Popolare è sinonimo di popolo e di tutto ciò che è legato all’istinto, all’espressione autentica che è dentro di noi in quanto appartenenti alla razza umana.
Forse il più grande interprete e studioso del canto popolare, fu Zoltan Kodaly e non a caso arrivò a regalarci alcune verità – dimostrabili fra l’altro scientificamente – cui riferirsi ed ispirarsi.
Le verità di Zoltan Kodaly
1. ogni essere umano ha avuto a che fare con la musica – a prescindere dal sito geografico e periodo storico – in particolare vocale, perché implica una certa appartenenza alla persona.
2. in ogni cultura si è sviluppata una serie di suoni simili (chiamati in modo differente da ogni popolo), da cui il nostro istinto ha attinto nei secoli un telaio melodico, caratterizzante le melodie popolari.
3. il canto è un viatico unico ed insostituibile (come educazione e formazione della persona), che permette fra l’altro di assimilare in tempi stretti ciò che normalmente si imparerebbe con utensili, materiali o strumenti, viceversa estranei alla nostra fisiologia.
Fatte queste essenziali premesse di Kodalyana memoria, vorrei provare ad analizzare alcuni aspetti del canto popolare.
Alcuni aspetti unici del canto popolare
• A) Melodia
appare spesso orecchiabile, accattivante, ma anche semplice costruita sopra pochi suoni centrali così da poter essere cantata da chiunque, senza difficoltà di estensione, o d’intonazione.
Rare volte si ricorre a salti ampi, grande abbondanza di gradi e ribattuti che agevolano la memorizzazione, anche del testo verbale.
La ripetitività di un motivo è la strategia più ricorrente, pretesto per lunghe conte o stornelli che si prestano ad aggiustamenti sulle parole.
Nella specificità del canto infantile, la melodia può essere costruita anche su pochi suoni, così da rendere partecipe il bambino in piena età evolutiva (età della melodia).
• B) Ritmica
coincide con la sillabazione della parola, con elementi pari al metro e alla pulsazione, oppure alla suddivisione.
L’ organizzazione metrica è binaria quanto ternaria, in base alle frasi e al carattere delle composizioni.
L’impianto rimane sempre molto semplice e prevede solitamente la possibilità di associazioni corporee come il battito delle mani, dei piedi, il girotondo, il trenino, semplicissimi passi danzati, oscillazioni, gestualità, o simili.
C’è una grande attenzione all’atto pratico, più che a quello teorico e infatti non è raro imbattersi in schemi che vengono normalmente associati al motorio, viceversa c’è un’attribuzione teorica spartana verso gli schemi ritmici più complessi, in quanto di difficile concettualizzazione, oltre che poco utile didatticamente.
• C) Forma
le strutture predilette sono circolari o strofiche, adattissime ai testi chilometrici di tali conte ed utili per sviluppare la memoria e l’attenzione.
Nei casi meglio riusciti, troviamo una netta distinzione fra il motivo strofico e quello ritornellato, solitamente marcato da una felice distinzione fra l’aspetto più narrativo (il primo, sede di testi caratteristici, accattivanti, bizzarri e divertenti) e più musicale (il secondo, dove la melodia è ripetuta identica, ma con un suo respiro e una certa dignità).
• D) Testo
è davvero difficile entrare nel merito, visto che sotto la terminologia “popolare”, viene elencata tutta una serie di generi che vanno dai prodotti goliardici, ai canti della resistenza, da quelli infantili, a quelli legati al culto, dai dialettali, a quelli più sentimentali.
A grandi linee, i testi utilizzati sono diretti, elementari, spontanei e quindi dotati di una certa forza emotiva.
Quelli dialettali, ci hanno regalato delle pagine divenute celeberrime, con motivi coinvolgenti e ben costruiti sopra testi forti, crudi e dalla natura sanguigna.
Quelli della resistenza, fanno parte della nostra cultura, con testimonianze toccanti ed ancora oggi assai commoventi.
• E) Armonia
tipico della natura popolare è l’istinto, che va a caratterizzare anche l’aspetto armonico di questa tipologia di canto.
Infatti, un aspetto dettato dalla pratica del “cantare ad orecchio”, è la naturale predisposizione a ricamare la melodia principale con dei controcanti, che non sono altri che parallelismi di terza superiore (volgarmente detta “terzina”, o “fare da secondo”), che vengono cercati in corso d’opera, improvvisando al momento, con gusto ed una certa ricerca estetica nel risultato.
Quando tale “terzina”, non seguiva le normali corde melodiche, si ribaltava alla “sesta” sotto (cioè, ad esempio, se la terza di Do è il Mi, la sesta sotto il Do, è ancora Mi), un modo per realizzare comunque un controcanto, che dava una sorta di “guida” durante l’esecuzione del brano.
Tutto questo per dire come tale pratica vocale, avesse sviluppato dei naturali appoggi armonici, che finirono per rendere musicalmente caratteristico il folklore da luogo a luogo da parte della gente comune.
Nell’armonia tradizionale, raramente si impiegano disposizioni accordali che prevedano tali parallelismi, perché porterebbero a dei riferimenti armonici deboli (ovvero la quinta dell’accordo nel basso, con conseguente abuso del secondo rivolto: la così detta quarta/sesta), viceversa abbondanti nei generi popolari.
• F) Organico
la voce è l’indiscussa protagonista dei generi popolari, con le sue polifonie spontaneiste, variopinte e legate all’improvvisazione.
La strumentazione varia sino agli organici più disparati, ma sono senz’altro da ricordare la fisarmonica e l’armonica a bocca (quest’ultima caduta in oblio, eppure riferimento obbligato di un’epoca in cui era diffusissima, aggregante come pochi, dall’intonazione sicura, portatile, dalle varietà più disparate e dotata di eccellenti possibilità foniche e timbriche), la chitarra e il mandolino, recentemente rivalutati, grazie ad alcune specificità, più che ad un’attenzione didattica consapevole e di conseguenza più diffusa.
Una lapidaria quanto significativa riflessione
Chiuderei con un’ “ingombrante” citazione:
“È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare” – Zoltan Kodaly
Ora confrontiamo alcuni aspetti: di ieri, di oggi, di sempre…..
Il canto popolare è sempre stata una della più importanti espressioni utilizzate dagli uomini di ogni paese.
La musica popolare è quella che ci permette di scavare nel nostro passato.
Essa nasce dalle classi sociali considerate minori, non colte, all’inizio per celebrare eventi, azioni di vita comune, funerali ecc
La musica popolare è quasi sempre anonima, chi la creava non si preoccupava nemmeno di trascriverla o se lo faceva non si firmava, poiché era concepita come espressione di un sentimento o di un’idea comune di popolo e inoltre veniva trasmessa oralmente.
In Italia il canto popolare è un grande patrimonio che ha caratteristiche diverse in base al luogo di provenienza, possiamo per esempio dividerlo in canto popolare del nord e del sud.
I canti del nord hanno melodie e armonie semplici e tonalità maggiori.
Le strutture ritmiche sono semplici e poco mobili, inoltre l’esecuzione corale è prevalente.
I canti del sud risentono invece dell’influenza spagnola e araba, le scale utilizzate sono scale modali o tonalità minori, le strutture ritmiche sono libere e prevale l’esecuzione solita del cantore.
I canti popolari possono appartenere a diverse categorie:
i canti di lavoro, cioè canti utilizzati dagli operai o dai contadini per rendere il lavoro meno pesante o noioso, a volte esprimevano la loro sofferenza e spesso le scansioni ritmiche erano molto accentuate proprio per ritmare il lavoro, canti sociali e politici, canti di trincea, canti per bambini cioè filastrocche o ninne nanne, canti rituali e canti legati alle feste.
Leggendo i commenti sull’importanza del canto popolare come elemento di identità nazionale, mi sono ritrovato a riflettere sull’esperienza da poco vissuta durante il gemellaggio a Bamberg, una cittadina tedesca situata nel Nord della Baviera.
Durante il nostro soggiorno, i rappresentanti del Liceo musicale locale hanno voluto accompagnarci nella strada dove tre anni prima, ovvero durante il periodo della pandemia da Covid, i suoi abitanti si erano resi protagonisti di un video prodotto per l’Italia al canto di “Bella Ciao”.
Affacciati al balcone, i residenti avevano voluto intonare questo canto come segno di solidarietà e vicinanza al popolo italiano che stava vivendo i primi effetti sulla salute del virus Covid -19 ed era costretto a subire le gravi restrizioni imposte dall’isolamento.
Al tempo i tedeschi avevano scelto quindi un canto popolare, simbolo dello spirito della resistenza italiana durante la Seconda Guerra Mondiale e portatore di valori universali come quello della lotta per la libertà.
Infatti il canto popolare nasce da e per il popolo, ne usa il linguaggio, i ritmi e i suoni, ne racconta storie con finalità educative, d’intrattenimento o incoraggiamento, diventa nel tempo espressione di tradizione e cultura ma i valori di cui è portavoce spesso non si esauriscono nei confini locali, regionali o nazionali ma assumono portata mondiale. Non è un caso quindi che “Bella Ciao” sia stata più volte cantata dai popoli di varie parti del mondo come protesta contro tutte le forme di repressione delle libertà e sia talmente conosciuta da essere stata scelta dai cittadini di Bamberg come inno di liberazione dal virus ed espressione corale di comuni valori tra i popoli.
Il fatto che i rappresentanti del liceo musicale di Bamberg, ma oltre a loro gran parte delle persone non italiane, scelgano il canto Bella Ciao come canto italiano per eccellenza e simbolo di libertà non è un caso. A mio parere è il canto che meglio incarna lo spirito di un popolo che lotta per la libertà, per la vita e per la giustizia e tutti noi italiani dovremmo andare fieri di essere rappresentati nel mondo da un canto così bello e significativo, reso ancora più popolare e virale dopo il suo utilizzo nella serie netflix “La casa de papel”. Quindi perchè non usarlo anche come inno nazionale? Certo l’attuale inno di Mameli ormai lo sappiamo tutti a memoria, è entrato nel nostro DNA ma trovo Bella Ciao molto più coinvolgente e più pieno di significato, oltre a un’ulteriore presa di posizione contro il fascismo e tutti i crimini che ha commesso.
la musica popolare è, e sempre sarà, una parte importante della nostra tradizione musicale, eppure con l’avvento delle tecnologie e della modernità, le tradizioni culturali popolari sono scomparse.
Oggi non esiste più una musica del popolo, o meglio non esiste la musica popolare creata con lo stesso scopo passato, ma nonostante questo la musica popolare é viva, continua anche se in modi diversi rispetto a ieri ad essere tramandata, analizzata, studiata e sicuramente in parti del mondo piu circoscritte esiste ancora chi la crea.
La particolarità della musica popolare è proprio il fatto che sia spontanea e che nasca da gente comune, il canto è nato insieme alla civiltà umana e si è sviluppato con essa durante i secoli,dunque caratterizza da sempre gli esseri umani ed’è una delle forme di espressione più utilizzate.
Il canto popolare in quanto epico è l’espressione delle emozioni più arcaiche dell’uomo (fatica, amore, affetto materno, …) e in tutto ciò rimane sempre un mezzo di espressione che supera la barriera del tempo. Un esempio per tutti è la celebre canzone “Bella ciao” , canto della resistenza italiana ma ora inno di tutte le resistenze nel mondo contro le aggressioni. Soffermandoci sul territorio italiano ci sono canti che sono diventati un inno di appartenenza territoriale: “Sciuri Sciuri” in Sicilia, “Vola Vola” in Abruzzo e “Noter de Berghem” nella provincia bergamasca.
In conclusione possiamo affermare che i canti popolari rappresentano l’appartenenza alla tradizione (modelli genitoriali, territorialità,…) ma possono trasformarsi in tradizione di appartenenza (emozioni, ideali) e questo li rende assolutamente contemporanei.
La canzone popolare nasce in contemporanea con lo sviluppo della civiltà umana ed è sempre stata una della più importanti espressioni utilizzate dagli esseri umani per mantenere la propria identità culturale. I canti venivano tramandati oralmente perché molti, prima del ventesimo secolo, erano analfabeti, quindi memorizzavano sia la melodia sia il testo.
Un esempio di popolo che è ricco di tradizione musicale è il popolo ebraico, che ha una storia che riconduce al periodo delle prime grandi civiltà antiche. Si trattava di un piccolo popolo circondato da grandi imperi che ne minacciavano l’identità e la libertà. Per mantenere la propria indipendenza, la propria storia, la propria cultura, si affidavano agli inni e ai canti. Questo è servito nei momenti in cui venivano deportati in Babilonia, in Egitto, durante la diaspora e più recentemente con l’Olocausto. Le canzoni popolari si riferiscono ai salmi, agli eventi tragici ma anche momenti di festività. Il genere musicale si ramifica in base alla zona geografica, come il Klezmer, musica sefradita o ladina e Mizrahi. “L’aver mantenuto un’identità precisa, fatta di tradizioni culturali e religiose comuni, nonostante la migrazione in molti luoghi diversi, anche lontani fra loro, è una delle caratteristiche particolari della storia del popolo ebraico.”
Se è vero che “la voce è l’indiscussa protagonista dei generi popolari, con le sue polifonie spontaneiste, variopinte e legate all’improvvisazione”, ne è dimostrazione il patrimonio musicale delle genti afroamericane che nei campi intonavano delle melodie della propria terra d’origine e utilizzavano dei materiali di recupero per imitare gli strumenti a percussione, come i tamburi.
Le “work songs”, infatti, erano delle canzoni che avevano “le strutture circolari o strofiche utili per sviluppare la memoria e l’attenzione” e i “i testi utilizzati sono diretti, elementari, spontanei e quindi dotati di una certa forza emotiva”. Qualche secolo dopo nasce lo “Spiritual”, un canto religioso con testi che si ispirano alla Bibbia per sottolineare la sofferenza dei neri americani. Questo dimostra l’importanza che ha la contaminazione culturale, sia sincronica che diacronica. Da queste tradizioni nasce il “Blues”, che è un genere musicalmente “ambiguo”, perché “usa sistemi musicali di tipo africano, in particolare le scale pentatoniche, miscelati con il linguaggio musicale europeo”. BARBARA FURLONG
Come afferma Morgana, la musica popolare, “con l’avvento delle tecnologie e della modernità”, rischia di scomparire o di essere relegata in situazioni di nicchia. Per proteggere questo genere musicale l’UNESCO e il Ministero della Cultura hanno preso l’impegno di organizzare festival, come il Latium World Folkloric Festival, durante i quali vari artisti si esibiscono con lo scopo di avvicinare la propria cultura, i propri usi e costumi alle persone, affinché non si perda l’identità e al fine di proporre uno sguardo più ampio. Altro scopo è l’educazione delle persone alla cultura della pace e della tolleranza, attraverso la conoscenza.
Esistono sia in Italia sia nel resto del mondo molti gruppi che si occupano di questo settore musicale, che ha forti connessioni con la danza popolare. Alcuni di questi si sono esibiti o si esibiranno durante la nona edizione del Festival Popolare Italiano che è iniziato il 18 marzo scorso a Roma. Si tratta di un festival in cui si incontrano le culture del mondo.
I canti degli alpini sono considerati canti popolari. Questi venivano cantati nei momenti più difficili o di gioia durante la prima guerra mondiale. Essi consistevano in canti popolari pre-esistenti che gli Alpini adattarono alle situazioni che quei soldati si trovavano a vivere: in trincea, sotto attacco, in ritirata. “La canzone “La si taglia i biondi capelli” esisteva già prima della guerra in molte regioni italiane ed è stata ritrovata una versione che arriva dal Veneto, e fa riferimento alla bella guerriera, presente anche nella tradizione lombarda.”- BARBARA FURLONG
Vorrei partire dalla citazione scritta:
“È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare” – Zoltan Kodaly
Distaccandomi da quanto scritto nel blog, vorrei concentrarmi su questa frase.
Parlando per esperienza personale, mio papà spesso insiste nel volermi far conoscere quella che è la tradizione, la cultura musicale africana, per lui questo conta anche se riconosco che per me purtroppo è un qualcosa di troppo lontano.
Spesso mi racconta che secondo lui le nuove generazione hanno poca curiosità, poca voglia di conoscere in un certo senso la musica che li ha preceduti.
È vero che le tecnologie ormai avanzate hanno fatto si che inevitabilmente i giovani iniziassero ad ascoltare qualcosa di più nuovo, di più “commerciale” , ma allo stesso tempo mi chiedo:
è davvero un problema non conoscere quella che è la propria cultura musicale popolare per noi giovani?
Il fatto è che credo che per gli adulti, per la maggior parte, sia davvero difficile comprendere il cambiamento, distaccarsi necessariamente da ciò che c’era prima, accettare il nuovo.
Voglio dire che la curiosità di conoscere, dovrebbe venire da entrambe le parti ma non so quanto i grandi siano disposti a conoscere senza avere già maturato molti pregiudizi.
La cultura musicale africana, per esempio, ha molte piu sfaccettature di quello che sembra.
L’africa per quanto riguarda la musica non è un continente proprio culturalmente omogeneo.
Sappiamo bene che l’Africa è divisa in tre parti:
Africa settentrionale, centrale e meridionale
Quello che in pochi sanno è che tutte le tre parti hanno subito molte influenze che hanno portato poi a cambiamenti drastici per quanto riguarda soprattutto la musica, quindi gli strumenti, i canti e la modalità.
Non credo che siano realtà totalmente superate perchè in Africa tutti i giorni si convive con queste musiche e si vive di tradizione, di musica per loro antica ma forse perchè dipende molto anche dall’ambiente in cui si vive.
Possiamo concordare tutti sul fatto che,generalizzando(perchè so che non è cosi in tutte le parti dell’Africa), l’Africa rispetto alle tecnologie è molto indietro rispetto ad esempio all’Italia, motivo per cui quelle che noi definiamo “musiche commerciali” forse li non si sa nemmeno cosa siano.
Lo dico perchè avendo i cugini in Camerun, so che tipo di realtà si vive in certe zone.
Riprendendo quindi la citazione scritta all’inizio, credo anche io che sia importante conoscere da dove veniamo, sapere cosa ci ha preceduto, da dove arrivano le radici della musica che tutt’ora ascoltiamo ma la vera domanda è:
È davvero necessario per permettere quello che è il progresso della musica,che ci piaccia o meno?
Non è meglio metterla sul piano della curiosità personale e non metterlo come dovere morale e civile?
Forse invoglierebbe molto di più i giovani, portandoli a scoprire nuove realtà senza sentirlo come un obbligo ma semplici scoperte.
parto dalle domande scritte da Salomee,
È davvero necessario per permettere quello che è il progresso della musica,che ci piaccia o meno?
per rispondere alla prima domanda, penso che per permetter e un progresso musicale, le musiche polari possono essere un punto di partenza per aiutarci ad andare avanti, elaborarli, migliorare quello che in passato è stato composto in maniera semplice e comprensibile a tutti.
potrebbe essere un appoggio per capire come componevano nel passato, secondo me si più fare un paragone tra le musiche popolari, ovvero musiche conosciute da tutto il popolo con la musica popolare di oggi. quest’ultima è anch’essa una musica che conoscono tutti, sicuramente non ha la stessa valenza intellutale e di importanza rispetto alla musica popolare di un tempo, ma sono comunque canti/ canzoni conosciute da molta gente, proprio come i canti popolari di un tempo.
quindi grazie a questo posso dire che secondo me è importante guardare anche indietro al nostro passato per creare un futuro, visto che è come se stessimo facendo questo inconsciamente.
Non è meglio metterla sul piano della curiosità personale e non metterlo come dovere morale e civile?
per rispondere alla seconda domanda, mi ritrovo d’accordo, dicendo che anche secondo me, rispetto alla citazione di – Zoltan Kodaly “È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare”, penso che per conoscere meglio la musica popolare bisogna avere una curiosità personale, e non bisognerebbe metterlo come dovere morale o civile.
una persona curiosa, grazie alla curiosità può arrivare molto più in profondità, per scoprire il passato, mentre una persona che trova questo scavare nella storia come un dovere morale e civile, lo fa superficialmente, solo per avere un quadro generale, ma senza interessarsi veramente all’argomento.
Non puoi andare avanti se non sai da dove vieni, anche se questa appartenenza non è scontata.
Le tradizioni come i canti popolari nascono per darci un senso di appartenenza ad una comunità e, anche se a quella comunità ci sembra di non avere nulla in comune, essere parte di un’altra significa essere portatori di valori originali, altrimenti subiamo un’anonima omologazione che ci fa sentire terribilmente soli. Ma che cos’è la tradizione di cui i canti popolari sono l’esempio musicale? È una gabbia che stringe o tiene legata forzatamente a dei valori di un territorio in cui non sempre apparteniamo più? Oppure è un’impronta originale da cui partire per cercare la nostra vera identità? Possiamo cercare noi stessi senza conoscere nemmeno il punto di partenza?
Sono d’accordo con quello che dice Angela, penso che, come dice lo stesso Kodaly, tutti dovremmo conoscere la cultura popolare del proprio paese perchè è importante conoscerne l’origine e le proprie tradizioni; per esperienze personali posso dire che i canti popolari sono anche un mezzo che possono collegare la nostra generazione con quella dei nostri nonni, conoscerli può essere anche un modo di sentirsi più legato ad un paese e ad una comunità di persone.
Abitando in un piccolo paesino di montagna ho potuto conoscere e apprezzare questi canti perchè sono una delle prime cose che mi hanno insegnato quando ho iniziato a suonare il mio strumento, ovviamente insegnate da mio nonno che si è occupato di mettere nel mio repertorio strumentale pure i canti popolari, o almeno una piccola parte.
Il canto popolare come ogni tipologia d’arte può diventare un arma. Questa tipologia di canti che nasce come forma di unione e a volte di credo, fa parte del patrimonio culturale di ogni paese. I racconti di vicende e di contesti storici che vengono tramandati non oralmente ma tramite un’altra grande forma di linguaggio : la musica. Purtroppo o perfortuna essi tornano utili nel momento del bisogno. Ad esempio durante la riforma luteriana molti cattolici iniziarono a convertirsi altrove. Così le due fazione rivali adoptarono per uno stile simile di canti popolari,dove la canzone era facilmente apprendibile a tutti. La melodia era intuitiva e basilare. Le modulazioni erano inesistenti e l’estensione vocale richiesta era a tutti accessibile. Il canto popolare per quanto riguarda noi italiani è uno dei principali fonti di ispirazione delle ormai divenute “canzoni “.
Riprendendo il discorso che riguarda la musica africana, vorrei parlare più nello specifico del paese con più ampia cultura musicale africana: Kenya
In origine, la musica in Kenya ha iniziato a svilupparsi dai gruppi etnici e all’inizio veniva tramandata via orale, c’era più voce che strumento.
La musica per loro è un mezzo che accompagna le cerimonie che scandiscono i momenti importanti della vita dei membri delle comunità: la nascita, il passaggio all’età adulta, il matrimonio e il funerale.
La musica assume un ruolo da supporto per quanto riguarda la danza in costume, travestimenti, rituali e per esempio una delle canzoni più importanti in lingua maa, viene intonata per celebrare il successo delle battute di caccia al leone.
L’elemento centrale della musica africana è sicuramente il ritmo che viene scandito non solo dagli strumenti a percussione, ma anche da altri strumenti e dalla voce.
Il ritmo nella pratica musicale africana si presenta quasi sempre nella forma poliritmica cioè con gli accenti metrici mescolati e quindi in questo modo si vanno a creare effetti che trasmettono molta energia.
Altri elementi caratteristici della musica africana sono:
La ripetizione delle formule ritmico-melodiche (definite anche cicli), l’uso di scale pentatoniche (composte cioè da 5 suoni) e l’improvvisazione che è sempre presente.
Come ho detto prima generalmente la musica africana viene trasmessa oralmente, anche se grazie al lavoro di ricerca etnomusicologico siamo ora in grado di trascrivere anche i brani delle tradizioni popolari africane.
Tra gli strumenti africani più diffusi ci sono la kora(strumento a 21 corde simile a una chitarra), la m’bira(strumento costituito da lamelle poste in vibrazione dalle dita), il dun dun (chiamato anche “tamburo parlante”) e il djembe (tamburo).
Personalmente vorrei aggiungere, ma è un parere personale, che quando si dice che la musica tradizionale è stata dimenticata o comunque non ha più l’importanza che dovrebbe avere, secondo me come ho detto già nel commento precedente, non è poi cosi vero e lo conferma il fatto che in molte delle canzoni moderne, che fanno parte della categoria trap o rap, molti dei ritmi in realtà sono ritmi che sono facilmente ricollegabili alla tradizione musicale in questo caso
africana.
Se ci pensiamo, le canzoni trap, quelli che sono chiamati “beat” su cui poi ci si scrive, hanno un ritmo che si ripete in modo incessante, si sente molto il tamburo, o comunque le percussioni e spesso anche la melodia è simile al ritmo africano.
Ho notato che ci sono molti richiami a questa tradizione ecco, almeno per quanto riguarda questo ambito anche se magari gli artisti lo fanno in modo inconsapevole.
Credo che alla fine la musica tradizionale popolare, in generale, sia radicata in un certo senso dentro di noi, solo che non si ha voglia di approfondirne la conoscenza perchè ci sembra una cosa noiosa e forse la parola “antico” o “tradizione” ci mette poca curiosità.
Forse sapere e conoscere da dove proviene la musica moderna dei giorni nostri o conoscere la musica tradizionale che ora a detta di molti sembra essere scomparsa, è importante, ma la domanda resta sempre la stessa, è davvero cosi necessario?
O sono forse conoscenze che in un certo senso sono già radicate dentro di noi anche in maniera inconsapevole?
All’interno del blog si discute come il canto popolare sia parte integrante dell’identità di una persona.
Si discute come la nazionalità costituisca un tassello importante nella costruzione del proprio io.
La citazione finale asserisce che è “un dovere civile e morale conoscere la propria cultura musicale popolare”
Non è mia intenzione pormi sempre contro qualsiasi argomento di dibattito eppure trovo surreali considerazioni del genere.
Mi spiego meglio.
Sicuramente riconoscersi all’interno di una etichetta, che sia lo stato di appartenenza, l’orientamento sessuale, il proprio cognome, la professione eccetera… provoca un sentimento confortevole, di stabilità che tutti cercano.
Certamente questo definirsi in delle parole è una realtà imprescindibile della vita di chiunque.
Tuttavia trovo molto triste, ma sopratutto pericoloso riconoscersi fortemente in una definizione che indichi quella che dovrebbe essere la propria nazionalità.
Ognuno dovrebbe imparare a riconoscersi nella molteplicità delle cose che è.
Il forte sentimento patriottico che si riversa sulla musica potrebbe rappresentare uno strumento propagandistico, proprio come è successo durante il ventennio fascista.
Ovviamente con ciò non intendo dire che ogni intervento o rimembranza di un proprio canto popolare rappresenti una micidiale arma di possibili governi neri, eppure in questo stretto sentimento di nazionalismo, ci vedo più una chiusura mentale che un dolce guardare alla propria cultura.
Inoltre proprio gli autori del programma di quest’anno sono la vera e propria prova che la melodia e il canto all’interno della dimensione musicale possono rappresentare anche qualcosa di incredibilmente futile.
Autori come Debussy e mio malgrado devo riconoscere anche Schonberg, dimostrano come la melodia e il canto possano rappresentare uno scoglio per la musica oppure un vero e proprio stereotipo.
Con ciò non voglio denigrare il concetto di portare avanti una propria dignità culturale e artistica.
Tuttavia ritengo assurdo vedere questa conoscenza del proprio canto popolare come un effettivo dovere.
Mi trovo assolutamente d’accordo con questa riflessione, ritengo che il riconoscersi in un’identità popolare derivi dall’unione della riconoscenza delle proprie origini e della consapevolezza dell’identità che si matura nella vita.
L’elemento che io ritengo sia di estrema importanza, è la realizzazione della propria identità, in questo caso da un punto di vista culturale. E’ inevitabile che ognuno di noi nasce in un contesto famigliare, sociale e culturale che non può definire in alcun modo, però è necessario che ciò venga compreso a pieno da ognuno di noi. Conosce le proprie radici, dunque quali sono i punti di partenza vantaggiosi e svantaggiosi della propria condizione di nascita, è un trampolino di lancio verso un percorso di maturazione della propria identità, nel quale bisogna cercare di capire cosa cambiare e cosa no, a favore dei propri ideali e della condizione socio-culturale che si vuole ottenere.
Conoscere la musica popolare, tipica del contesto culturale in cui cresciamo, è importante per capire se questa possa essere per noi un motivo di ripudio, critica, ammirazione o altro… E dal momento in cui noi la comprendiamo a pieno possiamo proseguire secondo i nostri ideali, sia che ci ispiri (come accadde nel continente europeo durante i decenni dell’avvento dei nazionalismi), sia in caso contrario.
Personalmente trovo che questo concetto di “etichetta” stia cominciando ad essere usato a sproposito e che stia intaccando ambiti con non dovrebbe intaccare. Inoltre trovo questa riflessione un po’ esagerata, in quanto non riesco a capire come il conoscere una propria tradizione musicale debba far sentire qualcuno chiuso in un’etichetta.
Secondo me conoscere la propria cultura/tradizione non è un qualcosa di limitante, ma al contrario, un qualcosa che ti arricchisce e amplia quella che è la tua persona in quanto ti permette di conoscere la tua identità ed è solamente quando la conoscerai a pieno che poi la potrai veramente ampliare.
Inoltre come dici te: “Ognuno dovrebbe imparare e riconoscersi nella molteplicità che è”. Per fare ciò non è necessario conoscere le proprie origini a partire dalla propria nazionalità e tutta la cultura che ne deriva? A mio avviso sì, in quanto riconoscendo la propria nazionalità o cultura non significa chiudersi in una definizione ma avere piena consapevolezza di sé e porre le basi per la costruzione della tua persona e una di queste basi, soprattutto in Italia, è il canto che da sempre ha accompagnato il popolo nel corso della storia.
Rispondendo al commento di Diana, volevo soffermarmi su delle sue parole. Già nelle prime righe si leggono dei termini che, per quando mi riguarda, non centrano molto con il contesto e rischiano altresì di sfociare in tematiche sulla quale, tutt’ora, l’intero popolo italiano lo associa ad una pagina da strappare di un libro generale della storia della Nazione. Oggi, il canto popolare consiste nel ricordare, attraverso il potere del linguaggio musicale, le proprie origini, le proprie idee, le proprie storie, o perché no anche la propria terra. Ecco, personalmente io mi ritrovo in pieno sull’ultimo punto, ovvero quello di ricordare, attraverso canti popolari, la mia tanto amata quanto distante Sicilia. Sarò anche un ragazzo nostalgico, e magari ripetitivo, ma per me il canto popolare è l’unico mezzo che sento più vicino, nonostante i 1.537km di distanza, per ricordare non solo la propria casa ma anche degli indelebili ricordi d’infanzia. Un brano indimenticabile e notissimo è l’intramontabile “Ciuri Ciuri”. La canzone è una forte affermazione della identità siciliana. Un altro inno alla regione Sicilia è la canzone “Vitti na crozza”, un brano dal sapore allegro ma che in verità nasconde una grande profondità fatta di vita vera fatta di dolore e duro lavoro. Un’altro illustre personaggio, è Gian Campione, un nome importante della tradizione musicale siciliana, che ci regala un ulteriore perla, “A Cammaratisa”. Con la consueta marcetta di accompagnamento, l’atmosfera qui si fa molto più leggera e ricorda più un’allegra sagra paesana, riportando la storia di una giovane in cerca di fortuna ad Agrigento. Il motivo fondamentale, per la quale non riesco ad essere totalmente d’accordo con Diana, è molto semplice e consiste nel fatto che non potrei, ne ora né mai, immaginarmi la mia Sicilia senza queste canzoni. Entrambe le due cose costituiscono dei punti che devono andare di pari passo, nonché un connubio che sta alla base della propria tradizione locale.
Come primo commento ho voluto informarmi meglio su Zoltan Kodaly che non conoscevo, ma che leggendo questo articolo mi ha incuriosito molto, e scrivere ciò che ho colto e sviluppare un pensiero personale.
Zoltan Kodaly era un compositore ungherese noto per il suo lavoro nel campo della musica folkloristica ungherese. Kodaly riteneva che la musica popolare fosse un’importante fonte di ispirazione per i musicisti, poiché la sua struttura e il suo linguaggio musicale erano radicati nella cultura e nella tradizione popolare.
Kodaly ha sostenuto che la musica popolare era una forma d’arte autentica che rifletteva l’anima e la vita del popolo, e ha incoraggiato i musicisti a studiare e ad utilizzare la musica popolare nelle loro composizioni. Ha scritto numerose opere basate sulla musica popolare ungherese, utilizzando la sua conoscenza della tradizione musicale popolare per creare una sintesi unica di elementi folkloristici e tecniche musicali moderne.
Le citazioni di Kodaly sul canto popolare sono numerose e spesso sottolineano l’importanza della musica popolare come fonte di ispirazione e come espressione dell’identità culturale. Una delle sue citazioni più famose riguardo il canto popolare è la seguente:
“La musica popolare è la radice della musica di qualsiasi nazione, e se vuoi conoscere la loro musica, devi iniziare con quella.”
Questa citazione sottolinea l’importanza della musica popolare come fonte di ispirazione per i musicisti e come espressione dell’identità culturale di una nazione. Kodaly riteneva che attraverso lo studio della musica popolare, i musicisti potessero scoprire nuovi modi di espressione e sviluppare la loro propria voce musicale.
Ora voglio parlare delle differenze tra la musica popolare di un tempo e quella moderna, l’impatto che quella dei giorni d’oggi ha sulla società a differenza di come una volta veniva considerata questa tipologia di musica.
La musica popolare moderna si riferisce alla musica contemporanea che si sviluppa all’interno delle culture popolari e che si diffonde ampiamente tra il pubblico. Questa musica è spesso influenzata dalla musica tradizionale, ma si evolve costantemente attraverso l’uso di nuove tecnologie e stili musicali.
Essa abbraccia una vasta gamma di generi musicali, tra cui il pop, il rock, l’hip hop, il country, il reggae, il funk e molti altri. Ci sono anche sottogeneri come la musica elettronica, la dance music, la musica latina e la musica indie.
Spesso associata ai cantanti e ai gruppi che si esibiscono in concerti dal vivo, registrano album e hanno una forte presenza sui social media. Tuttavia, con l’avvento di Internet e dei servizi di streaming, la musica popolare moderna è diventata sempre più accessibile al pubblico in tutto il mondo.
La musica popolare moderna ha anche avuto un impatto significativo sulla cultura popolare, influenzando la moda, lo stile di vita e la lingua. La sua capacità di evolversi e di adattarsi alle esigenze del pubblico la rende una forma d’arte vitale e in costante mutamento.
Assolutamente sì, ha avuto un impatto significativo sulla cultura popolare in molti modi diversi. Ad esempio, molti artisti di successo hanno influenzato la moda e lo stile di vita, creando tendenze che sono diventate popolari tra i fan della musica. Inoltre, la musica popolare moderna ha anche influenzato il linguaggio e l’argot, creando nuovi termini e modi di esprimersi che sono diventati parte del linguaggio comune.
Vorrei ricollegarmi a un’affermazione di Salomèe che mi ha incuriosito molto.
Nello specifico l’intervento che mi ha stimolato è il seguente:
“Voglio dire che la curiosità di conoscere, dovrebbe venire da entrambe le parti ma non so quanto i grandi siano disposti a conoscere senza avere già maturato molti pregiudizi.”
Sono totalmente d’accordo con Salomèe, fin troppe volte ci viene rimproverato il nostro comportamento e ci viene inculcata una narrazione secondo la quale qualsiasi azione “diversa” dal passato rappresenti un atteggiamento quasi maleducato o addirittura sovversivo.
Ci viene richiesto da persone che per prime sono incapaci di ascoltare, di comunicare con loro.
Molto spesso si discute di come il dialetto bergamasco, ma non solo, in generale i dialetti vanno sempre di più a perdersi tra i giovani.
I canti popolari stessi delle varie città si stanno perdendo.
Ovviamente il caprio espiatorio sul quale viene riversata tutta la colpa sono i giovani.
Io per prima sono colpevole, il bergamasco lo comprendo, ma non lo so parlare.
Di canti della zona bergamasca non ne è conosco neanche uno.
Nonostante ciò non mi percepisco come inadempiente nei confronti di un qualsiasi dovere civile e morale.
Perché esso non deve in alcun modo costituire un dovere.
Potrei risultare ripetitiva e forse lo sono anche, però credo che la mia esperienza nel personale possa essere un’altra prova che avvale la mia tesi.
È quasi insensato considerare il canto popolare un dovere.
I doveri son decisamente altri, soprattutto quelli artistici.
Il musicista ha il dovere di portare avanti una certa estetica.
Estetica che per certi versi coincide perfettamente con un concetto di bellezza, mentre in altri autori potrebbe essere l’esatto opposto, ovvero una totale distruzione di ogni canone di bellezza idealizzata.
A prescindere dall’estestica che qualsiasi compositore, artista, musicista eccetera… vuole portare avanti è ingiusto porre un paletto come quello del dovere civile e morale.
La persona nel suo singolo, come il musicista all’interno della propria produzione può scegliere di servirsi di quello che più di ogni altro secondo il suo sentire interiore coincide con le proprie emozioni.
L’unica imposizione che può essere data alla musica come dovere o come morale è quella di provenire dall’interiorità del soggetto.
Voglio concludere dicendo che ovviamente se il proprio sentire coincide con la prosecuzione della tradizione ci mancherebbe ostacolare questo desiderio.
Tuttavia ribadisco che questa attenzione nei confronti della tradizione non può costituire un paletto obbligatorio definibile come dovere.
Il canto popolare è un argomento estremamente ampio, che abbraccia e personalizza le culture di ogni parte del mondo; quando più culture si incontrano e i relativi canti/tradizioni si mischiano il risultato può essere quanto meno soprendente.
Basti pensare alle “work-song” degli schiavi afroamericani dei primi anni del ‘900, la tradizione africana è portata di forza nel nuovo mondo e qua si evolve, oltre che trovare una nuova identità.
Nella tragedia della schivitù i canti della tradizione americana trovano una nuova chiave d’espressione tramite l’esternazione del sentimento di malinconia che il lavoratore prova, nonché la necessità di comunicare con i propri compagni e cercare una distrazione dalla durezza del lavoro.
Con l’abolizione della schiavitù l’ex schiavo, ora catapultato nella società americana trova nuove occasioni e nuovi mezzi per cantare e condividere i propri canti, nascono gruppi musicali che uniscono l’animo delle work-songs al mondo strumentale: nascono numerosi generi con caratteristiche diverse tra loro ma con la stessa radice malinconica dei canti schiavili.
Questi nuovi generi quali Jazz, Blues, Spiritual, ecc, a loro volta diventano nuove forme di canto popolare di una società americana nuova e, per forza di cose, mista.
La citazione di Kodaly offre un interessante spunto di riflessione sull’importanza del mantenimento del canto popolare come elemento culturale tradizionale.
Ognuno dovrebbe conoscere i canti del proprio territorio? Si e no.
Ovviamente una conoscenza del proprio patrimonio artistico fa risaltare un grande interesse per la propria terra ed un legame che ha tutto l’interesse nel conservarla e curarla.
Tuttavia in un mondo globalizzato questo non è più possibile in modo totalizzante: la sempre maggiore connessione tra popoli diversi va per forza di cose ad indebolire le tradizioni locali, solo i canti più famosi e/o sentiti rimarranno e verranno conservati oltre che mostrati al mondo.
Essendo l’uomo un essere sociale, la memoria sociale permane mentre quella personale è destinata a perire; se un paese conta migliaia di comunità e ognuna conta decine di canti tradizionali diversi, inevitabilmente alcuni verranno persi e solo quelli che trasmettono un messaggio forte e sentito dal paese intero rimarranno nella memoria collettiva.
Il dovere morale di conoscere i propri canti profetizzato da Kodaly è indubbiamente un pensiero che parte col moigliore dei presupposti, ma limitato ad una dimensione locale, impossibile da generalizzare.
In questo commento vorrei approfondire l’importanza del canto popolare e delle sue diversificazioni in base ai Paesi di provenienta.
Ogni canto é importante e si distingue per varie caratteristiche.
L’Italia possiede un ricchissimo patrimonio di “meloi arcaici”, molto differenziati regionalmente, e numerosi ricercatori hanno raccolto e catalogato centinaia di linee melodiche arcaiche.
Spesso una linea melodica può avere diversi testi (e può essere stata raccolta in contesti geografici lontanissimi l’uno dall’altro) o lo stesso testo può essere stato adattato a diverse melodie.
Le linee melodiche arcaiche, di tradizione orale, e quindi originali, spesso oggi vengono tenute in considerazione da compositori di altissimo livello che, prendendo il materiale in questione, dopo una lunga ricerca nella tradizione folkloriche locali, lo elaborano trasformandolo in una vera e propria opera polifonica, fissandolo così nel tempo e nello spazio e conseguentemente salvaguardando un patrimonio culturale di inestimabile valore che, altrimenti, andrebbe perduto.
La gran parte di questo materiale melodico arcaico rielaborao entra a far parte del repertorio del coro.
Il canto folklorico, innestandosi radicalmente all’interno delle diverse società, ha permesso un’attenta analisi delle fenomenologie sociologiche. A tal proposito, si possono citare i canti epici che narrano imprese e storie eroiche (molto diffusi nei Balcani in nord Europa e in Medio Oriente); le ballate o (folk) ballads britanniche; i canti di lavoro (da quelli degli schiavi afroamericani a quelli delle mondine o dei battipali italiani); i canti rituali (dai riti ancestrali africani ai festeggiamenti per la Pasqua); le filastrocche e le ninne nanne, gli inni e le villotte.
In questo secondo commento parleró del ruolo del canto popolare secondo l’ideologia di Kodaly.
La musica popolare, espressione spontanea dello spirito di un popolo e sintesi compiuta e perfetta di musica e parola, è chiamata da Zoltán Kodály madre lingua musicale, e in quanto tale ha il valore di “nutrimento” iniziale nella vita musicale del bambino.
In Ungheria il canto popolare viene riscoperto nel suo valore e nella sua ricchezza grazie all’intensissima attività sul campo e all’analisi scientifica del materiale registrato o trascritto, ad opera di Kodály e Bartók.
Kodály nel corso della sua ricerca, che copre tutto l’arco della sua stessa vita, registra quasi 5100 melodie e varianti melodiche in 235 villaggi della “grande Ungheria” (che si estende ben oltre i confini attuali e copre zone ora appartenenti alla Romania, alla Slovacchia, alla Repubblica Ceca, all’Ucraina, alla Serbia e alla Croazia ). Grazie a questo immenso e appassionato lavoro nasce il Corpus Musicae Popularis Hungaricae, ossia la completa edizione dei canti popolari ungheresi, che per la prima volta al mondo rappresenta una pubblicazione sistematica e scientifica dell’intera tradizione musicale di un popolo.
Qui di seguito vorrei dare un’idea di ció che ho scritto sopra attraverso una canzone popolare che personalmente trovo molto intrigante, in una versione interpretata da Marta Sebestyen:“Szerelem Szerelem” (Amore Amore).
“La voce è l’indiscussa protagonista dei generi popolari “, nel mio commento voglio riflettere su questo aspetto, non tanto sull’importanza della voce, quanto sull’altra faccia della musica che, secondo me, non merita di essere totalmente sovrastata dal repertorio popolare vocale, ovvero quella strumentale.
Ovviamente bisogna distinguere questo aspetto nelle varie culture, per cui alcune hanno una prevalenza vocale, in alcuni casi addirittura esclusiva presenza della voce (ad esempio il genere tipico sardo del “canto a tenore”), altre invece hanno un repertorio nettamente strumentale. In questi ultimi esempi, ritengo che la voce non si possa definire come protagonista assoluta del canto popolare.
Un esempio, culturalmente distante dal nostro, riguarda la musica della cultura nord-europea, distinta in due macroaree:
– Area Scozzese-Irlandese: nell’area scozzese e soprattutto irlandese, la musica popolare trova un perfetto equilibrio fra danza, musica e voce. La chiave di questi generi popolari è il ritmo, questo viene eseguito ad una velocità e ad una precisione cristallina. Prevale la presenza di strumenti a percussione data questa esigenza, le armonie e le melodie sono semplici e ripetitive con variazioni, per assecondare il bisogno di una musica definita dal ritmo.
– Area Scandinava: nell’area Scandinava la musica strumentale e vocale ha origini antichissime, tribali, dettate dalla volontà delle popolazioni locali di imitare i suoni della natura, sia con la voce ma soprattutto con i numerosi strumenti. La natura che ispirava la mitologia norrena era una natura crudele, per questo si cercavano dei colori scuri e scarni, delle ritmiche definite, per questo troviamo una prevalenza di strumenti ad arco e percussioni. In ambito classico Edvard Grieg è il maggiore esponente che porta avanti questa tradizione.
La musica è nata con l’uomo e lo accompagna in ogni momento della sua esperienza umana affettivo-emozionale, ideologico, e sociale-storica. La musica prende forma e si lega alla cultura seguendo l’evoluzione dell’esistenza dell’uomo, della società e della moda. Ogni area geografica, ogni periodo storico, ogni civiltà più o meno colta e progredita, possiede la propria musica. Il canto popolare è l’espressione spontanea di un popolo e ne interpreta i sentimenti e le aspirazioni; in esso si rispecchiano i vari fattori ambientali, le tradizioni e le rievocazioni. Una delle sue caratteristiche primarie è di essere tramandato e diffuso oralmente attraverso esecuzioni pubbliche e/o private tra gente di uno stesso ambiente (durante un filò nella stalla, la mietitura, la vendemmia, in un’osteria, in una fiera, nello stesso ambiente lavorativo), tra emigranti, tra soldati.
Uomini, donne, giovani che cantano una speranza, un momento rituale, una gioia, una nostalgia, una tristezza, un ricordo, un affetto o un amore. Il canto popolare, essendo tramandato e diffuso oralmente, spesso può subire modifiche nel titolo, nel testo e nella musica. Infatti non esistendo nulla di scritto ciascuno può introdurre a piacere delle piccole varianti. Questo può avvenire anche quando un musicista o uno studioso cerca di trascrivere una realtà corale eseguita per lo più ad “orecchio”.
La struttura melodica ed armonica del canto popolare è piuttosto semplice, senza schemi e regole. La struttura ritmica si presenta libera in certe parti, mentre in altre è regolata da un determinato movimento (andante, allegro, lento…). Predomina la tonalità maggiore, mentre limitata è la presenza di gruppi di note ornamentali tra due suoni reali della melodia.
Per capire più a fondo cosa ci lega al canto popolare è necessario definire il cerchio di questo genere, che sembra abbracciare infinite cose.
La musica popolare è la musica del popolo e quindi non esiste per forza un autore o un compositore; appartiene, d fatto, al sapere di tutti da tempo immemore.
Spesso è legato alla vita quotidiana del popolo: le fasi del lavoro, il ritrovo delle feste profane e così via.
E’ chiaro, quindi, che è legato ad un esigenza di comunicazione immediata.
Detto ciò, il canto popolare ha ancora senso nel 2023?
Penso proprio di sì: non è solo importante a titolo culturale ma ci permette di inquadrarci, capire da dove veniamo e chi siamo.
“La musica è per l’anima quello che la ginnastica è per il corpo.”
-PLATONE
Questa citazione mi fa riflettere quanto la musica per i nostri antenati sia stata davvero importante, anche nella sua semplicità.
I testi proposti da queste musiche sono spontanei e vengono direttamente dal cuore: trovo quest’aspetto molto bello e intenso.
La musica popolare non è deve qualcosa di lontano o e estraneo; anzi, deve far sempre parte della nostra vita.
“È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare” – Zoltan Kodaly
Molti compositori del 1900 iniziarono sempre di più ad interessarsi verso la musica popolare: il risultato è stato eccezionale.
Grazie a loro, molti paesi ( soprattutto dell’est Europa) hanno avuto la possibilità di di affermarsi culturalmente, sfornando nuovi talenti, come George Enescu.
Lo cito come compositore perché ha dato veramente valore ad un paese quasi dimenticato dal mondo: la Romania.
Infatti, il paese risente ancora molto della cultura popolare.
La cosa interesante è che la musica tradizionale Rumena è un misto di culture: da quella Greca, a quella Turca , Russa ed Ebraica.
‘Sonate “dans le caractère populaire roumain”, pour violon et piano n. 3 in la minore op. 25 ‘ è uno dei pezzi più celebri del compositore, il quale ci racconta della sua cultura ( ricordiamo che il compositore si trovava a Parigi per gli studi accademici e quindi lontano dalla madre patria) e possiamo percepire anche un senso nostalgico.
Enescu non sicuramente l’unico a portare aventi questo tipo di stile musicale: ricordiamo Grieg, Dvorák, Sibelius e la lista potrebbe continuare.
Sono qui per condividere a pieno il pensiero di Kodaly perché penso proprio che la tradizione musicale di ogni paese vada tutelata e supportata.
I CANTI DELLE MONDINE
Nei villaggi che circondavano le risaie, le donne di campagna erano quasi tutte mondine. Alcune erano giovanissime, appena tredicenni, altre arrivavano alla settantina. Venivano fatte alloggiare in capannoni ricavati da granai in disuso o cascine, dove dormivano su qualche asse di legno coperta da una manciata di paglia: questi dormitori arrivavano ad ospitare fino ad una sessantina di persone.
Talvolta, nel silenzio della campagna si udiva un grido: «Erba! Erba!». Era il segnale che il mazzo di erbacce era giunto all’ultima della fila. A volte, una intonava un canto, e le altre rispondevano: un modo per mantenere il ritmo e alleviare il duro lavoro. Tali canti parlavano di amori perduti, di nostalgia per il paese natio, della vita campestre e della fatica del lavoro. Alcuni di essi potevano, però, diventare un pericoloso presagio di rivolta: quando le mondine cantavano «Scarpe rotte eppur bisogna andar a conquistare la rossa primavera, dove sorge il Sol dell’Avvenir», il segnale era forte e chiaro: la Rivoluzione era nell’aria.
TRA PASSATO E PRESENTE
Le condizioni delle mondariso sono rappresentate al meglio da “La mondina”, un canto il cui testo venne scritto attorno al 1950 da Pietro Besate, consigliere comunale del Partito comunista di Vercelli, coinvolto in prima persona nelle lotte per i diritti delle mondine. La melodia proviene da un’antica canzone popolare: “La rondinella”. Fin dalla prima strofa fu un successo: «Son la mondina, son la sfruttata, carcere e violenza, nulla mi fermò». Parole potenti, che rappresentavano la condizione e la forza delle protagoniste, spesso oggetto di carcere e violenza, come narra la canzone.
I cori delle mondine continuarono ad esibirsi anche del secondo dopoguerra, in occasione delle feste paesane oppure dei festival. Questi canti vennero ripresi anche da cantanti e cantautori come Eugenio Finardi, Francesco De Gregori, Milva…
Il coro più famoso delle mondariso, ovvero quello delle Mondine di Novi, canta ancor oggi la propria storia e il proprio impegno civile, tramandando le memorie popolari di generazione in generazione.
Forse, sin dagli albori dell’umanità, le madri di tutto il mondo hanno cantato una ninnananna ai propri figlioli per farli dormire, oppure per calmarli.
Le ninnenanne, presenti nelle culture di tutti i popoli, vantano origini remote: una prima documentazione letteraria si ritrova in uno degli idilli di Teocrito, in cui l’autore narra che Alcmena, madre di Eracle, intonava ninnenanne ai propri figli.
In passato, la ninna nanna veniva intonata anche per allontanare un male: vi è un legame tra “ninnananna” e “nenia”, termine che in latino indicava un lamento funebre (nēnĭa sta a significare, infatti, “cantilena”). Sempre in epoca antica, pare che la parola designasse anche una formula d’incantamento: la nenia aveva lo scopo d’indurre uno stato ipnotico, col fine di consentire l’accesso ad altre dimensioni, così come avveniva in un rituale sciamanico.
Nella musica vocale, la ninnananna è destinata alla voce femminile solista e adotta un ritmo composto lento (spesso in 6/8), che ‘culla’ l’ascoltatore. In genere, è caratterizzata da una struttura strofica prevalentemente sillabica e monodica e da un carattere ritmico regolare che, tuttavia, può essere soggetto a contrazioni e dilatazioni, coerenti con i movimenti materni. Le melodie di questi canti infantili sono molto semplici e fra gli intervalli più utilizzati vi è la terza minore discendente.
Nella musica strumentale, invece, la berceuse (“ninnananna”, in francese) è, in genere, una composizione per pianoforte: un esempio è La Berceuse di Chopin in Re maggiore, la quale fornì il modello d’ispirazione per molti altri compositori. Artisti come Liszt, Gounod, Igor Stravinsky composero molte berceuse per pianoforte e per orchestra mentre, Brahms compose il famosissimo Wiegenlied (“ninnananna”, in tedesco) Op. 49, n. 4.
Wiegenlied op.78 n. 4 di Schumann si differenzia per via dell’organico, molto insolito: invece della sola voce femminile, le parti vocali sono affidate al soprano e al tenore, i quali rappresentano i genitori di un bambino ammalato.
Leggendo i commenti di alcuni compagni ho potuto notare opinioni contrastanti: alcuni considerano i canti popolari fondamentali per l’affermazione di ciò che ci rende noi stessi, mentre altri hanno riflettuto sui pericoli che essi stessi hanno alimentato nel corso dei secoli, come l’affermazione di un’identità nazionale che troppo spesso è sfociata in un nazionalismo sopraffattore.
Certo non sono da sottovalutare i problemi che, nel corso della storia, sono scaturiti dall’estremizzazione di questo sentimento, ma non ritengo giusto attribuire una tale responsabilità ai canti popolari.
Cosa saremmo noi oggi senza di essi? I canti popolari portano avanti la cultura e le tradizioni di un popolo, e donano la possibilità alle generazioni successive di avere qualcosa in cui potersi riconoscere.
personalmente mi ritrovo d’accordo con Lisa, in questi commenti le opzioni sono molto contrastanti tra di loro, e come lei stessa afferma per qualcuno sono parti fondamentali del nostro passato, che ci aiutano a costruire un futuro, per atri sono invece considerati quasi come un “pericolo”, poiché spesso i canti popolari erano utilizzati magati come propaganda di qualcosa, il quale messaggio non era sempre positivo.
Per rispondere alla domanda finale, “cosa saremmo noi oggi senza di essi?”, vorrei dire che secondo me i canti popolari ci hanno indubbiante lascito qualcosa su cui riflettere e imparare. partendo dai canti tramandi a voce che cantavano i nostri nonni, ma anche tutti i canti che sono stati utilizzati come propaganda di qualcosa, in entrambi questi casi i testi utilizzati erano molto semplice ma diversi tra di loro e le musiche erano costituite da semplici melodie facilmente riconoscibili.
infine concludo dicendo che senza quelle tradizioni che si sono tramandate probabilmente non avremmo una parte consiste di materiale sul quale riflettere, perché anche se la stessa melodia poteva avere due testi diversi, magari orche di famiglia in famiglia il testo cambiava, è comunque del materiale sul quale poter riflettere e costruire un futuro.
È naturale che ancora oggi, anche se in maniera ridotta, si voglia portare come sigillo della propria identità i comportamenti e il linguaggio dei nostri antenati: basti pensare ai numerosi canti popolari in dialetto bergamasco che ancora vengono ricordati, specialmente nei paesi di montagna come il mio.
Il passare del tempo porta però inesorabilmente alla perdita di un patrimonio di cultura e saggezza a lungo raccolto nella memoria collettiva, senza che vi sia qualcos’altro a sostituirlo. Ma diciamolo, la scomparsa dell’uso quotidiano del dialetto bergamasco è inevitabile. Oggi sinonimo di ignoranza, il dialetto viene sempre più praticato solo dagli anziani.
Proprio per non dimenticare, pochi anni fa un professore del mio paese raccolse numerose testimonianze e le riunì in un libro intitolato “Così parlavano i nostri nonni”: numerose “filastrocche cantate” vennero raccolte, le quali venivano intonate dai nostri antenati in svariate occasioni.
I temi erano dei più svariati: dai religiosi ai volgari, dai più cattivi ai più divertenti. Numerosi erano i canti dedicati ai bambini. Si cercava infatti di trovare sempre nuovi metodi per farli rimanere allegri anche nella condizione di povertà estrema nella quale si trovavano.
I testi erano brevi mentre le melodie erano semplici ed immediate, proprio per facilitarne la memorizzazione da parte di tutti.
E proprio come afferma Zoltan Kodaly, “È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare”, così da non rinunciare ad un tale patrimonio culturale che fa di noi le persone che siamo oggi.
Leggendo il tuo commento condivido lo stesso pensiero.
Credo fortemente nell’importanza che i canti popolari possano avere per noi oggi.
Essi sono testimoni di storia, vicende, sentimenti umani.
Penso però che al giorno d’oggi i canti tradizionali non trovino sufficiente spazio nelle vite di tutti i giorni.
Si sta perdendo sempre di più l’arte del tramandare ciò che a nostra volta ci è stato tramandato.
Sarebbe bello riuscire a sensibilizzare tutte le persone fino alla giovane età, mi ricordo ancora i pomeriggi passati dalla mia prozia dopo le scuole elementari dove mi insegnava le filastrocche che recitava da bambina.
Trovo davvero un peccato che si stia perdendo la cultura delle tradizioni, siano esse vissute anche solo come indice storico e culturale.
Bisogna riconoscere che attraverso i canti e le testimonianze del passato, l’uomo non è più un essere estemporaneo ma trova la collocazione in un suo tempo.
Penso sia ragionevole, se non proprio ovvio, vedere la musica popolare come un punto di partenza per quella colta.
Dalla prima infatti traiamo numerosi elementi portanti della seconda (le regole dell’armonia ad esempio, o addirittura il gusto musicale che portiamo in quanto identità culturale in sé) anche se, con lo scorrere del tempo, è andata a crearsi una via via più netta distinzione fra le due.
Il legame fra queste rimane però indissolubile, andando in più punti lungo la storia della musica ad incontrarsi (chiaramente tratterò principalmente di musica occidentale data la mia maggiore famigliarità con essa).
L’importanza del popolare è sempre stata riconosciuta dai compositori; mi vengono in mente le rapsodie ungheresi di Liszt, la grande ouverture del 1812 di Čaikovskij, la battaglia a 10 di Bieber, Idyla di Janáček e molti altri lavori di Bartòk, Kodaly, Borodin e Shostakovich nei quali sono ricorrenti elementi caratteristici del popolare.
Il popolare parla al cuore; è un linguaggio musicale scritto dalle persone per le persone, dalla straordinaria immediatezza ed efficacia nel veicolare un significato e nell’accendere gli animi. Sarà questa la qualità riconosciuta dai grandi della storia della musica alla melodia popolare, tale da tornare senpre alle radici impiantate da essa.
Come la scrittura, le arti figurative e la lingua, la musica è un elemento caratteristico della civiltà, e come tale varia da identità culturale ad un’altra.
C’è chi al contrario di Kodaly non vede la conoscenza dell’identità musicale popolare del proprio paese come un dovere; non ci trovo alcun obbligo morale personalmente. Concordo sul fatto che il patrimonio da essa veicolato è della massima importanza, e che una minima conoscenza di esso da parte di tutti sia la cosa migliore per quanto riguarda la salvaguardia di questo parametro sociale.
Ogni popolo possiede canti tradizionali, canti tramandati, canti dimenticati
La musica popolare è testimone delle dinamiche storiche di ogni luogo.
La musica si evolve con l’evolversi della società umana.
Ogni periodo, paese geografico, popolo, ha avuto la sua musica “protagonista”.
La principale caratteristica dei canti popolari è la trasmissione che avviene oralmente tra persone di generazioni diverse.
Può succedere che uno stesso canto sia conosciuto con elementi differenti; essendo trasmessi oralmente i canti possono variare di testo, piccoli frammenti melodici o persino di titolo. Esso è un’ulteriore conferma del differente sviluppo che può interessare il susseguirsi delle generazioni e di quanto l’ambiente a cui apparteniamo modifichi la nostra crescita.
Proprio per la sua natura spontanea, è raro essere a conoscenza dell’autore di un determinato canto, in quanto dalla nascita, un canto popolare diventa di proprietà comune più che individuale.
Cambiano le persone, le abitudini, gli interessi, ma per quanto venga sempre meno, quella della musica popolare è una costante nelle nostre esperienze di vita.
I canti popolari! Ognuno di noi, a suo modo e a suo tempo, si sarà imbattuto in alcuni canti, canzoni, canzonette popolari. Chi ne è venuto a conoscenza tramite famiglia (nonni,bisnonni,zii,genitori,ecc…) chi ha udito per le vie della propria o non propria città e chi ne sentito parlare a scuola, a delle conferenze o dei dibattiti. I canti popolari sono un qualcosa che ci ritroviamo addosso senza volerlo e che non si può ignorare. Fanno parte della nostra cultura, della nostra terra, città, paese…della nostra vita. Appena giungono al nostro orecchio le riconosciamo immediatamente, indipendente dalla tonalità,strumento o voce. Sono orecchiabili e rimangono impresse nelle nostre menti fin dal primo ascolto. Melodie semplici, adatte a tutti e con testi facili da ricordare. I canti popolari, vanno preservati, tramandati e divulgati.
In quest’altro mio commento vorrei parlare, non dei canti popolari appartenenti alle tradizioni di un paese, città o famiglia ma…i canti popolari della grande guerra. Tutti noi conosciamo la storia della prima guerra mondiale e le sue tragiche vicende. Molti di noi vi sono legati per via di nonni o bisnonni che hanno vissuto quegli anni o che hanno combattuto al fronte per il nostro paese. Altri non hanno dei legami in particolare ma sono comunque parte di quelli consapevoli di ciò che in passato è accaduto e di continuare a ricordarlo. Io personalmente, come la mia famiglia, siamo legati a delle storie riguardanti i due conflitti mondiali e di essi ricordiamo le storie e le canzoni di quel tempo. I canti popolari del primo conflitto mondiale erano suddivisi in due categorie principali: Quelle dei soldati,sulle loro imprese, sui loro amori e sulle loro vite di trincea; Quelle delle famiglie dei soldati al fronte, del popolo, dei superstiti. Concentrandosi su quelle militari, ci accorgiamo subito di come le melodie siano semplici ma…armonizzate da più voci fino ad arrivare ai cori. In particolare si conosce maggiormente il repertorio recuperato del coro degli alpini. Cito per mia conoscenza “Sul Cappello”, “Il Piave mormorò” e “Ta Pum”. Queste canzoni alpine rappresentavano speranza e spirito di squadra per i soldati che stavano al fronte. Per noi invece, queste canzoni rappresentano la realtà della vita in guerra e devono essere per noi fondamentali per poter continuare a ricordare, perché la storia è di ognuno di noi ed è nostro dovere salvaguardarla,proteggerla e condividerla.
Per il filosofo Pitagora l’intero movimento cosmico genera un suono e un’armonia che possono essere uditi. L’essere umano nasce circondato da una serie di suoni, e al momento stesso della nascita, la prima azione compiuta è il pianto, nonché l’ascolto della propria voce. L’uomo e l’intero cosmo sono dunque, per loro natura, esseri musicali. La musica popolare, viscerale ed istintiva, è ciò che accomuna gli uomini al medesimo sentire, conducendo ad un inevitabile confronto con la propria interiorità e con il prossimo.
Ebbene, è “dovere civile e morale” conoscere la propria cultura musicale popolare: civile, in quanto racchiude l’intera memoria di un popolo; morale, riconoscendo il diritto e dovere di prendere coscienza della propria storia e dei messaggi da essa veicolata.
Il canto è sempre stato uno strumento immediato per trasmettere e percepire le più svariate sensazioni emotive. Al contempo, tuttavia, la forte potenza coesiva ed emozionale della musica è stata spesso violata della propria genuinità: basti pensare al periodo del regime fascista e a come quest’elemento, sì nazionalmente sentito, sia stato sfruttato come potentissimo strumento propagandistico.
Dopo gli anni del terrore fascista, la nazione non ha mai avuto il coraggio di “fare i conti” con il proprio passato, né tantomeno di riconoscere il repertorio popolare fascista come un elemento nazionale.
Ebbene, quanto dichiarato da Kodaly – “e’ un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare” – assume pieno significato. Ogni popolo ha il dovere civile e morale di affrontare e riconoscere la propria storia, anche le appendici più dolorose e disdicevoli.
Dunque, la musica popolare ( e non la musica colta, condizionata da forme e convenzioni) è la modalità più immediata per dare uno sguardo ai tempi precedenti, essendo la voce diretta del popolo, di un sentire individuale nel quale si identifica un’intera nazion
Per il filosofo Pitagora l’intero movimento cosmico genera un suono e un’armonia che possono essere uditi. L’essere umano nasce circondato da una serie di suoni, e al momento stesso della nascita, la prima azione compiuta è il pianto, nonché l’ascolto della propria voce. L’uomo e l’intero cosmo sono dunque, per loro natura, esseri musicali. La musica popolare, viscerale ed istintiva, è ciò che accomuna gli uomini al medesimo sentire, conducendo ad un inevitabile confronto con la propria interiorità e con il prossimo.
Ebbene, è “dovere civile e morale” conoscere la propria cultura musicale popolare: civile, in quanto racchiude l’intera memoria di un popolo; morale, riconoscendo il diritto e dovere di prendere coscienza della propria storia e dei messaggi da essa veicolata.
Il canto è sempre stato uno strumento immediato per trasmettere e percepire le più svariate sensazioni emotive. Al contempo, tuttavia, la forte potenza coesiva ed emozionale della musica è stata spesso violata della propria genuinità: basti pensare al periodo del regime fascista e a come quest’elemento, sì nazionalmente sentito, sia stato sfruttato come potentissimo strumento propagandistico.
Dopo gli anni del terrore fascista, la nazione non ha mai avuto il coraggio di “fare i conti” con il proprio passato, né tantomeno di riconoscere il repertorio popolare fascista come un elemento nazionale.
Ebbene, quanto dichiarato da Kodaly – “e’ un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare” – assume pieno significato. Ogni popolo ha il dovere civile e morale di affrontare e riconoscere la propria storia, anche le appendici più dolorose e disdicevoli.
Dunque, la musica popolare ( e non la musica colta, condizionata da forme e convenzioni) è la modalità più immediata per dare uno sguardo ai tempi precedenti, essendo la voce diretta del popolo, di un sentire individuale nel quale si identifica un’intera nazione.
In questo commento vorrei concentrarmi sulla musica Klezmer, la musica tradizionale ebraica, su cui io e miei compagni di classe abbiamo lavorato l’anno scorso.
La musica Klezmer( o musica Yiddish) è tipica delle comunità ebraiche dell’Europa orientale, e veniva eseguita in occasione di matrimoni e feste religiose.
Gli strumenti che più vengono utilizzati sono gli strumenti ad arco, il clarinetto, il flauto e le percussioni.
Nella musica Klezmer la melodia è molto importante infatti l’armonia viene posta in secondo piano e spesso si trova in attrito con la melodia, andando così a creare delle dissonanze e delle tensioni tipiche di questa musica.
I modi utilizzati dalla musica Klezmer sono cinque: il modo minore, il modo maggiore e tre modi sinagogali, che sono molto simile ai modi arabi e indiani.
Un altro elemento molto importante è l’imporovvisazione,che originariamente consisteva nell’abbellimento della melodia o nella modifica del fraseggio, ma che dopo l’influenza del jazz diventerà una successione di assoli basati sugli accordi del tema del brano eseguito.
I ritmi dei brani Klezmer sono principalmente binari e il tempo originariamente no era ben definito, in quanto i musicisti si adattavano in base alla tipologia di pubblico e all’atmosfera che si era creata.
La musica popolare può anche essere di origine liturgica, infatti con la definizione “canto popolare religioso” si intendono i repertori con tema religioso che non rientrino nel canto gregoriano o nella polifonia sacra.
Il canto popolare religioso può rappresentare volontà molto diverse. Infatti può essere l’espressione del popolo che vuole contribuire ai riti religiosi, oppure può essere l’opera di qualche pastore che cercava di avvicinare il popolo alla fede cristiana, utilizzando una lingua più semplice.
Proprio per questo il testo delle canzoni sacre popolari sono per la maggior parte testi delle canzoni sacre popolari sono testi poetici e non versetti di salmi, come accade invece nel canto gregoriano.
“È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare” – Zoltan Kodaly.
Leggendo vari commenti mi hanno colpito particolarmente alcune considerazioni fatte. La travolgente capacità aggregante, il valore umano e intellettuale della propria cultura musicale popolare è qualcosa di grande e prezioso: è una bussola importante per capire chi siamo e riconoscere da dove veniamo, per comprendere dove si vuole arrivare o naturalmente dove non si vuole andare.
Condivido quindi pienamente ciò che vuole esprimere Kodaly con questa citazione. La musica è qualcosa che accomuna, accompagna e poi rimane nel tempo.
I miei genitori mi fanno spesso ascoltare celebri canzoni che risalgono alla loro gioventù, canti e balli popolari legati alle tradizioni siciliane. A volte mi capita anche di camminare per la piazza e ascoltare queste antiche soavità ritornellate da giovani musicisti e non solo.
Nonostante si stia parlando di melodie tanto lontane dal mio presente, il richiamo istintivo delle mie origini mi riporta con il pensiero all’essenza dello stesso folclore, della stessa storia e della stessa memoria.
La tradizione è intesa come una vasta schiera di antiche credenze, usi e costumi tramandati di generazione in generazione. Riteniamo importante la tradizione proprio perché coinvolgente, collettiva per sua natura, perché suscita emozioni, ricordi e, in certe culture indispensabile per mantenere alta una propria identità nel contesto di una società nuova.
Ed è proprio di questo che parliamo quando pensiamo al canto popolare: ogni popolo, ogni nazione o regione possiede un proprio patrimonio musicale, formatosi dalle antiche civiltà e conservatosi nel tempo.
Il canto popolare è dunque il canto del popolo, composto da più storie e da più punti di vista, ancorato a specifici luoghi e gruppi di persone. Si racconta in ballate e melodie legate alle tradizioni e alla storia del popolo stesso che, in questo modo, recupera e riafferma le proprie origini identitarie.
La musica appartiene al sapere di tutti e contribuisce a costruire quella memoria collettiva fatta di ricordi che, tramandati di padre in figlio, giunge a noi ad arricchire e contestualizzare il nostro vissuto.
Così intesa, viene tramandata oralmente, per imitazione e quindi soggetta a variazioni nei testi, nelle melodie e nell’interpretazione.
Ciò che distingue il patrimonio musicale popolare dalla musica leggera commerciale è la sua “orecchiabilità”, quella caratteristica che permette ad ognuno di partecipare facilmente con la propria vocalità secondo un ritmo intrinseco al motivo. Ciò rende il canto popolare accessibile, accogliente e rispettoso della individualità del soggetto.
Non meno rilevante dell’aspetto dell’aggregazione vi è quello della contaminazione culturale e sociale, dato dall’incontro e dalla fusione delle tradizioni di più etnie, in virtù del fatto che questi canti o ballate si riferiscono al vissuto di individui diversi per età, estrazione sociale, esperienze.
In essi ognuno può trovare la propria collocazione; nascono così canti e filastrocche per bambini, canti del lavoro, canti amorosi, rituali o religiosi, canti legati alle feste popolari.
Una tra le particolarità è che ascoltare un canto popolare in Italia ti dà visioni diverse. Ogni regione avente una propria tradizione, un proprio dialetto, uno stile di vita diverso ma nello stesso contesto storico viene caratterizzato da parole tipiche del luogo di quell’epoca. Ad esempio cito : “Vecchie Letrose” una canzone popolare napoletana che vede come trama dei ragazzi che giocano a un gioco tipico di quiei tempi con la mazza e sentono le schiamazze e le proteste delle signore anziane che li criticano. Da qui scaturisce il termine “Vecchie letrose”, dispregiativo ovviamente.
La musica popolare è il fondamento della nostra tradizione musicale, riesce a dare senso a ciò che è ora la musica.
Purtroppo la musica popolare sta via via scomparendo, la tradizione con le nuove generazioni non seguono e non tramandano più questi elementi, come facevano le generazioni passate.
La musica ormai non viene più tramandata e cambiata a seconda del luogo in cui ci troviamo ci sono canoni ben precisi dettati dalla moda e dal cambiamento delle esigenze del uomo perdendo così la tradizione
«Lo studio della musica contadina fu per me di decisiva importanza perché mi rese possibile la liberazione dalla tirannia dei sistemi maggiore e minore fino allora in vigore. Infatti la più gran parte e la più pregevole del materiale melodico raccolto si basava sugli antichi “modi” ecclesiastici o greci, e perfino su scale più primitive (pentatoniche), con la presenza di raggruppamenti ritmici più liberi, ora in tempo rubato e ora in tempo giusto. Mi resi allora conto che i “modi” antichi e ormai fuori uso nella nostra musica d’autore non hanno perduto nulla della loro vitalità. Il loro reimpiego ha permesso combinazioni armoniche di tipo nuovo. Un siffatto impiego della scala diatonica ha condotto alla liberazione dal rigido esclusivismo della scala maggiore e minore ed ebbe per ultima conseguenza la possibilità di impiegare ormai liberamente e indipendentemente tutti i dodici suoni della scala cromatica» – Béla Bartok.
Sebbene la musica colta abbia sempre perseguito direzioni differenti rispetto alla tradizione popolare, è opportuno riconoscere l’influenza inevitabile che quest’ultima ha implicato nello sviluppo della musica colta otto-novecentesca. In un periodo caratterizzato dal crollo di ogni certezza, l’arte ha avuto una reazione alquanto violenta: basti pensare all’apporto delle teorie freudiane nell’ambito letterario, all’allontanamento dalla ricerca di realismo nel campo figurativo, alle teorie relativiste nel campo scientifico, e all’allontanamento dal sistema tonale in ambito musicale.
La musica novecentesca ha subito un forte impatto rispetto al cambio dei canoni, e per questo motivo si è recata nel verso di una ricerca autentica, quasi esasperando l’allontanamento dai canoni tradizionali. Tra i punti d’appiglio, terreno fertile è stato certamente l’ambito della musica popolare. Già durante l’epoca ottocentesca, molti autori hanno trovato sostegno nell’apparato popolare: nascono di conseguenza i Canti popolari op.74 di Chopin, ispirati alla terra natale polacca, ma anche i celebri lied schubertiani, nei quali il compositore si diletta nello scardinamento dalle convenzioni del modo maggiore-minore (anticipando, dunque la riflessione di Bartok).
Alle soglie del novecento, il connubio tra musica popolare e musica colta diventa tale da non poter più passare inosservata: approdano, da riflessioni di Kodaly e Bartok, alcuni celebri capolavori come le sei danze ungheresi di Bartok, ma non solo; anche Brahms è fortemente influenzato dalla presenza dell’amico violinista Joachim, al quale dedicherà alcune danze ungheresi; lo stesso Debussy, con Suite bergamasque, ricerca sapori popolari, terreno al quale attecchirà anche Schoenberg nel capolavoro Pierrot Lunaire.
Con la nascita dei nazionalismi, infine, la ricerca di un’identità nazionale arriva agli estremi, e l’aderenza di quest’ultima nel terreno musicale diventa ormai evidente e necessaria, arrivando ad intaccare persino gli ambiti della musica più colta e raffinata.
Ad oggi, la tradizione popolare è stata purtroppo sotterrata da un’eccessiva presenza cosmopolita, resa possibile grazie ai nuovi sistemi di scambio e di riproduzione digitale.
E’ dunque dovere dell’artista riesumare le tradizioni etnico-musicali e donare loro nuova luce, prima che quest’ultima venga offuscata sempre più da un capitalismo unificante. A questo proposito, il progetto di musica klezmer già sollecitato da Erica Rubini, è stato un incontro alquanto prezioso, essendo riuscito nella rievocazione di una memoria “civile e morale”.
Se non avessi letto questo articolo, il nome di Zoltan Kodaly non mi avrebbe comunicato niente.
Le prime cose che ho trovato sul suo conto riguardano proprio il fatto che fu uno dei primi a considerare seriamente le melodie di tradizione orale del proprio popolo, grazie al suo lavoro si è evitata la perdita di una grande parte del repertorio orale della tradizione ungherese.
La prima delle verità di Zoltan Kodaly afferma che ogni essere umano ha avuto a che fare con la musica, non potrei essere più d’accordo, soprattutto grazie all’eredità della musica popolare.In passato (ora meno) non tutti avevano la possibilità di intraprendere studi o di assistere a concerti, fortunatamente le melodie popolari hanno evitato l’allontanamento totale dei più poveri dalla musica, ognuno ha contribuito a modo suo: chi le inventava, chi le cantava e anche solo chi si limitava ad ascoltarle.
Fortunatamente c’è stata gente che non si è fermata a questo, gente come Zoltan Kodaly che ha scelto di passare al livello successivo, compiendo un lavoro nettamente più approfondito volto al preservare questo tipo di arte.
Penso di non sbagliare nel dire che la caratteristica più affascinante di questi canti popolari sta nella diversità di zona in zona, da lingua a lingua, da dialetto a dialetto. Ammetto che mi meraviglia il fatto di sapere dell’esistenza di persone che magari non sapevano leggere o scrivere che cantavano e conoscevano a memoria un repertorio orale di più brani. Questo dimostra la spontaneità di questa tecnica. Con lo sguardo di questi tempi, tornare a quando le persone erano completamente analfabete potrebbe suscitare un po’ di stranezza, visto che fortunatamente (purtroppo non ovunque) l’istruzione è diventata un punto comune per tutti.
Mio padre è membro di una compagnia teatrale dialettale e da molti anni con i suoi compagni riproduce commedie in dialetto per la bergamasca questo mi ha permesso di venire a conoscenza delle filasctocche e dei canti popolari del territorio, o almeno di quelli più noti, mi è capitato spesso di iniziare discorsi riguardanti la tradizione popolare con individui che risiedono in zone diverse dell’ Italia e il confronto delle varie tradizioni ha sempre portato a discorsi veramente interessanti.
Il canto popolare da sempre è parte della cultura di ogni regione o nazione, ossia è parte di quel complesso di manifestazioni della vita materiale, sociale e spirituale di un popolo o di un gruppo etnico, in relazione alle varie fasi di un processo evolutivo o ai diversi periodi storici o alle condizioni ambientali.
Quindi in quanto cultura va tutelata e protetta come un vero e proprio patrimonio, in quanto la preservazione di essi va incontro ad un ricordo stabile del nostro passato e della storia delle nostre discendenze. Spesso si fa troppo poco per proteggere questo tipo di canti, che spesso vengono dimenticati.
Uno dei lavori di salvaguardia dei canti popolari nella storia della musica lo fecero Bela Bartok e il sopracitato Zoltan Kodaly, che raccolsero e a volte registrarono questi canti, grazie alle nuove tecnologie quali il grammofono e il fonografo.
Molto spesso la musica accompagnava il lavoro, come succedeva nei campi di riso piemontesi con le mondine, che ci raccontano il desiderio di liberarsi da quel pesante stato di sfruttamento sul lavoro e la loro nostalgia di casa. Ne sono un esempio “Saluteremo il signor padrone”, o “L’amarezza delle mondine”. Sempre rimanendo nel tema del lavoro ci sono le work songs nate nei campi di cotone, come “Amazing Grace”, che in seguito daranno proprio alla luce un genere di musica.
Oppure altri esempi di canto popolare sono i canti tipici da osteria, che spesso hanno un testo non proprio pulito e volutamente scanzonato fatto su misura per le tipiche situazioni di svago. Ne è un esempio “Noter de Berghem”, ma ne esistono moltissime altre che spesso vengono ancora cantate dagli stornellatori romani per esempio.
I canti seguono il contesto sociale e l’andare avanti nella storia, sviluppandosi di fatto anche con la cultura. Anche durante la guerra nascono i canti popolari. Ne sono un esempio quelli degli alpini e dei bersaglieri, canti che raccontano le storie e le stragi che i conflitti portano. Inoltre spesso questi canti sono portati in giro dagli alpini stessi, mantenendo viva la tradizionalità dei canti.
Quindi i canti popolari oltre a raccontare un intendere della musica che può variare nello spazio-tempo, ci raccontano delle storie. Queste storie raccontano cosa la società è stata e come si è evoluta nel tempo, di fatto aiutando anche a ricostruire il passato. E se è vero che dimenticando la storia viene anche a mancare l’identità di un popolo e se è vero che l’identità di un popolo è costituita gran parte dalla cultura, i canti popolari sono parte costituente del ricordo della storia.
Numerosi sono gli elementi del canto popolare e della sua “prassi esecutiva” come sopra è abbondantemente descritto, che hanno origine antichissime è assai eterogenee: Cosa cambia fra l’armonizzazione spontanea in terze e seste parallele dei canti popolari e il cantare super librum, dall’organum e dal fuauxbourdon medievale se non i temi di riferimento utilizzati e il contesto? Che sia da ricercarsi in questi fenomeni colti una possibile origine della prassi popolare? Per non parlare dell’utilizzo della modalità nell’area balcanica (giusto per tirare in mezzo anche Kodaly e Bartok) guarda caso baluardo cristiano contro l’impero ottomano fino alla sua dissoluzione, che sia per questo motivo che i popoli del luogo, abituati alle continue incursioni islamiche, abbiano fatto, nei secoli, della modalità (di derivazione gregoriana, quindi cattolica possiamo dire), il fondamento di un sistema musicale, una bandiera in cui riconoscere un’identità comune di fronte ai pericoli?
Un altro elemento interessante ai fini di una riflessione (salto di palo in frasca, disegnando appena degli spunti, vista la loro grande quantità) potrebbe essere il fatto che nel periodo della grande polifonia rinascimentale l’avanguardia della scuola italiana (rappresentata su tutti da Franchino Gaffurio da Milano) aveva introdotto nella musica sacra e colta numerosi elementi della semplicità, che già allora, contraddistingueva la musica popolare. Se mi è concesso un salto in avanti, vorrei far notare come, lo spirito degli italiani, incline al senso della melodia e del canto, sia germogliato in ambito prima popolare per poi diventare un elemento di spicco della nostra scuola operistica, Gaetano Donizetti? Figlio di un usciere, la madre lavorava in filanda, viveva in uno scantinato, sapeva bene cosa fosse la fame, e Giuseppe Verdi? Il figlio di un panettiere, che alla domenica faceva il cantore in Chiesa,la lista porterebbe continuare. La forza prorompente delle nostre melodie supera dai gran lunga quella di tutti gli altri popoli d’Europa proprio perché più di tutte è figlia di una genuinità e di una carica espressiva squisitamente popolare, un Richard Wagner, che colloco fra i miei autori più amati, imbevuto com’era di studi classici, con modelli così distanti (come la mitologia), percepisce il dolore, la gioia, l’amore, come qualcosa di fortemente idealizzato, Verdi d’altro canto, con il suo essere un uomo semplice, un popolano, chissà di quanti contadini diventati assassini per gelosia, quante storie d’amore impossibili e scandalose, quante assurde e fantastiche leggende, avrà sentito raccontare, ingigantite (drammatizzate, N.d.A) dalla bocca di qualche vecchia betonega (si sa che queste allegre signore, nella loro eternità hanno imparato un sacco di tecniche incredibili per rendere più interessanti i fatti degli altri tanto che superano per fantasia il più lunatico dei poeti, questo è certo N.d.A) per le strade del suo paesello? Forse è anche per questo, che le nostre opere, esercitano su di me, per quanto mi possa definire (non) burlescamente un esterofilo, un fascino del tutto particolare rispetto a quelle (meravigliose) del buon Wagner.
Ricordo quando sentii una ballata popolare delle nostre, in bergamasco, su un tale che tornato dall’esercito e scoperta la sua fidanzata andata in sposa ad un altro la uccide è da da mangiare il cuore della malcapitata al marito, ignaro della pietanza che gli è stata servita, che si complimenta addirittura per la bontà del piatto, ebbene, questo del cibarsi del cuore è un topos presente sin dall’antichità greca, ripresa, fra gli altri, da Dante nella Vita Nova, e dal Boccaccio nel Decameron, è affascinante fantasticare (non abbiamo gli elementi per essere certi di qualsivoglia ipotesi, e forse è anche questo il bello) su come abbia fatto una storia del genere ad arrivare nell’ottocento a Bergamo, fra i contadini delle nostre valli.
Occorre, in questi tempi globalizzati e cosmopoliti, salvaguardare sempre con maggior cura tutto questo patrimonio inestimabile, che rischia, come non mai, di andare perso per sempre.
Il canto popolare, anche noto come canto tradizionale, si riferisce alla musica e alle canzoni che sono state tramandate oralmente da generazione in generazione all’interno di una comunità o di una cultura, rispecchiandone le esperienze, le storie e le emozioni. Si tratta di un tipo di musica che si distingue per la semplicità delle melodie e per la presenza di testi che raccontano storie di vita quotidiana, di lavoro, di amore, di guerra, di religione e anche utilizzate per celebrare festività o eventi importanti, come matrimoni, nascite o funerali. Le forme di canto popolare possono variare a seconda della regione o del paese, ma in genere sono caratterizzate da un ritmo semplice, da una melodia orecchiabile e da una forte componente emotiva. Il canto popolare ha avuto un grande impatto sulla musica contemporanea, influenzando diversi generi come il rock, il blues, il country e il jazz.
Il canto popolare è presente in molte culture del mondo, e spesso ha un forte legame con la storia e le tradizioni della comunità da cui proviene. In alcune culture, come quella italiana, il canto popolare ha una lunga storia e ha svolto un ruolo importante nella costruzione dell’identità nazionale. Il canto popolare è stato spesso utilizzato come mezzo di resistenza e di protesta contro le ingiustizie e le oppressioni. In molte situazioni di sfruttamento o di difficoltà, i cantori popolari hanno usato la musica per esprimere la propria indignazione e la propria solidarietà. Il canto popolare è stato utilizzato anche come forma di resistenza politica o sociale, come avvenuto durante la lotta per i diritti civili negli Stati Uniti negli anni ’60, le canzoni popolari afroamericane come “We Shall Overcome” sono state usate per unire le persone e ispirare il movimento. Ad oggi il canto popolare continua a essere una forma di espressione molto apprezzata, sia per la sua capacità di raccontare storie e di emozionare, sia per la sua valenza culturale e storica. Poiché rappresenta un importante patrimonio culturale dell’umanità va preservato e valorizzato per essere diffuso anche alle future generazioni.
Personalmente trovo che il canto si molto importante e che, quindi, vada conosciuto per i seguenti motivi:
– Il canto popolare ha un’importanza culturale e storica molto grande.
– Attraverso il canto popolare, si possono trasmettere storie, tradizioni, valori e significati importanti che rappresentano la cultura e la storia di una comunità o di una regione, e possono essere tramandati di generazione in generazione.
– Il canto popolare può unire le persone di diversi contesti sociali, culturali ed etnici, promuovendo la comprensione e la tolleranza reciproche.
– Il canto popolare può promuovere la creatività, lo sviluppo della propria voce e delle capacità di espressione artistica di chiunque.
– Infine, il canto popolare può contribuire alla preservazione della storia e della cultura di una comunità o di una regione, sostenendo la conservazione del patrimonio culturale e artistico della società.
Dopo aver citato diversi canti popolari siciliani, mi sembra alquanto doveroso approfondirne almeno uno. Nello specifico vorrei approfondire “Vitti na crozza”, come ho detto precedentemente si tratta di un brano dal sapore allegro ma che in verità nasconde una grande profondità fatta di vita vera, di dolore e duro lavoro. Il vero significato di “Vitti ‘na crozza” è legato al mondo delle zolfare, e il protagonista della canzone è ’na crozza, ossia un teschio. Un teschio che, attraverso il suo racconto, si fa promotore di una forte denuncia sociale, rivolta principalmente contro determinate usanze della Chiesa cattolica di un tempo. La maggior parte delle persone ha sempre ritenuto che il famoso ‘cannuni’ dove si trova il teschio, protagonista della canzone, fosse il pezzo di artiglieria cilindrico utilizzato per fini bellici, e che la canzone si riferisca ad un tragico evento di guerra. Ma così non è!”. La voce del teschio, dunque, implorerebbe una degna sepoltura e onoranze funebri che possano accompagnarlo nell’aldilà, dopo un’esistenza di stenti, contrassegnata dagli ostacoli che la vita può presentarci arrivando a parlare per l’ennesima volta del duro lavoro. Mi sembra altresì doveroso contestualizzare meglio il brano preso in oggetto. Era il 1950, circa, e Franco Li Causi compose un testo musicale per adattare le parole e la melodia alla colonna sonora del film “Il cammino della speranza” di Pietro Germi. È importante però specificare che la versione di Li Causi era un canto di lavoro, lento e cupo, in linea con la cadenza poetica del testo. Lo stesso testo infine arrivò al musicista da un anziano minatore di Favara, un paesino dell’agrigentino. A conclusione del commento, vorrei fare una breve riflessione. Secondo il mio punto di vista, la musica contadina è conservatrice nella forma, in quanto indissolubilmente legata alle sue funzioni primordiali, ma rivoluzionaria per la sua semplice esistenza, in quanto portatrice della “scomoda” voce degli umili, da sempre sdegnata dalla cultura dominante e osteggiata dal potere.
Troppo facile, amici miei, relegare le musiche e la cultura che ci ha reso ciò che siamo, come un qualcosa appartenete ad un passato oscurantista ed oppressivo, ad un qualcosa altro da noi, il distaccarcene è un atto criminale nei confronti di chi questo patrimonio lo ha prodotto e tramandato, e via smettiamola con questo rifiuto categorico dell’identità, smettiamola di etichettare ciò che non si allinea con il super-io di questo nostro mondo malato e il nostro modo di vivere illogico e più che mai servile, come segnali di un fantomatico “fascismo-scheletro nell’armadio” o di un mondo che non ci appartiene, paradossalmente il rifiutare l’identità collettiva (ad esempio nazionale) in nome di un’anteposta identità personale è un atteggiamento assai più confortante di quello di un nazionalista, è fatto su misura come l’abito della festa, non occorre omologarsi se non a se stessi, si è caduti in una fallacia logica… si può vivere senza etichettare nulla? vorrebbe dire rifiutare una scelta, vorrebbe dire privarsi di una facoltà che naturalmente promana dal libero arbitrio dell’uomo, su una base volontaria, presumibilmente (e qui faccio un’ipotesi mia personale) perchè il pensare che il nostro essere individuali si vada a sublimare in qualcosa di differente rispetto alla massa (dove l’individuo perde la responsabilità, oggi molto in voga) nell’identità (dove il singolo trova una ragion d’essere pur mantenendo, essendo responsabile con gli altri, in qualche modo, una certa individualità legata eminentemente al suo agire che è una nobile facoltà) ci spaventa perchè non lo conosciamo e nessuno ci ha mai insegnato ad apprezzarlo, e la salvaguardia di ciò che hanno creato quelli che ci hanno preceduto eccome se è un dovere, è un imperativo, il mondo interiore di un’anonimo autore di una delle nostre ballate popolari era forse meno ricco (e qui proprio mi pare di bestemmiare) di quello di Bach? eppure entrambi erano uomini, diversi, con strumenti culturali e disponibilità diverse, entrambi pero esprimevano i loro sentimenti con i mezzi che avevano a disposizione, entrambi erano uomini con un cuore, hanno entrambi riso e pianto nello stesso modo, si sono innamorati, avevano un lavoro che amavano fare, avevano entrambi amicizie profonde, vizi, virtù, preoccupazioni, problemi entrambi sbagliavano etc. (si enim fallor sum, così diceva S.Agostino), non esiste un canto di serie b, la musica è arte quando va oltre l’estetica, quando parla al cuore dell’uomo e lo muove ai più diversi e nobili sentimenti, rendendolo umano, entrando in comunione con uomini come lui che lo hanno preceduto. Non vorrei dare l’idea di cadere in un’altra fallacia logica, la fallacia ad traditione, ciò che si è sempre fatto non è detto che sia giusto, questo è fuori discussione, ma dobbiamo essere umili, aver ben chiaro in mente che come sbagliò chi venne prima di noi cosi anche noi sbagliamo e sbaglieremo è la natura umana…
mi scuso perla divagazione un pò cervellotica, ma mi sembrava doverosa, occorre capire il passato per poterlo amare e capire chi siamo, se ci fa paura allora il problema è nostro, occorre mettersi in dialogo con la tradizione, apprezzando genuinamente ciò che ci può insegnare, è normale e umano non capire, ma è disumano il non saper comprendere i sentimenti, si giudica dopo aver compreso. Ognuno porti a casa quello che crede più giusto, però, vi prego, qualcosa portatevi a casa, se non volete comprendere una iota di chi ci ha preceduto e ci ha voluto consegnare qualcosa perchè la riteneva importante come possiamo pretendere che i posteri comprendano noi, quando saranno al posto nostro?
Leggendo i diversi commenti , ho notato che ci sono diverse posizioni contrastanti sull’utilità del canto popolare. Alcuni ritengono che il canto popolare sia uno strumento utile a creare la propria identità, altri sostengono che è semplicemente qualcosa che ci arricchisce culturalmente. Prima di scrivere questo commento ho riflettuto molto su questo tema e per trovare una risposta ho voluto fare un passo indietro nel tempo. Durante la dittatura fascista, Mussolini utilizzò diversi strumenti di propaganda, tra cui il canto popolare. Il canto popolare fu uno degli strumenti che permise a Mussolini di diffondere l’ideologia fascista, indirizzando tutta la popolazione verso la propria concezione, basata sulla violenza e sulla sopraffazione. Ma come fece Mussolini a diffondere la propria ideologia attraverso il canto popolare? In Italia i canti fascisti (canto popolare) ebbero molta presa sulla popolazione perché la canzone ha origine dall’opera e per questo motivo era frequente cantare arie d’opera durante le ore lavorative. I canti fascisti erano costituiti da parole violente e terribili, che venivano accompagnate da una musica innocente. In questo modo si trasmetteva un messaggio estremamente violento con una musica allegra e spensierata. Inoltre Mussolini si servì dei più grandi compositori per realizzare queste musiche: es. Puccini ecc…
Dopo questa riflessione, credo che il canto popolare sia uno strumento necessario per conoscere la nostra tradizione e per arricchirci culturalmente. Inoltre il canto popolare ci permette di fare i conti con gli errori che abbiamo fatto nel passato, cercando di non ripeterli nuovamente (es. dittatura fascista).Molti miei compagni affermano : “il canto popolare permette di creare la nostra identità”. Io non sono pienamente d’accordo, perché ognuno di noi non ha creato la propria identità attraverso il canto popolare, ma attraverso i valori trasmessi dai nostri genitori e dalle esperienze che ha vissuto nella propria vita. Io credo che il canto popolare, viceversa, permette ai membri di una nazione di ritrovarsi in dei valori comuni, che ognuno però apprezzare o disdegnare. Questo aspetto concorre alla creazione di una società aperta ai confronti tra persone che la pensano allo stesso modo e persone che la pensano in modo differente.
In questo commento vorrei riflettere sull’impatto che la tecnologia ebbe sui canti popolari. Molti dei miei compagni si sono soffermati su questo tema e trovo che sia doveroso approfondire e analizzare sia gli aspetti positivi che gli aspetti negativi. La maggior parte dei miei compagni si sono soffermati sugli aspetti negativi della tecnologia sui canti popolari: “ con l’avvento delle tecnologie e della modernità, le tradizioni culturali popolari sono scomparse “- afferma Morgana. Io condivido la posizione di Morgana perché la tecnologia ha aperto nuovi mondi e nuove realtà, alimentando sempre meno il sentimento patriottico dei canti popolari. Io credo che ognuno, anche se in rete e nei social ci sono informazioni più interessanti o semplicemente più divertenti, dovrebbe sapere da dove veniamo e per quale motivo viviamo in una democrazia. Questo può essere compreso sia attraverso i canti popolati che attraverso altre forme d’arte. Anche se la tecnologia ha generato nella popolazione meno interesse su questo tema, trovo che sia estremamente importante la fruibilità delle informazioni che ognuno ha attraverso internet. Questo permette a qualsiasi persona di informarsi sia sul passato che sul presente, creando una propria idea e confrontandosi con gli altri. Ad esempio internet mi ha permesso di indagare e trovare informazioni sui canti popolari ebraici: la musica Klezmer. Ho trovato molte informazioni sulla provenienza dei testi, per quale motivo sono stati composti e soprattutto ho trovato delle registrazioni di diversi gruppi musicali che realizzavano questa musica. Se da una parte con la tecnologia le tradizioni culturali popolari sono scomparse, dall’altra permette a moltissime persone di informarsi, dando loro una possibilità di confronto attraverso la costruzione di una propria idea.
La musica popolare, anche detta musica tradizionale, è un vero e proprio genere musicale ma a differenza dei generi quali jazz, blues e molti altri, è un genere che in comune non ha uno stile musicale, bensì il legame con la tradizione e la popolazione di un determinato luogo.
Quindi la musica popolare italiana è assai diversa da quella tedesca proprio perché culturalmente sono due nazioni con diversi stili di vita e usanze.
Un esempio di musica popolare è anche quella etnica, dove il legame fra etnia, cultura e musica è uniforme.
Questa tipologia di musica è trasmessa oralmente e suonata da moltissimo tempo e varia non solo da determinate nazioni, ma anche da che parte di quella nazione quella musica appartiene.
Questa spunto sulla diversità da luogo a luogo che hai citato secondo me è il punto più interessante di tutto l’argomento, anche se non è una caratteristica appartenente solo alla musica popolare, tuttavia come hai spiegato nel tuo commento( o almeno così l’ho interpretato io) questo tipo di musica possiede un legame con la tradizione che penetra più profondamente all’interno di un popolo e della sua storia, dove l’immediatezza, la semplicità e il messaggio di un testo, possono essere alla portata di tutti senza concezioni particolari.
Come riflessione personale direi che nella società di oggi la necessità della presenza dei canti popolari si è ridotta parecchio, anche se nelle persone, nei genitori che tramandano ai figli, negli amici che insegnano ai compagni, nei nonni che né parlano ai nipoti, la tradizione non muore mai e con lei i modi di tramandarla.
Per esempio in Italia la musica popolare delle campagne è diversa da quella delle città per via del modo di vivere più caotico e affollato di quest’ultima rispetto a chi vive circondato da campi e di conseguenza da pochi abitanti.
Quindi risulta assai più difficile tramandare per decenni canzoni o pezzi se suonati in luoghi popolati da poche persone, perché la probabilità di trovare qualcuno in grado di suonarle e tramandarle a sua volta è assai minore rispetto a posti più affollati.
Poi bisogna anche prendere in considerazione il processo di creazione di un brano perché presenta diverse fasi: l’idea di un compositore, la messa in pratica di un esecutore ed infine, tramite un interprete, l’esecuzione in pubblico.
Tutto questo non avviene con un brano di impianto popolare e folcloristico in quanto
la distinzione fra compositore ed esecutore non esiste e questo spiega perché molte delle canzoni popolari non hanno un compositore specifico ma un determinato periodo o luogo.
Leggendo alcuni commenti, si incolpa di un eccessivo nazionalismo i canti della tradizione. Secondo me accusare di creare un eccessivo soffocamento della propria persona in favore di un ideale più grande quale il nazionalismo sia canti popolari sia nel fatto di conoscere a fondo la tradizione musicale come necessità non è giusto.
Il fatto di conoscere la propria tradizione musicale non è per forza sinonimo di essere un nazionalista, anzi al contrario secondo me significa solamente acquisire una consapevolezza di dove veniamo e di cosa abbiamo passato per trovarci in un determinato contesto. Inoltre è un’espansione della nostra cultura, e la cultura personale più è ampia e varia più ci può venire in aiuto in certe situazioni.
Il fatto che poi certi gruppi politici utilizzino i canti della tradizione non significa che quei canti sono nati per quello scopo. L’esempio che mi viene in mente più recente è il “Và Pensiero”, canto che anche se non pienamente popolare, negli anni è stato strumentalizzato in tutte le sue salse dalla politica italiana nella storia recente. Stesso discorso vale per “Bella ciao”. Personalmente musica e politica è sempre stato un binomio che potrebbe funzionare, ma è sempre stato strumentalizzato. Ma perché? La musica è il linguaggio più diretto possibile esistente, perché racchiude più modi di comunicare come ritmo, melodia e parola, quindi è il modo più chiaro per comunicare qualcosa che si vuole dire. La politica ha bisogno di servirsi di un linguaggio diretto e che riesca a comunicare le proprie intenzioni. Ma questa comunicazione e il messaggio propagandistico sono troppo espliciti per la musica, andando solo a focalizzarsi sulla parola e spesso le melodie, che vanno a ricercare quelle della tradizione, vengono scavalcate solo dal significato del testo. Questo tipo di comunicazione se non poche volte non è mai andato a segno, e anche quelle poche volte che è andato a segno è stato efficace solo per breve tempo.
La musica è un linguaggio internazionale anche se ha delle sfaccettature locali, ed è in grado di unire chiunque, perché parla un linguaggio comune in tutto il mondo.
Ogni cultura ha un insieme di credenze circa le origini della musica, il suo ruolo e il significato nella società e nella cultura, la sua corretta esecuzione, come viene classificata e valutata. Mentre nella cultura europea generalmente crediamo che la musica sia un bene assoluto (Lo dimostrano espressioni quotidiane come ”Questa è musica per le mie orecchie”) nelle culture influenzate da un’interpretazione particolarmente severa dell’Islam, la musica è un male a causa della sua associazione diretta con il vino e le donne, e perché distrae i credenti dai loro doveri religiosi. La messa da parte della musica da parte dei talebani in Afghanistan ne è solo l’esempio più famoso. D’altra parte, i devoti di una variante dell’Islam nota come Sufismo credono che le prestazioni musicali, il canto e la danza sacra siano percorsi per l’unione con Dio. La musica influenza la società tanto quanto la società influenza la musica.
La musica popolare in occidente è sempre stata utilizzata come risorsa che collega l’individuo e la società in due modi: risposta fisica e rappresentanza. Poiché la musica è ritmica e spesso ha un battito o un impulso costante, invita una risposta fisica in coloro che la ascoltano: schioccare le dita, battere i piedi, muovere la testa, camminare, marciare o ballare al ritmo. Queste risposte condivise forniscono un modo per i membri del gruppo di legare insieme, capire e sperimentare se stessi come un’unità sociale, e in alcuni casi possono essere strumentalizzate come in guerra per una forza di combattimento unificata ed efficace o in fabbrica o nei campi per lavorare insieme in modo efficiente. Agendo insieme al ritmo della musica, le persone trasformano una risposta psicologica individuale in una risorsa sociale che porta comunità, gruppi di affinità e intere società o classi sociali in sincronia l’una con l’altra.
Sono d’accordo con Edoardo quando parla di eccessivo nazionalismo in molti di questi commenti ma non condivido la sua visione della musica come strumento politico.
Quando a Todora Varimezova, una cantante bulgara con un vasto repertorio di canzoni popolari venne chiesto da dove provenissero le sue canzoni lei rispose: “Donne argute le hanno inventate”. La sua risposta chiarisce un punto importante sulle canzoni bulgare la loro posizione nella vita sociale del villaggio. Esse fluiscono solo indirettamente da una “cultura popolare” ma sono diretta espressione delle esperienze di vita reale delle donne in Bulgaria.
Questa nozione di preservazione della musica popolare come dell’intero popolo si adatta all’ideologia nazionalista che motiva la loro raccolta come trofeo da mettere in mostra collettivamente e le svuota del loro significato di rappresentanza e espressione di minoranze.
In diversi commenti ho letto che le tradizioni culturali popolari sono o stanno per scomparire.
In realtà penso che esse stanno solo subendo il normale processo di evoluzione a cui sono soggette tutte le cose. Nulla di ciò che era ieri è uguale ad oggi e le tradizioni non fanno eccezione, sebbene un ristretto numero di persone tenti di preservarle inalterate.
In passato i canti popolari erano strettamente legati alla ritualità di un popolo: il lavoro, il ritrovo delle feste, gli appuntamenti religiosi. Venendo meno parte della loro originaria funzionalità i giovani che si avvicinano a questo mondo sono mossi da altre motivazioni: non si tratta di dovere culturale o rispetto per le tradizioni ma semplice curiosità, interesse per i ritmi vivaci, crescita della propria musicalità.
I canti popolari spesso non hanno un’origine ben definita: gli studiosi danno talvolta versioni discordanti perché nella maggior parte dei casi non c’è un riferimento scritto, uno spartito. Questa circostanza ha reso il canto e la musica popolare accogliente perché, essendo tramandati oralmente, sono contaminabili nel tempo con altri generi musicali.
In altri casi sono stati questi ultimi a prendere spunto dalle melodie e dai ritmi popolari così come è accaduto, ad esempio, per alcune composizioni di Brahms o di Liszt o più recentemente per alcune canzoni pop e rap. In questo modo gli arrangiamenti avventurosi, le canzoni che sanno di storia, le melodie toccate da nuovi suoni artistici hanno catapultato i canti popolari in uno scenario totalmente differente da quello originario dando così una nuova luce ai tesori del passato che continuano ad essere “diversamente” tramandati.
Il canto popolare è una delle forme d’espressione più usate dall’uomo, in Italia ogni regione ha il suo canto popolare e così è in tutto il mondo, è una forma molto antica che si sviluppò nelle classi sociali più povere, ad esempio i contadini che per sentirsi più uniti tra loro crearono questi canti per raccontare la propria vita di tutti i giorni.
Chi componeva queste canzoni spesso, anzi quasi sempre, rimane anonimo e le stesse musiche o testi non vengono scritti ma tramandate ad orecchio, per fortuna sono molto orecchiabili e divertenti da sentire e si memorizzano in fretta;
Esistono molte forme di canto popolare, a volte possono esserci variazioni dello stesso canto ma senza che ce ne sia una sbagliata; uno degli studi che compì Kodaly fu la registrazione di 5100 melodia con le proprie varianti in 235 paesini dell’Ungheria, questo penso che possa aiutarci a capire quanto sia grande il mondo dei canti popolari, infatti lo stesso Kadaly ha impiegato una vita intera per studiarli.
Nonostante la maggior parte del repertorio classico e colto si sia orientato su orizzonti che fossero ben distanti dalla tradizione popolare, è innegabile il peso culturale che la musica popolare ha avuto nel corso dei vari secoli.
Abbiamo avuto modo di studiare molti compositori, soprattutto dall’Ottocento in poi, che all’interno della loro produzione hanno scelto di riprendere la tradizione popolare del proprio paese o di nazioni a loro care, nonostante la semplicità tecnica di questa tipologia di produzione.
Da studentessa di pianoforte rimembro molto chiaramente i canti popolari di Chopin, ispirati alla Polonia, sua terra d’origine; o le Danze Ungheresi di Bartolomeo e di Brahms, quest’ultimo legato alle origini del suo caro amico ungherese Joachim; o ancora di più la Suite Bergamasque che Debussy utilizza per ricavarne e svilupparne l’immagine estetica.
Partendo dalla citazione di Zoltan Kodaly “È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare”, ho avuto modo di riflettere su come la civiltà abbia trovato fin dagli arbori possibilità di “sfogo” attraverso il canto e le tradizioni popolari: non è un qualcosa che si insegna, ma bensì che si acquisisce grazie alle proprie radici, alla propria famiglia, al proprio ambiente di crescita, e penso sia importante conoscerlo per far sì che ognuno possa avere le basi -morali ma non solo- per costruirsi una propria identità.
Il canto popolare per sua natura è un elemento che permette l’unione, partendo dal presupposto che esso si possa definire come un momento di condivisione creato dal e per il popolo.
Questo sentimento di unione ho avuto modo di viverlo soprattutto attraverso lo studio e l’esposizione di alcuni dei brani klezmer piu tipici della tradizione ebraica dell’Europa orientale, in occasione della Giornata della Memoria di quest’anno. Il ritmo incalzante, i cambi di tempo, la melodia spesso in contrasto con l’armonia, creano un’atmosfera suggestiva e rimembrano un popolo da sempre presentato come vittima dei crimini peggiori compiuti contro l’umanità, e di cui non si ricorda mai la forza e l’allegria, data proprio dal senso di unione popolare.
Un’altra mia esperienza riconducibile al concetto di canto popolare mi torna a mente al ricordo di mio padre, che da piccola per addormentarmi mi cullava sulle note di Bella Ciao, canto popolare giustamente ricondotto alla Resistenza e ai partigiani, ma la cui musica ha origini antiche, riconducibili alle mondine, se non ancora più indietro nel tempo, a una melodia yiddish (canzone Koilen).
Ho letto molti commenti che facevano emergere l’importanza di mantenere la tradizione popolare del proprio paese anche in un periodo storico come quello attuale, e non potrei essere più d’accordo. L’avvento della tecnologia e dei mezzi d’ascolto musicali cosi immediati come i cellulari e gli stessi social network, permettono una condivisione a livello totale dal punto di vista dei contenuti e globale dal punto di vista dell’origine. Ciò tuttavia risulta essere invalidante al mantenimento di un determinato repertorio: è tutto frivolo, veloce, sfuggente, niente entra più a far parte di ciò che possiamo definire la nostra tradizione musicale vera e propria: senza tecnologia non ci rimane niente. Lo reputo triste perché da studentessa di un liceo musicale considero la musica un carattere fondamentale per le basi della nostra civiltà, e pensare che in Italia, terra natale dell’Opera, della musica colta ma non solo, non esistano più oggetti musicali capaci realmente di unire il popolo intero mi inquieta molto. L’individualismo e il “capitalismo” odierno si trovano concettualmente in forte contrasto con la natura unitaria e di condivisione del canto popolare, e ciò non permette l’acquisizione di un sentimento che sia nazionale, legato alla tradizione della propria terra e del proprio popolo.
In questo commento vorrei trattare quanto detto da Andrea sull’impatto della tecnologia oggi e sulla musica Klezmer. Noi stiamo vivendo in un mondo totalmente interconnesso dove ogni notizia ci arriva con un semplice click e dove tutto quello che riguarda il passato viene difficilmente tenuto in considerazione, soprattutto dalle nuove generazioni. Sono d’accordo con Andrea, quando riprendendo anche quanto detto da Morgana, che afferma che l’avvento della tecnologia ci sta allontanando sempre di più da tutto quello che riguarda le nostre tradizioni. I giovani di ormai snobbano tutto quello che non riguarda l’attualità dimenticandosi della storia che li precede. Tutto quello che riguarda la tradizione, in questo caso I canti, andrebbe ricordato e studiato per far capire anche ai giovani che le canzoni di oggi sono a loro volta nate da qualcosa che le precede, ovvero tutto quello che riguarda I primi canti popolari con la loro semplicità nel ritmo e nelle parole. È importante ricordare anche che i canti popolari hanno accompagnato I soldati italiani durante la guerra e la creazione del regno d’Italia, non a caso molto canti ci arrivano tramandati dai nostri nonni che la guerra l’hanno vissuta. La tecnologia ha comunque un lato positivo, ovvero che ci permette di informarci su tutto quello che riguarda il passato e in questo caso su ciò che riguarda I canti popolari. Secondo me il miglior modo di tramandare la tradizione resta sempre la parola, le storie , le esperienze, raccontate da chi quei canti li ha vissuti, che a sua volta magari li ha sentiti da altre persone. Per far si che i canti non scompaiano la cosa migliore sarebbe tramandarli a noi giovani e invogliarci a cantarli e scoprire la loro storia. Parlando di esperienze, tra quest’anno e l’anno scorso sono entrato in contatto, insieme I miei compagni, con la musica di tradizione ebraica, la musica Klezmer. Questa attività ci ha permesso di entrare a pieno nel significato di questi brani, non solo suonandoli ma anche cercando la loro origine. Il Klezmer è un genere musicale tradizionale degli ebrei dell’ Est Europa. Questo genere è composto prevalentemente da musiche che accompagnavano balli e rappresentazioni per matrimoni ed altre celebrazioni. Lo strumento principale del mondo ebraico è sicuramente il violino, ma nel klezmer acquisteranno crescente rilievo il clarinetto e gli ottoni, in particolare la tromba, gli strumenti percussivi, melodico percussivi come il cimbalom e altri strumenti come il violoncello, usato anche con la funzione di bassetto portatile. Voglio citare un brano che mi ha colpito in particolare, si tratta di Hava Nagilah (traduzione in italiano “rallegriamoci) è una canzone popolare ebraica. E’ inspirata ad una melodia popolare ucraina della Bucovina. Inizialmente nacque come Nigun hasidico in Ucraina: cioè una canzone o melodia religiosa ebraica che veniva eseguita con dei suoni ripetitivi, invece di una lirica formale, ricavati da versetti della Bibbia o da testi classici ebraici. Questo brano è stato composto per celebrare la vittoria inglese in Palestina al termine della prima guerra mondiale, in occasione della Dichiarazione Balfour. Il grande merito di Idelsohn è stato quello di avere riunito la ricchezza della tradizione musicale ebraica trascrivendo canzoni e cercando di creare delle sonorità che dal suo punto di vista fossero autenticamente jewish. Il klezmer è costruito su strutture melodiche, ritmiche ed espressive che provengono dalle differenti aree geografiche e culturali (i Balcani, la Polonia e la Russia) con cui il popolo ebraico è venuto in contatto. Questa musica esprime sia felicità e gioia sia sofferenza e malinconia, tipica della musica ebraica.
Inequivocabile è il valore storico-culturale della propria tradizione musicale popolare, tant’è che vi è stata destinata una disciplina apposita, quella dell’etnomusicologia, trovo quindi rilevante sollevare la questione del patrimonio musicale come testimone autentico della propria identità e come simbolo di appartenenza ad una comunità che condivide le stesse radici storiche. La nazione Italiana ha la fortuna di disporre di un ricchissimo patrimonio artistico-culturale che attira annualmente turisti da tutto il mondo, percui in quanto cittadini italiani abbiamo il dovere morale di difendere ciò che costituisce la nostra identità che non si tratta esclusivamente di monumenti, sculture, edifici emblematici, ma anche quello che non è materiale. A maggior ragione, la forte tradizione musicale italiana necessita di essere preservata e custodita affinché non si disperda in quanto narratrice del tormentato e lungo vissuto storico del Paese, ma anche di quello più recente: estremamente ricchi sono il repertorio fascista sfornato dalla fabbrica propagandistica mussoliniana e il repertorio dei canti partigiani ereditato dagli italiani che hanno preso parte alla Resistenza che hanno lottato fino alla stesura della nostra attuale Costituzione antifascista. Ribadisco quindi la necessità che esista un impegno reciproco nella condivisione del nostro patrimonio musicale che, diversamente dalle arti figurative e letterarie, trova la sua forma più autentica non concretamente su carta né sulla tela, ma in forma astratta con la voce e il canto.
Documentandomi a partire dalla citazione proposta, mi sono imbattuta nella storia di quello che è ritenuto uno dei fondatori dell’etnomusicologia e che ha operato attivamente al fine di preservare il patrimonio musicale italiano, ossia l’intellettuale Roberto Leydi, figura che trovo essere interessante da conoscere e che suggerisco ai miei compagni di approfondire. Roberto Leydi opera a partire dagli anni Quaranta del Novecento, dapprima interessato all’ambito jazz e blues, in particolare realizza un importante progetto di raccolta dell’espressività popolare settentrionale novecentesco documentato nella monumentale opera “Mondo popolare in Lombardia” che comprende oltre 200 testi di folklore che altrimenti sarebbero stati facilmente perduti. A lui è stata affidata una delle primissime cattedre di etnomusicologia, una disciplina allora inedita, presso l’università di Bologna. Leggendo le riflessioni dei miei compagni non ho potuto sorvolare sul fatto che siano molti coloro che si sono soffermati sulla constatazione che oggi siamo abituati all’immediato accesso a qualsiasi informazione di nostro interesse, nella convinzione che, una volta fatta circolare sul web, questa diventi eterna e ripesca bile facilmente da chiunque a distanza di anni: una canzone, un post Instagram o un articolo di giornale datati un decennio fa o anche oltre sono rintracciabili tramite un click nella barra di ricerca di Google. La Generazione Z, di cui io stessa faccio parte, è senza dubbio figlia di uno stile di vita veloce, rapido e ricco di stimoli, perché andare in Liberia quando posso comodamente ricevere un libro da Amazon? Credo però la tecnologia sia uno strumento estremamente la cui applicazione non va solo proiettata verso il futuro altrimenti si tratterebbe di un uso ingenuo e fine a se stessi; al contrario la tecnologia a nostra disposizione deve essere uno stimolo a “salvare il salvabile”, ossia registrare ciò del passato che è ancora in vita ma che presto si estinguerà, provvedere a custodire l’identità storica in una contesto moderno, aperto, globale e multinazionale.
Il brano in esame ci invita a riflettere sul canto popolare e sulla sua importanza nella cultura umana. Zoltan Kodaly fu un compositore e filosofo ungherese tra i primi ad interessarsi al repertorio popolare, e ha individuato dei punti che riguardano l’importanza della musica e del canto nella vita dell’uomo, validi ancora oggi. In particolare, ogni essere umano ha a che fare con la musica e in ogni cultura si è sviluppata una serie di suoni simili da cui l’istinto umano ha attinto per creare melodie popolari. Se prendiamo in considerazione l’Italia, il canto popolare è un patrimonio culturale ricco e variegato, che cambia se ci troviamo al nord o al sud del paese. Espressione di un’identità territoriale e sociale, il canto popolare è stato tramandato di generazione in generazione attraverso la tradizione orale e si caratterizza per la sua semplicità e la sua immediatezza, rappresentando un modo per celebrare la vita, le stagioni, le feste e accompagnare le attività quotidiane, soprattutto quelle più faticose. Ne sono un esempio i canti delle mondine, che accompagnavano il lavoro delle donne nelle risaie in Piemonte, i canti alpini della prima guerra mondiale, che avevano lo scopo di alleviare le fatiche e le sofferenze dei soldati al fronte, quelli della Resistenza, ma anche tutte le filastrocche per bambini e le canzoni allegre che accompagnavano le serate in trattoria o le occasioni di festa.
Condivido la riflessione di Andrea il quale ha definito la musica popolare risultato dell'”istinto umano”: la caratteristica della musica e ciò che rende questa disciplina particolarmente rilevante dal punto di vista sociologico é proprio il fatto che sia imprescindibile all’uomo, a prescindere dal paese di appartenenza, dalla lingua parlata, dall’età o dal contesto storico. La musica rispecchia in maniera cristallina e totale lo stato d’animo di chi la produce, proprio per questo motivo la ritengo la forma di testimonianza più veritiera, autentica e forse talvolta anche più cruda. Le work songs americane e il loro carattere gioviale é legato alla volontà di evadere almeno temporaneamente dallo strenua condizione fisica dei lavoratori, così come le filastrocche, un esempio proposto da Andrea a cui io non avevo pensato, che, con il loro carattere ritmico e musicale, sono espressione sincera e frivola della dimensione bambinesca e infantile.
Oggi la nostra vita è molto diversa anche solo rispetto a cinquanta anni fa e il canto popolare è oramai scomparso dalla vita quotidiana, ma rimane comunque un patrimonio importante, perché testimonia quelle che sono le nostre radici. Questo non vuol dire chiudersi in atteggiamenti nostalgici e di ostilità nei confronti di altre tradizioni culturali, ma al contrario conoscere le proprie radici permette di aprirsi a ciò che è nuovo, senza rischiare di perdere la propria identità. Inoltre conoscendo le tradizioni popolari delle diverse regioni, ma anche di diverse culture, si può notare che ci sono molti elementi che le accomunano, perché la musica popolare nella sua semplicità è l’espressione più diretta e sincera della natura e dei sentimenti umani.
Una delle mie prime esperienze legate al canto popolare è stata l’anno scorso, quando il prof. Chigioni ci ha chiesto di far cantare ai nostri nonni (o altri parenti) alcune canzoni tradizionali, popolari, che cantavano quando erano anche più giovani. L’obbiettivo era quello di poterle trascrivere (sia la musica che il testo), cercando di lasciare delle tracce scritte di queste tradizioni, che altrimenti sarebbero andate probabilmente perdute nel tempo. Dopotutto, i canti popolari sono proprio nati e tramandati oralmente, e per questo motivo sono facilmente perdibili, e una volta persi, purtroppo, non sono più recuperabili. Perdere traccia di questo inestimabile patrimonio sarebbe un vero peccato perché significherebbe perdere parte della nostra storia, ovvero parte della nostra identità civile e morale, perché noi siamo la nostra memoria, e se vogliamo conoscere la nostra identità più profonda non possiamo prescindere dalle nostre radici e dalle nostre tradizioni. Sicuramente in passato (da intendersi circa un centinaio di anni fa, ma anche meno) il popolo italiano cantava spesso, anche durante il lavoro, giusto per passare il tempo, perché si annoiava o perché gli piaceva l’aria di un’opera. Oggi si è persa questa abitudine, la mentalità è cambiata, la società è diventata più frenetica e si hanno altre priorità. Spero che in futuro la sensibilità per i canti popolari possa rinascere, anche se ciò dovrà fare i conti con una realtà sempre più veloce, immediata e forse meno disponibile a voltarsi indietro.
Le verità di Zoltán Kodály ci dimostrano come la musica sia fondamentale per comprendere gli esseri umani, perché essi ne sono immersi fin da quando sono nati e non possono fare a meno di continuare a confrontarcisi per tutta la durata della loro vita, in quanto costituisce un metro di misura e di rimando verso quelle che sono le nostre sensazioni e la nostra natura. Il rapporto tra la musica e gli esseri umani è complesso e di reciproca influenza: le nostre emozioni influenzano la musica che componiamo così come la musica che ascoltiamo influenza i nostri comportamenti e i nostri sentimenti. La voce, in particolare, è chiaramente lo strumento prediletto della musica popolare perché è il più immediato, possiamo attingerne quando più ci aggrada (inoltre era il più economico da usare per la popolazione povera, dato che non bisognava acquistare nessuno strumento esterno, e non era necessario faticare per imparare ad usarlo nelle sue basi, la parola ci è spontanea, anche se non siamo cantanti professionisti), fa fisicamente parte del nostro corpo ed è un’enorme parte di noi stessi perché è estremamente personale, rappresenta simbolicamente il nostro io, la nostra identità in quanto singola ed inimitabile. Il cantare collettivamente (in particolare quello dei canti popolari) ha allora il significato allegorico di unire le “diversità” e le autenticità dei singoli per fonderle in un’unica identità collettiva. Zoltán Kodály aveva intuito bene questo concetto, e credeva infatti (in quanto musicista, musicologo e pedagogo) che l’insegnamento della musica attraverso il canto fosse particolarmente efficace nell’apprendimento e permettesse di costruirsi una coscienza personale e la consapevolezza delle proprie origini. La musica popolare rappresenta un patrimonio per l’umanità.
Partirei dalla citazione di Zoltan Kodaly, che ritengo essere assolutamente corretta. Conoscere il nostro patrimonio musicale popolare è essenziale non solo per mantenere e valorizzare le nostre tradizioni, ma soprattutto ci consente di avere una maggiore consapevolezza della diversità musicale che ci circonda. Non bisogna inoltre trascurare il fatto che la musica popolare aiuta a comprendere anche la società e la storia di un Paese. Essa infatti spesso riprende concetti cari alle persone, racconta le esperienze e le sfide che un popolo ha dovuto affrontare. Conoscere questa musica è obbligatorio per comprendere appieno i valori di una società e su cosa essa si basa. Questo perché la musica è presente da sempre, in ogni tipo di civiltà e periodo storico. Essa permette una vastissima espressione culturale e ha anche il vantaggio di poter essere utilizzata come svago e intrattenimento.
Kodaly ha inoltre affermato che la musica vocale implica un’appartenenza alla persona. Questo significa che la voce è uno strumento personale e unico per ognuno di noi, che ci caratterizza e trasmette le nostre idee ed emozioni. La musica vocale è inoltre molto forte in quanto usa le parole, che conferiscono alla canzone un altro grado di significati. Il linguaggio utilizzato nelle canzoni popolari è di tipo colloquiale o dialettale, quindi un altro elemento che rende evidenti le caratteristiche di un popolo.
Aplierei il discorso sulla voce, riprendendo la citazione di Kodaly: “È un dovere civile e morale di ogni uomo, quello di conoscere a fondo la propria cultura musicale popolare”.
L’aspetto morale è stato scritto è riscritto all’interno dei commenti. Le ragioni per cui essere daccordo con questa citazione possono essere varie, non solo per il dovere culturale di mantenere viva la tradizione. Mi chiedo: noi, in quanto musicisti, cosa possiamo cogliere dallo studio del canto popolare?
Trattandosi di canto popolare mi concentrerò sull’aspetto della voce.
Andando nel profondo dello studio di questo genere, anche solo leggendo il testo proposto, si può riuscire a sviluppare una crescita della propria musicalità. Davide ha scritto: “la musica vocale è molto forte”: evidente infatti è la potenza che questi canti possiedono e con essa la libertà di esprimere i propri sentimenti. Insomma, come si faceva a non cantare: “Dove sei stato Mio bell’alpino Che mi ha cangià colore?” senza usare tutta la voce che si ha in corpo e donando un’espressività unica data dall’esperienza vissuta. Abbiamo tutto da imparare in quanto musicisti: la ricerca di quell’espressività che ci permette di trasmettere sofferenza, speranze, valori con tutta la forza che abbiamo, come se dovessimo liberarci di tutto quello che ci opprime; vedere alla musica come uno strumento di liberazione della propria anima. Inoltre il canto popolare non prevede solisti ma esecuzioni corali che aggiunge potenza alle parole che si esprimono (cento voci si sentono molto di più che una voce sola). Il canto corale permette l’unione di voci diverse e tutte con caratteristiche e storie diverse, questo crea un contesto sociale in cui ogniuno è importante per portare avanti il gruppo: ci fa sentire sicuri di noi, talentuosi, spronati a tirare fuori la nostra voce. In quanto aspirante musicistà professionista in cerca di un mio modo personale di interpretare un brano ritengo doveroso e giusto conoscere la propria cultura musicale popolare prendendo in considerazione tutto ciò che ho scritto.
Molti dei miei compagni hanno parlato della relazione che si trova tra l’uomo e la musica. Sembra infatti che l’uomo non possa scampare dal desiderio di comporre musica, anche solo per svago. La musica popolare c’entra perfettamente con questo discorso: la realizzazione di tali canzoni è avvenuta perché qualcuno ha pensato di raccontare sé stesso attraverso una forma d’arte che lo ispirasse.
Ma ovviamente questi non erano musicisti professionisti: era naturale per loro affidarsi all’orecchio e al loro istinto. Tutte le canzoni popolari che conosciamo hanno delle melodie estremamente orecchiabili e delle armonie molto semplici: questo le rende facilmente ricordabili e condivisibili. Le canzoni erano poi cantate in gruppo, dove venivano quindi utilizzate anche voci con timbri e altezze differenti. Le persone dovevano adattarsi con la loro voce nella zona nella quale si sentivano più a loro agio.
Se devo pensare a contesti nei quali le canzoni popolari sono state utilizzate non può non venire in mente l’America, con i famosissimi canti di lavoro (work song). Questo genere di canzoni in America ha avuto un enorme risvolto, ovvero quello di portare a interi nuovi generi musicali, che ancora oggi sono estremamente diffusi e conosciuti.
Come diceva Zoltan Kodaly, lo stile popolare utilizzato nel mondo ha caratteristiche molto simili anche in ambienti molto diversi. Però gli stili che si sono generati dai canti popolari sono molto complessi e differenti tra di loro. Soprattutto guardando all’America è facile notare l’enorme differenza che la loro musica ha rispetto alla nostra. Loro sono riusciti a sviluppare aspetti ritmici e armonici che da noi non sono mai stati sperimentati, almeno in ambito popolare.
E quindi è ancora corretto dire che canzoni popolari rispecchiano l’identità di un popolo.
L’anno scorso noi classe 4Y abbiamo intrapreso un progetto di scoperta e approfondimento sulla musica kletzmer, ovvero la musica popolare ebraica, suonandola anche a Orio al serio in aeroporto e a scuola in occasione della giornata della memoria. Abbiamo reso onore e ricordato una musica secondo me molto bella, che racchiude tutta la sofferenza e il dolore di una popolazione come quella ebraica, colpita inesorabilmente da Shoah e feroci persecuzioni dovute all’antisemitismo. Si tratta di musica quasi contradditoria in quanto sembri di carattere allegro, una musica incalzante da danzare e da cantare, che dimostra il tentativo coraggioso di un’intera popolazione di trovare un minimo di conforto proprio nella musica e nei canti popolari nonostante la situazione tragica. I canti popolari quindi aiutano, unificano e aiutano le persone a sentirsi parte dello stesso gruppo, purtroppo questa forza musicale e questo conseguente senso di appartenenza potrebbero essere pericolosi nelle mani sbagliate. Basta guardare all’altro lato della medaglia rispetto alla musica ebraica, ovvero la musica fascista, che con melodie orecchiabili e con ritmi di marcia incalzanti ha contribuito nell’indottrinamento fascista, nella cosiddetta fascistizzazione dell’Italia avviata da Mussolini.
I canti popolari vanno protetti e valorizzati, a questo proposito voglio elogiare la scelta del professor Chigioni in terza superiore, ovvero quella di farci riarrangiare un canto popolare delle nostre parti a scelta in modo da ricordarlo e lavorarci su facendolo nostro. Serve più sensibilità verso il patrimonio musicale di ogni popolo perché è un elemento che caratterizza tanto lo stesso paese, ascoltando la musica tradizionale popolare di qualsiasi etnia si possono cogliere diversi aspetti o dati storici, arricchendo così te stesso e allo stesso tempo facendo un favore alla cultura in questione ricordando le sue note, i suoi ritmi e le sue melodie.
Essendo io fisarmonicista, vorrei riflettere sul perchè proprio la fisarmonica è stata inserita nel tipico organico caratteristico della musica popolare.
Già dalla riflessione riportata e dalle parole di Kodaly e da uno studio dei questo genere, si coglie la caratteristica fondamentale dell’immediatezza. Infatti l’esigenza di creare una comunicazione immediata suscita il bisogno di avere strumenti compatibili per soddisfare questa necessità: la fisarmonica ha questa caratteristica.
La fisarmonica è completa sotto tutti i punti di vista:
ti permette autonomia dato che si accompagna da sola, è adattabile a vari tipi di situazioni grazie al fatto che può variare timbro e ottava grazie all’uso dei timbri. In tutto e per tutto la fisarmonica è completa.
Rispecchia anche la facilità di trasporto potendosela mettere come uno zaino in spalla, sfruttando l’uso delle cinghie per tenerla su.
Andando più nello specifico nel suono si può dire che il mantice permette di variare molto di dinamica in modo molto facile: questo vuol dire che anche per un meno esperto a suonarla può risultare facile donare espressività a quello che sta suonando; l’espressività è fondamentale perchè il canto popolare punta alla creazione di una musica “forte”.
Questa caratteristica porta con se la comprensione che per i creatori di queste musiche l’obiettivo non è una musica formalmente bella ma una musica che smuova gli animi, che liberi le emozioni e che dia il senso di identità nazionale che si crea.
Rispondendo al mio commento vorrei dunque prendere in considerazione una riflessione che ho letto in molti commenti dei miei compagni (a cui io inizialmente non avevo pensato), andando a spiegare perchè la fisarmonica e l’armonica siano cadute in disuso, dopo di che riflettere sulle differenze tra il passato e il presente. Questo spunto appreso dai miei compagni approfondisce il fatto che al giorno d’oggi il genere del canto popolare non sia più ampliato, composto e ricercato.
Quindi il motivo per cui i due strumenti nominati prima non sono così usuali ai tempi attuali, secondo me è strattamente collegato al fatto che vengano associati inconsciamente alla musica popolare. Basti pensare per esperienza personale: ogni volta che tiro fuori la fisarmonica davanti a un gruppo di persone, queste si aspettano da me un repertorio composto da mazurche, valzer e soprattutto armonie e musiche popolari. Indubbiamente in quanto fisarmonicista mi sento anche in dovere di dover portare avanti questa tradizione popolare ma non solo: esiste anche il mondo classico come repertorio fisarmonicistico (derivato da composizioni orgaistiche).
Torniamo al punto: il motivo per cui il canto popolare non è più fondamentale, secondo me, è la conseguenza di un cambio di esigenza.
La necessità che ha portato nella storia a creare il genere in questione deriva dall’esigenza di volersi sentire parte di una comunità, creare un insieme; questo sentimento naque probabilmente dal fatto che si stava vivendo una situazione difficile per fisico e mente umana (infatti molto noti sono i canti della resistenza, i canti ebraici e quelli africani) e quindi si cercava conforto andando oltre se stesso. Per “alleggerire” l’animo quindi si ricercava un gruppo che potesse capirti, con cui condividere la propria sofferenza, le proprie speranze e i propri valori.
Ai nostri giorni non si sente più il bisogno di sviluppare un’identita nazionale: probabilmente perchè da una parte i nostri antenati l’hanno già creata per noi, e dall’altra perchè la parola chiave di questi tempi è l’egocentrismo.
Noi giovani d’oggi siamo immersi nei mondi dei social media, che pur chiamandosi social ci isolano a noi stessi. Ogniuno ha il suo profilo e non fa altro che compararsi con gli altri: “io ho gli occhi azzurri e lui marroni”, “io ho un gatto lei ha il cane”, “vorrei praticare quello sport perchè invidio il suo fisico”…
é chiaro come l’apparire agli altri sia diventato uno degli unici pensieri di oggi. Questo cosa c’entra con l’abbandono del canto popolare, e più in generale del mantenimento di un’identità nazionale forte? Lavorare su se stessi per crearsi esattamente per come si vuole apparire fa diventare egocentrici e a questo punto quello che conta adesso è distinguersi dalla “massa”. Sviluppare la propria personalità in base all’idea che ci si è fatta di come vogliamo essere visti dagli altri si può dire sia l’opposto del ricercare un gruppo con cui avere qualcosa in comune (alla base dell’esigenza di cantare i canti popolari).
Rispondendo al mio commento vorrei dunque prendere in considerazione una riflessione che ho letto in molti commenti dei miei compagni (a cui io inizialmente non avevo pensato), andando a spiegare perchè la fisarmonica e l’armonica siano cadute in disuso, dopo di che riflettere sulle differenze tra il passato e il presente. Questo spunto appreso dai miei compagni approfondisce il fatto che al giorno d’oggi il genere del canto popolare non sia più ampliato, composto e ricercato.
Quindi il motivo per cui i due strumenti nominati prima non sono così usuali ai tempi attuali, secondo me è strattamente collegato al fatto che vengano associati inconsciamente alla musica popolare. Basti pensare per esperienza personale: ogni volta che tiro fuori la fisarmonica davanti a un gruppo di persone, queste si aspettano da me un repertorio composto da mazurche, valzer e soprattutto armonie e musiche popolari. Indubbiamente in quanto fisarmonicista mi sento anche in dovere di dover portare avanti questa tradizione popolare ma non solo: esiste anche il mondo classico come repertorio fisarmonicistico (derivato da composizioni orgaistiche).
Torniamo al punto: il motivo per cui il canto popolare non è più fondamentale, secondo me, è la conseguenza di un cambio di esigenza.
La necessità che ha portato nella storia a creare il genere in questione deriva dall’esigenza di volersi sentire parte di una comunità, creare un insieme; questo sentimento naque probabilmente dal fatto che si stava vivendo una situazione difficile per fisico e mente umana (infatti molto noti sono i canti della resistenza, i canti ebraici e quelli africani) e quindi si cercava conforto andando oltre se stesso. Per “alleggerire” l’animo quindi si ricercava un gruppo che potesse capirti, con cui condividere la propria sofferenza, le proprie speranze e i propri valori.
Ai nostri giorni non si sente più il bisogno di sviluppare un’identita nazionale: probabilmente perchè da una parte i nostri antenati l’hanno già creata per noi, e dall’altra perchè la parola chiave di questi tempi è l’egocentrismo.
Noi giovani d’oggi siamo immersi nei mondi dei social media, che pur chiamandosi social ci isolano a noi stessi. Ogniuno ha il suo profilo e non fa altro che compararsi con gli altri: “io ho gli occhi azzurri e lui marroni”, “io ho un gatto lei ha il cane”, “vorrei praticare quello sport perchè invidio il suo fisico”…
é chiaro come l’apparire agli altri sia diventato uno degli unici pensieri di oggi. Questo cosa c’entra con l’abbandono del canto popolare, e più in generale del mantenimento di un’identità nazionale forte? Lavorare su se stessi per crearsi esattamente per come si vuole apparire fa diventare egocentrici e a questo punto quello che conta adesso è distinguersi dalla “massa”. Sviluppare la propria personalità in base all’idea che ci si è fatta di come vogliamo essere visti dagli altri si può dire sia l’opposto del ricercare un gruppo con cui avere qualcosa in comune (alla base dell’esigenza di cantare i canti popolari).
I canti popolari funzionano perché hanno caratteristiche che li rendono fruibili a tutti, sia musicisti che non: sono estremamente immediati ed orecchiabili. Alla base di ogni canto popolare ci ritroviamo una sezione ritmica semplice, con i quarti sempre chiari e ben scanditi, che spingono anche i meno dediti alla musica a ballare o, quantomeno, a battere il piede. L’utilizzo delle armonie è spesso molto semplice e intuitivo, e le melodie vocali sono orecchiabili ed immediate. Sono funzionali perché facilmente memorizzabili e cantabili da tutti, senza distinzione di estensione vocale, cultura musicale o cultura generale. Ricordiamo che l’obiettivo dei canti popolari è sempre stato quello di dare al popolo delle canzoni che lo riunisse sotto lo stesso canto. Canti più elaborati e complessi dal punto di vista sia armonico che melodico rischiano di non riuscire ad entrare nella memoria collettiva di una popolazione, fallendo quindi nei suoi obiettivi.
I canti popolari sono un elemento della società imprescindibile e con un enorme potere sociale. Innanzitutto dobbiamo considerare che le musiche popolari sono un’elemento fondamentale in tutta la storia dell’umanità fin dagli albori. sono elementi che formano la cultura di ogni società, e ne caratterizzano i tratti. Uno dei canti popolari odierni più famosi sono per esempio “bella ciao”. Per esempio questa canzone ha avuto il compito di rappresentare ogni tipo di resistenza, partendo da quella partigiana della seconda guerra mondiale, fino a diventare una canzone iconica per tutte le resistenze non solo d’Italia, ma addirittura del mondo. Forse lo scopro dei canti popolari è proprio questo: riunire le persone ed unirle, andando all’unisono, tutti sotto gli stessi valori. “Bella ciao” è solo un grandissimo esempio in questo repertorio sconfinato. mi vengono in mente per esempio i canti dialettali, come “Noter de Berghem”, a Bergamo, “l’uva fogarina”, canto popolare tipico veneto, o “sciuri sciuri”, in Sicilia. Questi per esempio hanno come obiettivo quello di riunire sotto lo stesso canto persone della stessa terra e provenienza. Ma se lo scopo dei canti popolari è quello di aggregare le persone secondo la propria cultura e i propri ideali, possiamo considerare canti popolari anche inni nazionali, cori da stadio, canzoni famose…?
La musica popolare, detta anche “folk”, rappresenta il secondo filone artistico che da sempre si contrappone alla musica colta. Folk è tradizione viva di un popolo raccolto in una medesima località e accomunato dalle medesime usanze e culture.
Proprio per questo la musica popolare non è e non può essere di un autore, bensì sarà sempre anonima perché attribuita al solo popolo e alla sua storia. Abbiamo così canti legati al mondo dei bambini, canti amorosi, canti rituali, legati alle varie feste, canti del lavoro.
Ma perché il tanto successo?
Così come non esiste ne autore nella musica popolare non esiste ne titolo effettivo e ne spartito della melodia. Tale circostanza, per forza di cose, non può che necessitare di una grande e decennale tradizione orale.
La conoscenza della tradizione attribuisce campanilismo e prestigio ai locali e al luogo dai cui il canto deriva.
In Italia, terra per eccellenza dei campanilismi, una tradizione musicale tanto forte e rappresentativa, così come le tradizioni linguistiche dei dialetti, è sempre ben accolta. Il desiderio incolmabile di legarsi alle proprie origini, a maggior ragione in un paese che fino alla seconda metà del’800 sempre era stato disunito, disegna il grande motivo d’interesse della musica folkloristica.
Allo stesso modo il declino della musica popolare in epoca contemporanea è segnato dalla trasformazione di un mondo diventato sempre più multietnico. L’industrializzazione e l’urbanesimo, cioè l’emigrazione dalla campagna alla città, ha determinato una graduale scomparsa delle tradizioni musicali contadine che costituivano il grosso del repertorio popolare. La comparsa della rete internet contribuisce inoltre alla mercificazione della cultura su scala globale e all’imminente scomparsa delle tradizioni artistiche locali.
Che ruolo conservano ad oggi i canti popolari?
Sulla base di quanto affermato in precedenza il canto folcloristico è parte viva di un antica tradizione non più destinata ad essere ad ugual modo popolare. In un mondo, quello odierno, diversamente evoluto, rivitalizzare le tradizioni musicali passate dai nostri avi ci aiuta a ricevere importanti e curiose informazioni sulla storia, sulle abitudini, sulla lingua e sullo stato d’animo di chi un tempo questa musica la faceva.
La funzione generale della musica folk era donare coesione e unità, come durante la vita in trincea dove la musica evocava solidarietà, cercava vanamente di fuggire da un inferno terrestre facendo emergere le dure sensazioni. In aggiunta spesso i soldati lasciavano testimonianze nelle canzoni come tentativo di provare a distinguersi ed affermare la propria identità. O ancora rinveniamo abitudini come quella di cantare durante le dure ore di lavoro: i canti di lavoro servivano a coordinare e facilitare operazioni ripetitive e faticose (ad oggi svolti dalle macchine). Altri testi invece ritraggono uno scenario di denuncia sociale e politica.
In molti casi di uno stesso canto esistono decine e decine di versioni, alcune molto diverse fra loro, che testimoniano i passaggi da una generazione all’altra, da una zona all’altra, da una situazione storica all’altra o semplicemente da un esecutore all’altro.
Ad ogni testimonianza storica e sociale che rinveniamo ascoltando i vecchi canti spesso emerge una o più tradizioni artistiche che generalmente accompagnavano le melodie. Ad esempio nelle melodie festose ne deriviamo alcune delle danze popolari più celebri come la Tarantella, la Monferrina piemontese o il Ballo Tondo di tendenza in Sardegna.