo caso fu ampiamente criticato.

  55. Marco Dongiovanni

    La stagione teatrale 2022-2023 del “Teatro alla scala” è stata inaugurata con il Boris Godunov, l’opera teatrale russa composta da Musorgsky. Questa scelta di presentare un’opera russa durante il periodo storico che stiamo vivendo è un scelta coraggiosa del teatro della scala; lo trovo corretto perchè la guerra che c’è tra Russia e Ucraina, per quanto sia atroce, non può cancellare il patrimonio culturale e musicale di una nazione intera. E’ anche vero che il Boris Godunov era stato scelto per l’inaugurazione della stagione 2023 già tre anni fa, ma i vertici della scala potevano decidere di cambiare invece hanno tenuto quest’opera nonostante la guerra: è un gesto che fa onore all’Italia intera.
    Il Boris Godunov è stato composto da Musorgskij nel 1869 ed è un dramma popolare formato da un prologo e tre atti, è ispirato alla tragedia di Puskin e a “La storia dello Stato russo” dello storiografo Karamzin, il libretto è stato scritto dallo stesso Musorgsky.
    Per quanto riguarda la sceneggiatura è molto significativo il fatto che, in apertura dell’opera, il regista Holten abbia deciso di presentare il monaco Pimen che, testimone di quello che era accaduto (l’assassinio del piccolo Dimitri), racconta la brutalità del potere che manipola il popolo.
    Il regista vuole, in questo modo, porre l’attenzione su quanto sia importante essere testimoni di quello che ci accade intorno, sembra quasi voler consegnare a ognuno di noi il testimone di questa volontà di raccontare la verità aldilà di ogni censura.
    Anche la presenza della pergamena su cui scorrono parole e le immagini sembra voler ribadire l’importanza della testimonianza perché le parole scritte sono incancellabili; la mappa geografica sembra volerci farci uscire dal luogo in cui accade quella vicende a significare che potrebbe accadere in qualsiasi altro luogo del mondo.

  56. Marco Dongiovanni

    Ricollegandomi al mio primo intervento, ritengo che la libertà sia il tema fondamentale dell’opera; un altro protagonista dell’opera, oltre che Boris, è il popolo che trova la libertà dal proprio tiranno.
    Questa opera lirica arriva ad essere una critica alla follia e alle guerre di potere, mostra cosi la propria attualità; sembra che il teatro alla scala abbia voluto commentare la guerra che si sta consumando tra Russia e Ucraina mostrando che l’arte ha il potere di unire i popoli.

  57. Vorrei inoltre approfondire il tema della musica popolare e nazionale.
    Il Teatro alla Scala non solo ha inaugurato la stagione con un’ opera significativa e vicina al clima della guerra, ma ha ci ha dato la possibilità di riscoprire qualcosa di diverso rispetto alle nostre opere Italiane.
    E’ molto importante questo aspetto perché spesso si perde un po’ di vista l’aspetto folkloristico della musica.
    Nulla da togliere all’opera Italiana; è meravigliosa ed ha una certa rilevanza per noi ma fuori da qui c’è un mondo ricco di diversità e trovo giusto ‘guardare oltre la siepe’ e imparare dal vicino.
    Il fatto che io abbia entrambi i genitori stranieri, nati e cresciuti in Romania, mi ha arricchito perché ho imparato molto da entrambe le culture, anche per quando riguarda la musica.
    Sono contento del fatto che abbiano deciso di inaugurare la nuova stagione con un’opera di stampo russo: penso proprio ci abbia arricchito tutti culturalmente e, chiaramente, mi auguro che possano, sempre più spesso, proporci opere del genere.

  58. Andrea Ghidelli

    Penso che aprire la stagione della Scala quest’anno con un’opera russa sia stata una scelta coraggiosa ma dovuta. Indubbiamente questa decisione è stata condizionata dalla situazione politica internazionale attuale, purtroppo ancora dominata dal prolungarsi della guerra tra Russia e Ucraina. Questa scelta ha avuto un duplice valore. Da una parte è stato un segnale forte sull’importanza di non cancellare una parte importante della cultura europea, quella russa, a causa delle scelte politiche di un governo; all’altra l’opera messa in scena, il Boris Godunov di Modest Petrovič Musorgskij, affronta il tema sempre attuale della follia della violenza e dell’uso egoistico del potere. Proprio perché il messaggio dell’arte e della musica ha un valore universale ed offre spunti di riflessione è indispensabile promuovere la cultura, distinguendo l’arte dalle vicende politiche attuali, per non rischiare di cadere nella censura.

  59. Andrea Ghidelli

    Il “Boris Godunov” è un dramma musicale popolare in un prologo e tre atti, tratto dalla tragedia omonima di Aleksandr Puškin e su Libretto e Musica di Modest Petrovič Musorgskij. Per l’apertura della stagione d’opera della Scala 2022/2023, è stato scelto di mettere in atto la prima versione, quella del 1869, che fu poi modificata dallo stesso autore per renderla più adatta al pubblico del tempo, anche se nonostante questo non fu comunque apprezzato a causa della sua severità e cupezza. Quest’opera contiene elementi del dramma psicologico, che possono ricordare l’opera di Shakespeare: il rimorso, la violenza e la follia. Il regista Kasper Holten e il direttore Riccardo Chailly hanno deciso di sottolineare questo aspetto nella loro realizzazione dell’opera. Lo possiamo trovare nell’orchestra e nel coro che rimangono sempre di sfondo senza mai prevalere, sottolineando i momenti più introspettivi, e nell’interpretazione dei personaggi caratterizzata da espressività e intensità, in particolare da parte del protagonista Ildar Abdrazakov. Ma gli elementi che più mi hanno colpito nel sottolineare la dimensione psicologica in cui si svolge il dramma della vicenda sono quelli scenografici. Prima di tutto la scelta di usare un unico sfondo, semplice, costituito da una pergamena e una carta geografica, che secondo me è servita a non distogliere gli spettatori dall’intensità della storia e dal carattere psicologico della vicenda. Un altro elemento significativo è la scelta di utilizzare dei costumi che non fossero legati soltanto all’epoca in cui si svolge la vicenda, ma che la trasportassero in uno spazio fuori dal tempo per sottolineare l’universalità del messaggio. Un’ altro elemento che mi ha colpito, anche se ha suscitato alcune critiche, è la presenza di elementi macabri come i fantasmi delle vittime della violenza del protagonista o la presenza in scena dei corpi dei morti innocenti, che secondo me ricordano in ogni momento agli spettatori in modo forte il carattere tragico e oscuro della vicenda rappresentata.

  60. Mariateresa Costantini

    *ho dimenticato questa parte iniziale del primo commento*
    La scienza ci offre una comprensione più profonda del mondo che ci circonda, rendendo le nostre esperienze della vita più arricchenti e significative. Ci aiuta a comprendere i fenomeni naturali, a prevedere gli eventi futuri e a sviluppare tecnologie innovative che migliorano la nostra qualità della vita. Inoltre, la scienza ci fornisce un quadro logico e coerente della realtà, che ci aiuta a fare senso delle cose e a fare scelte informate. In un mondo in cui il tempo vola rapidamente, la scienza ci offre la possibilità di apprezzare e comprendere meglio le meraviglie del mondo che ci circonda.

  61. Mariateresa Costantini

    Mi piace che gli insegnamenti nelle opere prodotteno fedeli alla storia originale perché ci permettono di comprendere il contesto storico e culturale in cui sono stati ideati. In questo modo, possiamo meglio comprendere il significato e il valore di quegli insegnamenti all’epoca in cui sono stati scritti. Tuttavia, questo non significa che non possiamo applicare questi insegnamenti ai nostri tempi. Anzi, spesso queste opere possono avere un significato profondo anche oggi, ma è importante comprendere come questi insegnamenti si inseriscono all’interno del contesto storico della loro stesura per evitare di distorcerne il significato.
    Per questa premessa non mi faccio molte storie e collegamenti al giorno d’oggi perché preferisco godermi quel momento per evadere da ciò che circonda la nostra vita attuale. Questo pensiero lo applico anche alla letteratura, amo leggere i classici perché mi trasportano in una lontana epoca che non posso vivere e toccare con le mie mani ma posso godermi qualche estratto che per me è oro, grazie all’arte che ci è arrivata.

  62. Lorenzo Crotti

    “In tempo di pace i figli seppelliscono i padri ma in tempo di guerra sono i padri a seppellire i figli.”(Creso citato in Erodoto, Storie, libro I, 87)

    “E gli uomini vollero piuttosto le tenebre che la luce”
    (Giovanni, III, 19)

    Rappresentare un’opera russa oggi come oggi oscilla pericolosamente fra un atto di coraggio e un’arma infallibile di marketing, uno scandalo!
    Ammetto che da sempre la cultura russa ha su di me esercitato una grande attrazione: Dostoevskij, Florenskij, per non parlare delle pellicole meravigliose di Ėjzenštejn. La scelta della Scala, con questa sua intrinseca ambiguità, mi ha stuzzicato a tal punto da convincermi che lo scopo di quest’ultima (sebbene sia una mia semplice illazione) fosse proprio l’ambiguità. Mi spiego meglio: In casi come questi, specie dopo un gesto altrettanto forte come può essere la cacciata di Gergiev, l’ambiguità non tace, anzi grida, grida perdono, tutta la vergogna di un’istituzione autorevole che (chissà se involontariamente) si è omologata al pericoloso filone anti-russo che ha scosso la stupidità del mondo intellettualoide alcuni mesi or sono. Questa ambiguità, dall’altro canto, sembra. voler assumere funzione di un’arguta denuncia, una denuncia ad un sistema problematico. Un sistema così sporco e vuoto che sembra aver perso le misure dei rapporti fra politica e cultura. Sembra spaventosa la società che ci si prospetta, la censura ieri in mano allo zar, oggi è in mano ad una marmaglia di politicanti e content creators, discepoli di un religioso fervore nell’espletare i sentimenti di pancia sulla pubblica piazza come se fossero una sorta di “Verbo”. Se un’opera, un libro o un dipinto ti fanno paura il problema è tuo, non mio, il rispetto alle vittime (ai morti di entrambi gli schieramenti, giovani strappati alle proprie famiglie per andare a morire in un’intutile strage, nonché a tutti i civili) si dimostra con mezzi decisamente diversi da un’infantile schizzinoseria culturale, primo fra tutti un atteggiamento di seria condanna verso l’egoismo malato che uccide e fa dimenticare all’uomo cosa voglia dire “fratello”

  63. L’opera messa in scena quest’anno e intitolata “Boris Godunov” che è un dramma musicale diviso in tre atti. è tratto dalla tragedia di Aleksandr Puškin con il libretto e la musica composti da Modest Petrovič Musorgskij. Per l’apertura la Scala ha deciso di mettere in scena la prima versione compsta quella del 1869, questa versione fu leggermente modificata per adattarsi alle esigenze del pubblico, anche se secondo vari critici e commenti questa “versione modificata” non è stata particolarmente apprezzata. Questa versione contiene inoltre alcuni elementi di un dramma psicologico composto da Shakeaspeare. Questa caratteristica possiamo trovarla in particolare nel coro ma anche nell’orchestra dove possiamo notare che rimanendo sempre sullo sfondo e sottolineando l’espressività e interiorità di tutti i personaggi.
    Una delle scelte più particolari che sono state fatte secondo me è stata quella di aver scelto un unico sfondo molto semplice che caratterizza tutta l’opera, e secondo me sottolinea anche la parte storica della storia anche grazie ai materiali. un secondo elemento che ha colpito è stata la presenza di alcuni elementi “fantastici” se possiamo delineare così, non solo i fantasmi ma anche la prenda della morte tramite i corpi senza vita che fanno comunque sempre un collegamento al fatto che l’opera è comunque una tragedia e che va rappresentato anche il lato oscuro.

  64. Lorenzo Crotti

    Un’opera come il Boris Godunov alla prima della Scala devo ammettere che è stata una piacevolissima sorpresa, in un mondo dell’opera fermo ai soliti quattro titoli, proporre un capolavoro che di minore rispetto ad altri ha solo la fama, alla presenza di alte cariche istituzionali, è senz’altro un atto di una considerevole importanza. Al di là delle considerazioni politiche e sociali (che ho fatto nell’altro commento) voglio parlare di come, nel mondo dell’opera, non si sia imparata la preziosa lezione che il movimento per la riscoperta della cosiddetta “Early Music” ha rappresentato per il mondo musicale, dagli anni 60 circa ecco sbucare con una certa regolarità e capillarità strumenti originali, edizioni urtext, e compositori e programmi non convenzionali, prime assolute, filologia… la lista continua. Negli ultimi decenni il mondo delle Ensemble di musica antica è diventato giovane spumeggiante ed accattivante. I concerti attraggono sempre più persone, perché sono all’insegna della riscoperta di un mondo che resta ancora oggi grandemente sconosciuto ed oscuro. Sono convinto che sia importantissimo per il mondo dei teatri d’opera di imparare, dai giovani di oggi, questa lezione: Sebbene i costi e le forze in gioco richiesto, per permettere alla gente di avvicinarsi servirebbe un interesse verso le rarità, le novità (non solo “antiche” ma anche moderne e contemporanee, grandi assenti dei teatri d’opera), forse allora si potrà veramente portare i giovani all’opera, non coi rave party ma con cura e amore per ciò che si fa anche se a volte significa non essere capiti e non fare cassetta, è questo il prezzo delle scelte.

  65. Giovanni Picciuca

    Dal 23 febbraio del 2022 assistiamo impotenti e con grande sgomento agli sviluppi di una guerra assurda che per mano dei russi sta dilaniando l’Ucraina. E’ qualcosa di atroce che nessuno dovrebbe vivere e per la cui fine si sono levate voci da ogni parte del mondo. Sono state assunte forme di boicottaggio che non hanno interessato solo l’economia russa ma la sua stessa cultura e che tutt’oggi creano polemiche come quella sorta per la scelta del Teatro della Scala di Milano di proporre per l’inaugurazione della stagione 2022/2023 il “Boris Godunov” di Modest Musorgskij .Per il ministro della cultura ucraino rifiutare i rappresentanti della cultura russa è un passo necessario che una società democratica matura deve compiere: non si tratta di cancellare la cultura russa ma di sospenderne la diffusione fin quando la Russia non cesserà la sua sanguinosa invasione in quanto secondo il suo punto di vista ne favorirebbe la propaganda. Secondo questa lettura, l’arte è uno strumento del potere politico e se “la mela non cade lontano dall’albero” sostenere l’arte russa equivale a sostenere la politica di Putin.
    Non molto tempo fa l’ Italia aveva aderito a questo pensiero tanto che erano stati allontanati dal palcoscenico artisti russi ed addirittura era stato censurato un corso universitario su Fedor Dostoevskij, poi prontamente riabilitato perché decisione considerata a dir poco grottesca.
    A mio parere condannare i responsabili per quanto sta accadendo in Ucraina, non significa bandire musicisti, letterati, scrittori, artisti solo perché sono russi. Di questo avviso sono le parole dello stesso direttore del teatro scaligero Riccardo Chailly che, riferendosi all’opera di Musorgskij, non la definisce una rappresentazione del passato glorioso della nazione russa, ma una forte denuncia contro ogni forma di violenza e di sopruso. Infatti l’opera racconta l’ascesa, la caduta e la morte di uno zar che vive con un peso sulla coscienza e che conduce alla sofferenza vittime innocenti : essa è una cronaca realistica e moderna del passato che si ripete e che non ha nulla che vada contro il popolo ucraino.
    Inoltre se “Il padre era un furfante ; i figli sono innocenti”, se un russo o più russi sbagliano non significa che gli altri siano colpevoli e quindi non è ragionevole prendersela indiscriminatamente con chi ha il passaporto russo sia che sia vivo sia che sia morto. Essa sarebbe solo folle xenofobia che poco avrebbe a che fare con la ricerca della pace.

  66. Giovanni Picciuca

    Relativamente all’opera, sicuramente le polemiche che si sono sollevate prima della rappresentazione sul palco della Scala ha creato molta attenzione e curiosità. Considerata un classico della musica russa, Boris Godunov ha influenzato buona parte del Novecento considerato che Musorgskij fu il creatore di una musica espressiva a volte aspra la cui origine va cercata nell’anima del popolo russo. Si è lontani dalla musica occidentale, dalla polifonia, dagli sviluppi tematici perché le note sono in piena libertà: tutto nasce dalla parola e dal gesto. Infatti la prima stesura dell’opera fu bocciata dal Comitato di Lettura dei Teatri Imperiali di San Pietroburgo perché, tra le motivazioni, era carente dal punto di vista melodico. La sua musica fu riscritta così dallo stesso compositore ed in seguito arrangiata da altri tra cui Rimskij- Korsakov e Sostakovic che evidentemente ritenevano insufficiente il dettato originale del predecessore. Infatti in Russia non c’era il culto del rispetto incondizionato dell’idea originaria dell’autore e l’opera era suscettibile di manipolazioni, aggiornamenti alla luce di un dibattito critico sui risultati conseguiti. Quella che è stata eseguita alla Scala è la prima versione dell’Opera di Musorskij. Ascoltando la musica se ne può apprezzare l’aderenza alle parole, alla vicenda, il suo richiamo alle tradizioni popolari russe ma rivisitate con uno stile moderno, innovativo. Personalmente preferisco la musica romantica, melodica tuttavia ho trovato di grande effetto l’orchestrazione a supporto della scena della follia perché l’intreccio di suoni cupi e tesi rendeva viva la condizione psicologica del protagonista e saper esprimere emozioni con la musica è per me un dono a prescindere dai gusti personali.
    E’ un dono che per fortuna non conosce nazionalità perché è in grado di far giungere il suo messaggio dritto al cuore e all’anima di chi ascolta.

  67. Per l’inaugurazione della stagione 2022/23 al Teatro alla Scala è stata scelta un’opera russa, il capolavoro di Modest Musorgskij, “Boris Godunov”. Questa scelta non è casuale ma anzi ci lascia un significato simbolico, come cita anche il sovrintendente Dominique Meyer nella presentazione del programma. Voglio riportare di seguito una sua frase che mi ha fatto riflettere molto “Io non sono per la caccia alle streghe, non sono per la cancellazione delle opere russe, non voglio nascondermi quando leggo Puskin e mi assumo le mie responsabilità per queste scelte” questo ci dimostra come ad oggi le polemiche e le critiche possano arrivare a colpire anche la cultura che rappresenta il modo migliore per comunicare. Si è arrivati al punto di criticare un’opera maestosa e ancora poco conosciuta come il “Boris Godunov” a causa di una guerra che ad oggi vede protagonista il popolo russo. Come ho potuto leggere dalle considerazioni dei miei compagni anche io voglio ribadire che la scelta di questa opera non dovrebbe creare scandali perché l’opera non ha nulla a che fare con la guerra in corso ma dovrebbe farci apprezzare I capolavori che la cultura russa ci ha lasciato e di non concentrarsi solo sulle azioni folli di un singolo uomo.

  68. “Il Teatro alla Scala di Milano è tra i più celebri templi internazionali della lirica, e incanta il mondo con opere concerti e balletti. Sostiene e diffonde la cultura perché crede nel valore dell’arte come nutrimento per la crescita del Paese; valorizza le eccellenze e le grandi storie”. è considerato uno dei teatri più prestigiosi del mondo. essendo un luogo con una considerevole portata visiva si ricopre della responsabilità di influenzare l’opinione pubblica. L’attenzione ai messaggi e morali che si vogliono diffondere insieme alla cultura sicuramente non viene meno. A questo proposito, nell’istante in cui ho scoperto che per la prima della Scala avessero scelto di portare sul palco un’opera competamente Russa, ho pensato fosse una scelta azzardata visti i recentissimi avvenimenti (parlo del conflitto tra Russa e Ucraina che tuttora è sfociato in una guerra in quest’ultima). La mia preoccupazione prendeva in considerazione il fatto che la prima del Teatro milanese fosse un evento non da poco, che catturasse l’attenzione di gente esperta da una parte, ma dall’altra anche di una gran fascia di persone ignoranti in materia: senza una conoscenza dell’opera e di cosa tratta, ci si può basare su poche altre informazioni tra cui l’origine e la provenienza di essa; questo ha portato a far capire a persone inesperte che la rappresentazione di un’opera Russa fosse il chiaro segno di approvazione per le azioni in corso da parte dello stato russo e quindi stabilire la vicinanza con Putin.
    Inoltre nell’europa occidentale si tendono ad oscurare certe culture, quella Russa inclusa e quindi sarebbe stato difficile comprendere i significati dell’Opera senza conoscerne la derivazione culturale data dal paese in cui è stata creata.
    Il Teatro alla Scala però è riuscito a rendere bene il messaggio moralistico, infatti anche se i testi erano in un’altra lingua, le immagini create sul palco scenico hanno permesso la perfetta comprensione della condanna della tirannide, il sopruso, l’assassinio, la follia della violenza e l’uso egoistico del potere che sono i temi chiave dell’opera.

  69. Parliamo ora della rappresentazione dell’opera alla prima della scala il 7 dicembre 2022.

    Al “Boris Godunov” possiamo collegare diverse parole come potere, crudeltà, miseria e maledizione che vengono tutte avvolte dall’aspetto cardine, l’umanità, che in ogni versione dell’opera, nonostante tutto il sangue, ci permette di esaltare la natura dell’uomo grazie alla straordinaria musica di Musorgskij che appassiona e colpisce l’anima. I tratti di umanità li possiamo trovare nella scrittura del protagonista singolo (Boris) e nel collettivo del popolo russo dove emerge la loro solennità. Nella prima metà dello spettacolo tutto è più rigido e fatica ad incidere, è invece nella seconda parte che fuoriescono tutti gli aspetti cardine citati in precedenza. In modo particolare il coro non è più disomogeneo come nella prima parte ma acquisisce una formazione unita e possiamo dire prorompente, anche l’orchestra volta pagina e trova più colore e fraseggio. Da considerare anche la prova del protagonista Ildar Abdrazakov che ha saputo interpretare “Boris” con una forza drammatica davvero profonda e con una tecnica che ha valorizzato la bellezza dei fraseggi e dei colori.

  70. Vorrei continuare la rifelssione esposta precedentemente entrando più nello secifico.
    Il Teatro quindi per la prima di questa stagione ha scelto proprio l’Opera Russa “Boris Godunov” di Modest Musorgskij, diretta dal Maestro Riccardo Chailly con la regia di Kasper Holten. Il fatto che sia proprio un Opera Russa a portare avanti la denuncia di situazioni critiche come la coscienza opposta al potere e la verità opposta alla censura e quindi condanna le sue stesse azioni può far riflettere molto:“Il primo: Il padre era un furfante; i figli sono innocenti. Un altro: La mela non cade lontano dal melo.“ La cultura Russa è stata formata dalla storia della nazione, dalla sua posizione geografica e dalla sua vasta distesa, dalle tradizioni religiose e sociali e dall’influenza occidentale . Scrittori e filosofi russi hanno svolto un ruolo importante nello sviluppo del pensiero europeo. I russi hanno anche fortemente influenzato la musica classica, il balletto, lo sport, la pittura, e cinema. La nazione ha anche dato contributi pionieristici alla scienza, alla tecnologia e all’esplorazione dello spazio. Quello che voglio esprimere è che sia grave ciò che sta accadendo, non bisogna assolutamente incitare a questo tipo di comportamenti e azioni violente; ma bisogna ampliare i confini della conoscenza e non limitarsi a vedere il presente chiudendo una cultura che oltre tutto ha preso un’importante posizione all’interno della nostra stessa storia europea.
    “Secondo un sondaggio, condotto dal Servizio federale di protezione russo, il 55% dei russi è a favore di un negoziato con l’Ucraina, e soltanto un quarto vorrebbe proseguire la guerra” questo è un chiaro dato che propongo per portare avanti la citazione sovrascritta: il governo russo porta avanti la guerra, i cittadini no.
    “L’abitudine è l’anima degli stati.”: se la situazione attuale fosse l’unica vicenda violentra che vede protagonista la Russia, si potrebbe dire che la cultura del paese appartiene a una Russia passata e che non va condannata perchè non ha nulla a che vedere con gli avvenimenti odierni. Questo però non è vero: la Russia spesso è stata colpevole di scontri, conflitti e guerre, quindi si potrebbe dire che il suo modo di comportarsi nel presente non sia altro che un’abitudine.
    E la cultura a questo punto ha tutto da insegnarci; ci sono sicuramente due punti di vista: quello politico e quello sociale. Dal punto di vista sociale c’è molto da scoprire e da imparare: non bisogna in alcun modo frenare la diffusione di questa come di altre culture, è importante ampliare la conoscenza dei modi di fare nei vari Stati del mondo.
    In particolare l’arte è un linguaggio universale che si colora di varie sfumature delle culture di ogni Stato. Detto questo, è sicuramente più intuitivo comprendere l’Opera Russa “Boris Godunov” di Modest Musorgskij per coglierne la cultura del paese. Infatti alla fine della rappresentazione ci sono stati 13 minuti di applausi e la standing ovation hanno mostrato che i partecipanti hanno goduto della rappresentazione dell’opera, cogliendone il significativo rinnego della guerra (basti pensare che il protagonista è uno zar che si pente delle proprie azioni proprio come speriamo faccia la Russia adesso). Le scene sono state di grande impatto a partire dalla musica che appassiona e scalda il cuore, fino ad arrivare all’impianto scenico di forte suggestione.
    Roberto Mori all’interno della sua riflessione cita anche la scena di San Basilio dove vengono portati in proscenio corpi dei bambini massacrati: in questa scena sono riuscita a comprendere a fondo il senso dell’Opera grazie al forte impatto visivo in cui il regista Holten fa comparire al posto dei 13 malcapitati uccisi con lo zarevic, i cadaveri di 34 bambini, ciascuno portato a braccia sul palcoscenico, macabro coro di bambini uccisi per il bambino morto regale. Ma anche grazie alla musica ho colto molto soprattutto nella seconda parte dove il suono e il Coro erano più rigidi: Chailly lascia più libertà a Coro e Orchestra e il suono lievita, diventa più fluido, più profondo, morbido e vellutato. E i tratti d’umanità, così vivi nella scrittura per il protagonista singolo Boris e collettivo (il popolo russo), emergono nella loro magniloquente solennità.

  71. Boris Godunov è considerata un’opera molto importante nella storia della musica russa e rappresenta un punto di svolta nella carriera di Mussorgsky. La trama, si basa sull’omonimo dramma di Pushkin e sulla “Storia dello Stato russo” di Karamzin, che narra la vita di Boris Godunov, che dopo aver assassinato il figlio dello zar Ivan IV, il “Terribile”, e aver assunto il trono con l’aiuto delle potenze straniere, lotta contro i problemi interni del paese e le aspirazioni al trono di Grigory Otrepev, che si fa passare per il figlio sopravvissuto di Ivan IV. Mussorgsky sfrutta la trama profondamente legata alla politica per offrire una forte critica della natura umana del potere, dando una prospettiva interessante su come il potere può influire sulla mente umana.
    Il libretto originale di Mussorgsky presenta una rappresentazione molto cruda e realistica di Boris mostrando come le sue azioni siano motivate principalmente dalla paura e dalla paranoia, anziché dalla volontà di governare bene. La sua figura è complessa e interessante dal punto di vista psicologico. In effetti, l’ambizione e il desiderio di potere di Boris sono motivati dalla sua insicurezza e dal bisogno di autoaffermazione di se stesso. Una delle caratteristiche più evidenti della mente di Godunov è la sua instabilità emotiva. È un uomo tormentato dalle sue azioni passate e dalla sua posizione di potere. Egli è costantemente in preda a sentimenti di colpa e di paura per la sua posizione precaria, e questo lo porta a sospettare di tutti coloro che gli stanno intorno. Inoltre, l’opera mostra come Boris abbia una visione distorta di se stesso. Egli si vede come il salvatore della Russia, ma allo stesso tempo si rende conto che le sue azioni sono motivate dall’ambizione personale. Questo conflitto interiore lo porta a una disperazione crescente e alla sensazione di essere intrappolato in una situazione senza via d’uscita. La figura di Boris può essere vista anche come un esempio di come il potere possa distorcere la percezione di sé e di quello che si sta facendo. Egli inizia a vedere se stesso come una figura divina, ma al tempo stesso si rende conto che il suo potere è fragile e che può essere perduto in qualsiasi momento.

  72. Nella ricerca di materiale per scrivere questo commento mi sono imbattuto in svariati articoli che parlavano di come l’arte russa non merita più di essere apprezzata dall’inizio della guerra. L’idea che l’inaugurazione della stagione 2022/23 al Teatro alla Scala con Boris Godunov possa essere percepita come una mossa politica dimostra perfettamente la difficoltà della società odierna di apprezzare l’arte per quello che è, senza la necessità di ricontestualizzarla in chiave moderna.
    In primo luogo, l’opera di Boris Godunov è un’opera d’arte importante e significativa nella storia della musica, con una forte narrazione, una musicalità intensa e una rappresentazione psicologica dei personaggi. Apprezzare l’opera per queste sue qualità artistiche dovrebbe essere sufficiente per una comprensione completa dell’opera. E invece no perché dobbiamo assolutamente ricontestualizzare l’opera nella situazione politica contemporanea limitando la capacità degli spettatori di apprezzare l’opera per la critica sulla natura umana che è, e invece costringere loro a vederla solo attraverso una lente politica specifica. Inoltre, questo enfatizza l’idea che l’arte sia solo uno strumento per comunicare un messaggio politico piuttosto che essere apprezzata per se stessa. Il collegamento dell’opera alle questioni politiche contemporanee può anche portare ad una polarizzazione e a una divisione tra coloro che vedono l’opera attraverso una prospettiva politica e coloro che la vedono per quello che è, un’opera d’arte.

  73. Nicolò Magrini

    nell’opera di Boris Godunov, ci sono vari elementi che caratterizzano e danno potenza alla scena dell’incoronazione dello zar, come per esempio il suono delle campane che accompagnano il popolo verso la figura politica che li guiderà. a questa potenza però si contrappone un’atmosfera cupa creata per esempio dalle armonie dei contrabbassi o dal pianto del clarinetto, che conferiscono al tutto degli ambienti con fattezze maledette. il tutto viene accentuato dalla comparsa del fantasma di Dimitrij, per il cui lo zar prova un forte senso di colpa

  74. Nicolò Magrini

    Trovo interessante come l’opera lirica russa sia stata l’elemento di punta per l’apertura della nuova stagione della scala. Nel contesto storico in cui viviamo, che vede la Russia protagonista della guerra contro l’ucraina, trovo questa scelta interessante e anche un po’ coraggiosa. Sicuramente la scelta di portare un’opera ricca di cultura e di storia locale e di tradizione, sia per quanto riguarda il punto di vista musicale che artistico conferma la scala una dellesedi culturali più affermate a livello internazionale. In quest’opera possiamo distinguere tra gli elementi più importanti il coro, che va a dare voce al popolo con non pochi riferimenti a melodie tradizionali e alla musica ortodossa. Musicalmente parlando c’è un contrasto di elementi, tra la morbidezza e la ricchezza di alcuni fraseggi dell’orchestra ed altre parti di estrema durezza e crudeltà. Questo contrasto rappresenta perfettamente in contrasto tra l’uomo e la sua natura interiore.

  75. Davide Rottoli

    Il teatro alla Scala di Milano ha fatto la scelta di portare il Boris Godunov come opera di inaugurazione della stagione. Anche secondo me è una decisione azzeccata. La messa in scena di questa Opera mostra come ci possano essere altri modi per protestare contro la guerra in Ucraina. Fino ad adesso il metodo usato per protestare era quello di andare contro a tutto quello che fosse di origine russa. Basti pensare agli sport, che non accettarono più squadre o individui che fossero russi. La Scala invece utilizza un approccio totalmente opposto, andando a prendere una composizione russa. Probabilmente vogliono mostrare (e ricordare) che la Russia è un Paese ricco anche di cultura. Anche se il periodo storico nel quale siamo è particolarmente delicato, trovo corretto mostrare questo lato positivo della Russia. Alcuni miei compagni nei loro commenti credono che quest’opera non si dovrebbe mettere in scena durante la guerra, ma invece alla sua conclusione. Io credo che un’opera come questa, che non è direttamente collegata agli eventi del presente, non ha motivo di non essere mostrata a un pubblico. Come detto da un altro compagno, lamentarsi solo perché il compositore è russo non ha alcun senso. Cercando su Internet ci sono delle persone che credono addirittura che questa opera sarebbe stata scelta per sostenere la Russia nel conflitto che sta combattendo. Questa è un’altra affermazione priva di fondamento, perché la scelta potrebbe essere stata anche solo un caso. Inoltre nell’articolo viene detto che sono stati sottolineati elementi di contatto tra il Boris e il Macbeth di Verdi, che aprì la scorsa stagione. Questo filo conduttore tra le due inaugurazioni potrebbe anche essere l’unico motivo per il quale l’opera russa è stata scelta. Se decidessimo di non mettere in scena l’opera solo perché di origine russa, dovremmo smettere di fruire anche di tutte le altre forme d’arte che sono uscite dalla Russia. Andando nel mondo della letteratura dovremmo smettere di leggere opere di autori come Dostoevskij e Tolstoj.
    Lo spettacolo non credo che avrà ricadute di qualche tipo. Spero che gli spettatori non vengano distratti dal fatto che l’autore sia russo, ma che piuttosto si concentrino sull’ascolto.

  76. Davide Rottoli

    Riguardo allo stile dell’opera, dal punto di vista musicale si può dire che ha una forte ispirazione russa. Questo non è da dare per scontato, infatti l’autore deve aver rifiutato volontariamente influenze tedesche e italiane. Questo fa intuire l’attaccamento e la conoscenza del compositore alla cultura (in questo caso popolare) del suo Paese. Nella composizione vi si trovano molti esempi che riconducono a motivi popolari. Uno dei più famosi è in una scena del prologo, dove la melodia è identica a quella che Beethoven utilizzò in un suo quartetto. Però Beethoven aveva a sua volta tratto la melodia da un’antologia di canti popolari russi.
    È da notare una netta distinzione tra la versione originale di Musorgskij e la versione di Rimskij-Korsakov. Le due versioni hanno caratteri quasi opposti, l’originale è cupa mentre la seconda è connotata da un suono più brillante.
    Musorgskij scelse di attenersi al carattere della storia. Una delle sezioni finali è connotata da un pessimismo che viene condiviso dal compositore, probabilmente preoccupato per quello che accadrà in Russia in quegli anni.
    Chailly ha intenzionalmente scelto la prima edizione dell’opera, che è anche priva dell’atto polacco, aggiunto successivamente. Il risultato ottenuto da Chailly è nella grande resa espressiva sensibile e nella tensione drammatica forte ma che risulta equilibrata. È riuscito anche a evidenziare la perfetta integrazione musorgskiana di parola e musica, attraverso espedienti musicali nelle parti intime e introspettive.

  77. Daniele Masciandaro

    Una scelta, azzardata, contestata, polemica ma di certo non casuale. La Scala inaugura l’annata 2022/23 eseguendo il “Boris Gudonov”, opera del genio russo Modest Musorgskji. Un tema che sa e rimanda alle origini del compositore, proprio ora che tutti noi, che ci riteniamo esseri pensanti e razionali, ci accaniamo, ci scagliamo senza pietà e senza sosta su coloro che pochi mesi fa si resero protagonisti di un improvviso atto di crudeltà invadendo la confinante Ucraina.
    Certo una campagna terribile quella avviata dal presidente sovietico Vladimir Putin ma questo davvero giustifica il vistoso e insensato disprezzo anche per i più autorevoli russi, coloro che hanno donato arte e cultura arricchendo il nostro mondo e la nostra storia?
    Ecco che l’opera, musicata da Musorgskji e tratta dall’omonima tragedia di Aleksandr Puskin sulla vera storia di Nikola Karamzin, riscopre i reali valori per cui l’arte è diffusa nel mondo, senza differenziazioni culturali o etniche.
    Al contrario l’arte non fermenta le cattive intenzioni, la guerra, piuttosto cerca un compromesso per unire le persone contro il male che ci circonda. In questo senso, la mossa attuata dalla Scala di Milano si rivela particolarmente efficiente al fine di promuovere pace e integrazione.
    Anche espandendosi fino alla musica moderna sono noti i tentativi di dimostrarsi contro a guerre e simili atti ripugnanti.
    Ad esempio promotore e simbolo di rivolta sociale è stato il celeberrimo cantautore statunitense Bob Dylan di cui produzione conta lavori quali “Blowin in the wind”, “Masters of war” o ancora “Hard Rain’s a-Gonna Fall”.
    In rivolta alle oscenità della guerra prendono parte anche i rivoluzionari Black Sabbath, padri del genere Heavy metal, Rolling Stones, Doors,ed altre icone della musica fra cui gli italiani Bennato e De Andrè.
    Analogie con l’attuale questione russa possono essere ricondotte ai Pink Floyd con “Us and Them”, Beatles con “Back in the U.S.S.R. o Sting con “Russians” (che riprende un tema del compositore e pianista russo Sergej Prokof’ev (Lieutenant Kije Suite, Op. 60).

  78. Daniele Masciandaro

    Come indicato in precedenza la musica non si limita solo all’aspetto meramente artistico; fare musica significa mirare a qualcosa di oltre, saper tramandare un messaggio, un emozione interiore…
    Da sempre l’uomo vede nell’arte, in qualunque forma essa sia, un glorioso mezzo al servizio dei propri immaginari, dei propri bisogni interiori. Ascoltare musica ci gratifica, a volte ci dona quella forza in quel momento in cui niente riuscirebbe a donarcela, a volte di distrae dalle fatiche e i dolori che ci rendono soggetti a una vita che non sempre vorremmo.
    Durante le due terribili guerre che hanno scosso l’intero pianeta la musica conserva un ruolo di primaria importanza. Col fluire della seconda guerra mondiale più del 95% delle famiglie nordamericane possedeva un dispositivo radiofonico in casa, a questo sussegue un ineluttabile boom relativo alla distribuzione della musica elettronica, ora ascoltabile anche da casa.

    Così come le radio, anche la musica svolge diverse funzioni:
    Ad esempio “Lili Marlene” fu una fra le melodie più popolari durante i combattimenti, oltre che simboleggiare la patria tedesca era anche un potente mezzo di propaganda. Così anche gli americani avevano l’usanza di prepararsi allo scontro ascoltando musica tradizionale, darsi forza e coraggio al fine di terminare le atroci missioni.
    In opposizione al difficile approccio nazista è il modello americano quello che si destreggia nel miglior modo e con l’ausilio dell’arte musicale porta messaggi al proprio popolo.
    Melodie molto diffuse come “I’ll Be Seeing You”(1938) e ”Praise the Lord and Pass the Ammunition”(1942) rassicurano all’ascoltatore un lieto rientro a casa dei propri cari al termine del conflitto. “God bless America”, sulle note di Irving Belling, fu uno dei primi esempi di canzone di guerra patriottica, alcune ancora riportano le memorie dei defunti in battaglia ricordando quanto costi caro il prezzo per la libertà (ad esempio “Fanfare for the common man” pubblicata nel 1942 da Aaron Copland).

    La propaganda fornita dalla musica passata per radio era incredibilmente funzionale tanto che le diverse fazioni cercano segretamente di “rubarsi” le idee poi diffondendole nella propria cultura di massa.
    Nei periodi appena successivi alla seconda guerra mondiale, l’esercito americano usa la musica come forma di diplomazia culturale tra le rovine dell’Europa occidentale.

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